Libertà religiosa e condanna verso l'islamofobia.

Una risoluzione ritenuta "non abbastanza neutrale" approvata, ma sulla quale non avrebbero dovuto esserci dubbi. Il tema della libertà religiosa e il suo ordinamento legislativo nazionale e internazionale

23 marzo 2024 - autore: 'Alī M. Scalabrin
Ultimo aggiornamento: 26 marzo 2024

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Il 15 marzo 2024, in occasione della Giornata internazionale per la lotta all'islamofobia, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con sede a New York City, ha votato e approvato, con 115 voti a favore, nessun contrario e 44 astenuti, la risoluzione ONU n A/78L.48, intitolata “Misure per combattere l’islamofobia”, presentata l'08 marzo 2024 dal Pakistan, paese membro, che condanna la violenza, nel caso specifico, anti-musulmana e invita ad agire contro l'intolleranza religiosa.

Il fenomeno dell'Islamofobia oggi

L'08 marzo 2022, infatti, con la risoluzione presentata da Turchia e Pakistan, a nome dell'Organizzazione della cooperazione islamica (OIC), l'Assemblea generale delle Nazioni Unite istituiva e fissava per il 15 marzo, la "Giornata internazionale contro l'Islamofobia". In occasione della presentazione della prima Giornata, il 10 marzo 2023, il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres apriva così il suo discorso: "Il crescente odio affrontato dai musulmani non è uno sviluppo isolato, È una parte inesorabile della rinascita dell'etno-nazionalismo, delle ideologie suprematiste bianche neonaziste e della violenza contro le popolazioni vulnerabili, inclusi musulmani, ebrei, alcune comunità cristiane minoritarie e altre. [...] “La discriminazione ci sminuisce tutti ed è nostro dovere opporci ad essa. Non dobbiamo mai essere spettatori del bigottismo”. 

Dal 07 ottobre 2023 ad oggi, negli Stati Uniti viene segnalato un netto aumento degli episodi di odio contro ebrei e musulmani. Tra il 7 ottobre e il 2 dicembre, il Council on American-Islamic Relations ha registrato 2.171 richieste di aiuto, con un aumento del 216% rispetto allo stesso periodo del 2022.

Già il 17 marzo 2021 a New York, Guterres in un videomessaggio, in occasione di una giornata dedicata alla lotta contro l'islamofobia indetta dall’Organizzazione per la cooperazione islamica, affermava chiaramente, citando un rapporto al Consiglio per i diritti umani, che “Il fanatismo anti-musulmano è purtroppo in linea con altre tendenze dolorose che stiamo osservando a livello globale: una rinascita dell’etno-nazionalismo, del neonazismo, dello stigma e dell’incitamento all’odio che prendono di mira popolazioni vulnerabili tra cui musulmani, ebrei, alcune comunità cristiane minoritarie e altre. [...] L’islamofobia ha raggiunto proporzioni epidemiche”.

Che cos'è l'Islamofobia? 

Ma che cos’è l’islamofobia? L'islamofobia è una vera e propria “forma di razzismo”, ci spiega Lorenzo Declich, esperto di mondo islamico contemporaneo e collaboratore di Limes, la nota rivista di geopolitica. L'islamofobia rappresenta il pregiudizio, il disgusto, il rigetto, l'attitudine xenofoba, l'ostilità infondata e l’avversione, l’odio o la paura contro l'islam e i musulmani in quanto sistema di pensiero ritenuto totalizzante o denigratorio verso determinate categorie. Molto spesso si tratta di pregiudizi infondati che mescolano ignorantemente tradizioni patriarcali o retaggi culturali con la vera religione e soprattutto generalizzano e non distinguono, all'interno delle comunità islamiche, caso per caso, vedendo solo l'aspetto negativo di un episodio, senza contestualizzare, né confrontare con altre realtà, anche maggioritarie, moderate e più vicine al reale messaggio religioso.

Anche lo scrittore sociologo italo-algerino Khaled Fouad Allam e il franco-marocchino Tahar Ben Jelloun, nonché italo-egiziano Sherif El Sebaie, riconoscono sì il concetto di “islamofobia”, specialmente nelle sue manifestazioni più provocatorie, ma ritengono dialetticamente altrettanto opportuno distinguere fra “musulmani”, “Islamisti politici” e le varie correnti più o meno integraliste come il fondamentalismo salafita-wahhabita, sia in Occidente sia nei Paesi islamici.

L'islamofobia si manifesta con atti di discriminazione, pregiudizio e trattamenti ingiusti di cui sono vittime i musulmani (sia come individui sia come comunità), come ad esempio i tentativi di vietare o bloccare la costruzione di moschee o la pubblicazione di vignette o testi dal malgusto satirico, o peggio ancora con episodi di violenza di vario genere.

Forme di islamofobia nel mondo editoriale e accademico in Italia, sebbene siano minoritarie comunque, sono emerse con le tesi portate avanti dalla scrittrice fiorentina Oriana Fallaci, rifacendosi a sua volta anche alle teorie di Bat Ye'or (Gisèle Littman, scrittrice ebrea egiziana ma naturalizzata britannica) sull'Eurabia, secondo cui in Occidente oggi ci sarebbe in atto "un processo di islamizzazione" la cui principale conseguenza di questa politica sarebbe l'ostilità europea verso Israele. Argomenti poi ripresi anche dal giornalista e scrittore italo-egiziano Magdi Allam con lo sdegno dell'intera comunità islamica in Italia. Altri avrebbero addirittura accusato i musulmani di usare e strumentalizzare la parola "islamofobia" come "arma per confondere e mettere a tacere”, scrive Rémi Brague, professore emerito di Filosofia medievale e araba presso l'Università Paris 1 Sorbona.

La Risoluzione pakistana A/78/L.48

La proposta risolutiva pakistana, messa ai voti il 25 marzo scorso, nasce dal crescente numero di episodi di profanazione del loro libro sacro; attacchi a moschee, siti e santuari; e altri atti di intolleranza religiosa, stereotipi negativi, odio e violenza, rimarcando la necessità e l’importanza di applicare misure legislative e politiche per contrastare tale forma di intolleranza e odio.

Nell'agenda "item 14" della 78esima sessione dell'Assemblea generale dell'ONU, il Pakistan, richiamandosi e ispirandosi ai principi della Carta delle Nazioni Unite del 1945, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e alla Dichiarazione e Programma d'Azione di Vienna del 1993 per la promozione e la protezione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali di tutte le persone, oltre alla condanna e alle misure legislative richieste, propone al Segretario generale delle Nazioni Unite, nel testo di questa risoluzione, la nomina di un inviato speciale dedicato alla lotta all’islamofobia, con il compito di coordinare gli sforzi internazionali e di sostenere misure concrete per affrontare la discriminazione contro i musulmani.

Oltre a ciò, la risoluzione richiede al Segretario Generale di presentare anche un rapporto all’Assemblea Generale sull’attuazione della risoluzione e sulle misure pertinenti adottate dagli Stati membri e dalle Nazioni Unite per combattere l’islamofobia.

Le obiezioni alla Risoluzione con i vari emendamenti

In fase di discussione, vi sono state comunque alcune riserve espresse da alcuni Stati membri circa la focalizzazione ristretta del testo su una religione che indicherebbe, a dir loro, una certa "esclusività islamica". Prima della votazione e della seguente adozione della versione “L.48”, l'Assemblea ha esaminato gli emendamenti al testo (documenti A/78/L.51 e A/78/L.52 ) presentati dal rappresentante del Belgio a nome dell'Unione europea.

Con 53 voti favorevoli, 61 contrari e 28 astenuti, l'Assemblea ha respinto la “L.51”, che avrebbe sostituito il comma operativo 2 con una disposizione: “Condanna l'incitamento alla discriminazione, all'ostilità o alla violenza contro le persone sulla base di religione o credo, anche contro i musulmani, nonché il numero crescente di attacchi a siti e santuari religiosi ed esprime preoccupazione per altri atti di intolleranza religiosa, stereotipi negativi, odio e violenza”.

Ha respinto anche la “L.52” con 57 voti favorevoli, 61 contrari e 24 astenuti. L'emendamento avrebbe sostituito il paragrafo operativo 3 con una disposizione: “Invita il Segretario generale a nominare un punto focale delle Nazioni Unite, nell'ambito delle strutture e delle risorse esistenti, per combattere la discriminazione anti-musulmana”.

Il rappresentante del Belgio, che ha introdotto gli emendamenti, si è giustificato affermando che l'odio e la discriminazione anti-musulmana sono inaccettabili e violano i principi e gli scopi delle Nazioni Unite sanciti nella sua Carta e le disposizioni della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Tuttavia “l'Onu dovrebbe essere neutrale rispetto alla religione e non parlare di 'profanazione dei libri sacri'”. Secondo la Dichiarazione e il Programma d’azione di Vienna, il termine “profanazione” è limitato ai soli siti religiosi. Il diritto internazionale sui diritti umani non protegge una religione o un credo in quanto tale, o i suoi simboli, né proibisce la critica delle religioni o delle credenze.

Cosa dice l'ordinamento giuridico italiano?

Nel caso dell'Italia, a livello nazionale, la nostra Costituzione italiana tutela già di fatto sia la libertà religiosa istituzionale (riferita alla Confessioni religiose agli articoli 7, 8), sia quella individuale e collettiva (riferita alle persone fisiche e alle confessioni religiose art. 19 della Costituzione) e ne sancisce per "tutti" indistintamente senza alcuna differenza (art. 3 Cost.) non solo il "diritto di professare liberamente la propria fede religiosa", ma anche di diffonderla nei limiti consentiti dalla legge.

Questo status implica che anche a livello legislativo, la libertà religiosa non debba essere confusa con la tolleranza e nemmeno con la libertà dell'atto di fede (per sua natura non può che esser libera, come atto di coscienza individuale), ma semmai le contiene entrambi nell'assenza di discriminazioni, atti di intolleranza religiosa, stereotipi negativi, odio e violenza.

Ma non solo: "E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art 3 Cost.).

Giuridicamente parlando, si può intendere che è compito dello Stato, pur riconoscendosi incompetente in materia religiosa, mettere in atto ogni tipo di misura lecita a porre ogni individuo, indistintamente, in uno stato di immunità dalla coercizione esterna qualificata giuridicamente come un diritto pubblico soggettivo. Significa essere immuni sia dalla negazione, dall'impedimento coercitivo, sia dall'imposizione di un determinato credo.

Questa si chiama democrazia, nel momento in cui tale status sia liberamente e indipendentemente raggiunto per tutti senza distinzione e ognuno al pari degli altri.

Recentemente, è nata anche una collaborazione tra il Nodo anti-discriminazioni della Città metropolitana e le associazioni islamiche di Torino per la raccolta dati su casi di islamofobia e crimini d’odio correlati. Questi dati saranno utilizzati per compilare un report annuale, che servirà non solo a evidenziare l’entità del problema, ma anche a individuare strategie efficaci per contrastarlo.

Cosa dice l'ordinamento giuridico internazionale?

Anche a livello internazionale, esiste comunque un'ampia letteratura costitutiva in merito al tema della libertà religiosa, dal Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR) adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948, al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR) adottato nel 1966, che, in particolare, vieta espressamente la discriminazione basata sulla religione, alla Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali (CEDU) adottata nel 1950, alla Dichiarazione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Intolleranza e Discriminazione Fondate sulla Religione o sulle Credenze del 1981 adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al Trattato di Maastricht (1992), alla Carta dei diritti fondamentali della UE di Nizza (2000), al Trattato di Lisbona (2009).

E' anche vero che nessuno dei trattati elencati menziona specificamente l'islamofobia o qualsiasi altra discriminazione nei confronti di una religione in particolare. Tuttavia, essi sottolineano il diritto alla libertà religiosa in generale e vietano la discriminazione basata sulla religione o le credenze. Questi trattati sono generalmente intesi a proteggere i diritti umani universali e promuovere la tolleranza religiosa senza focalizzarsi su una religione specifica.

La questione dell'islamofobia è stata a lungo oggetto di dibattito e iniziative a livello internazionale, ma finora non ha portato alla creazione di un trattato specifico sulla questione. Ci sono diverse risoluzioni e dichiarazioni delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali che affrontano la discriminazione religiosa in generale, concentrandosi sull'incitamento all'odio e alla violenza contro le persone basate sulla loro religione o credo, senza riferimento specifico all'islamofobia. Alcuni esempi includono:

1. Risoluzione 1904 (XVIII) del 20 novembre 1963, che proclamava la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, e in particolare la sua affermazione che "qualsiasi dottrina di differenziazione o di superiorità razziale è scientificamente falsa, moralmente condannabile, socialmente ingiusta e pericolose".

2. Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965): Questa convenzione mira a eliminare la discriminazione razziale in tutte le sue forme, compresa quella basata sulla religione o sulle convinzioni personali.

3. Dichiarazione sull'eliminazione di tutte le forme d'intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo (1981): Questa dichiarazione ribadisce l'importanza della libertà di religione e il diritto di non essere discriminati per le proprie convinzioni religiose.

4. La tutela dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche. Questa risoluzione è conosciuta come la “Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche” ed è stata adottata il 18 dicembre 1992 che prevede il principio di non discriminazione.

5. La risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite "Combatting Defamation of Religions" (2007), che ha suscitato un dibattito sulla protezione della libertà di religione rispetto alla diffamazione delle religioni.

6. La risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite "Combating Intolerance, Negative Stereotyping and Stigmatization of, and Discrimination, Incitement to Violence and Violence Against, Persons Based on Religion or Belief" (2011), che si concentra sull'affrontare l'intolleranza e la discriminazione religiosa.

7. La Dichiarazione di Rabat sulla diffusione del messaggio religioso e la lotta contro l'incitamento alla discriminazione, all'ostilità e alla violenza (2012), adottata dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, che fornisce orientamenti su come bilanciare la libertà di espressione e la prevenzione dell'incitamento all'odio.

8. La Risoluzione del Consiglio Europeo "Combattere l'intolleranza religiosa e proteggere la libertà di religione" (2013), che esorta gli Stati membri a proteggere la libertà di religione e a combattere l'intolleranza religiosa.

9. Risoluzione contro il Neonazismo: Nel 2020, l’ONU ha adottato una risoluzione che condanna il neonazismo e altri movimenti simili. Questa risoluzione afferma che tali movimenti alimentano forme di razzismo, discriminazione razziale, antisemitismo, islamofobia e cristianofobia. Gli Stati membri sono stati invitati a prendere misure per contrastare questo fenomeno.

10. Giornata internazionale delle vittime di violenza in relazione alla loro religione o al credo: L'ONU ha istituito questa giornata per ricordare tutte le vittime di violenza a causa della loro religione o credo.

Tuttavia, è importante notare che mentre queste risoluzioni e dichiarazioni possono sollevare consapevolezza e promuovere azioni contro l'islamofobia, non costituiscono trattati vincolanti.

La specificità di una Risoluzione

Se da un lato, abbiamo visto che esiste tutta una serie di trattati e Carte costitutive e dichiarazioni internazionali che affrontano in generale la discriminazione religiosa e garantiscono i principi cardine fondamentali per la tutela del diritto di esercitare la propria fede in assenza di condizioni ostili e discriminatorie (e che tali condizioni debbano essere punite a norma di legge), abbiamo anche riscontrato che non esiste uno specifico atto risolutivo sull'islamofobia e nemmeno risoluzioni specifiche per contrastare la discriminazione contro i cristiani e altri gruppi religiosi, eccetto le questioni relative all'antisemitismo sì, invece.

Ora, posto il fatto che servirebbe un trattamento specifico a parte per spiegare tutte le valenze e le connotazioni etimologiche e storiche, spesso anche molto discutibili, che stanno alla base del significato della parola "antisemitismo", è certamente di comune accettazione che tale termine riguardi una forma di discriminazione e pregiudizio diretta specificatamente contro gli ebrei, basata su motivazioni razziali, religiose o culturali. Si manifesta attraverso atteggiamenti ostili, discriminazioni, persecuzioni e violenze nei confronti degli individui o delle comunità ebraiche. Ha radici storiche profonde e può assumere forme sia esplicite che sottili, minacciando la sicurezza e il benessere degli ebrei in molte parti del mondo, che, fondamentalmente, si tratta dello stesso principio della manifestazione dell'islamofobia.

Le Nazioni Unite hanno adottato, negli anni, diverse risoluzioni che affrontano il tema dell'antisemitismo, direttamente o indirettamente, nel corso degli anni. Ecco un breve riassunto:

1. Risoluzione N°3379 (1975): Questa risoluzione definiva il sionismo come "una forma di razzismo e di discriminazione razziale". Fu successivamente revocata dalla Risoluzione 46/86 nel 1991 1.

2. Risoluzione 242 (1967): Anche se non menziona esplicitamente l'antisemitismo, questa risoluzione è stata un punto di riferimento importante per il conflitto israelo-palestinese e le discussioni relative ai diritti degli ebrei e al sionismo.

3. Risoluzione contro la glorificazione del nazismo (2019): Adottata dall'Assemblea Generale, questa risoluzione condanna la glorificazione del nazismo e dell'intolleranza correlata.

4. Glorificazione del Nazismo: Nel novembre 2021, la Terza Commissione dell’ONU ha approvato una risoluzione che vieta la glorificazione del nazismo. Questa risoluzione ha ricevuto 125 voti a favore, 53 astenuti e l’opposizione degli Stati Uniti e dell’Ucraina. L’obiettivo è combattere ogni forma di glorificazione del nazismo.

Inoltre, l'UNESCO e la Commissione Europea hanno lanciato un progetto congiunto per combattere l'antisemitismo attraverso l'istruzione. Queste sono alcune delle iniziative e risoluzioni principali, ma ci sono stati molti altri sforzi e dichiarazioni da parte dell'ONU per combattere l'antisemitismo nel corso degli anni.

La specificità della cristianofobia

Ci sarebbe quindi da chiedersi, allora, perché esistono risoluzioni ONU e trattati specificamente legati all’antisemitismo e non vi sono, invece, dichiarazioni in merito alla lotta contro la cristianofobia o perché non dovrebbero esserci contro l’islamofobia. Sebbene l’antisemitismo abbia una lunga storia di persecuzione contro gli ebrei, che risale a secoli fa e chiaramente eventi come l’Olocausto abbiano portato a una maggiore visibilità storica, consapevolezza globale e impegno internazionale nel combattere l’antisemitismo maggiore rispetto ai fenomeni legati alla cristianofobia, esistono comunque anche altri fattori dovuti ad una inclinazione verso una sensibilità politica e diplomatica maggiore nei confronti dell’antisemitismo, piuttosto della cristianofobia o dell’islamofobia. Inoltre, è indubbio che gruppi di interesse e organizzazioni della società civile possono influenzare politicamente l’agenda internazionale. Le organizzazioni, le lobby e i gruppi di interesse che si concentrano sull’antisemitismo potrebbero aver avuto un ruolo nell’impulso per risoluzioni specifiche. La cristianofobia potrebbe non avere lo stesso livello di mobilitazione o rappresentanza.

In effetti, sebbene l’ONU abbia adottato, negli anni, risoluzioni che affrontano le varie forme di persecuzione religiosa, tutte in maniera generica, tranne quelle, come abbiamo visto, sull'antisemitismo, le persecuzioni contro i cristiani nel mondo sono una tragica realtà che ha richiamato l'attenzione di numerose organizzazioni internazionali, stimolando così l'attenzione di numerose organizzazioni internazionali al fine di chiedere misure di protezione e sostegno per le vittime.

Il 06 dicembre 2011, nell'ambito del diciottesimo Consiglio ministeriale dell'OSCE a Vilnius (Lituania), l'arcivescovo Dominique Mamberti, Segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede, propone l'istituzione di una giornata internazionale contro la persecuzione e la discriminazione dei cristiani, "quale segno importante dell'intenzione dei governi di affrontare questa grave questione". In un report del 2024 di Open Doors International, infatti, su cento Paesi monitorati, 78 hanno un livello di persecuzione considerato almeno "alto", mentre quelli a livello "estremo" sono passati in un anno da 11 a 13. In Nigeria, ad esempio, record per uccisioni a causa dei numerosi gruppi armati violenti di matrice fondamentalista che nulla hanno a che fare con il senso reale della religione islamica. Il primo in classifica è, come sempre dal 2002, la Corea del Nord, dove è impossibile vivere la fede cristiana, per un totale di circa 365 milioni di cristiani perseguitati nel mondo, un numero in costante aumento.

Il punto della situazione e il rammarico sulle astensioni

Nonostante vi sia certamente una certa soddisfazione a seguito dell'approvazione di questa risoluzione volta a rigettare e reprimere l’islamofobia, segnando sicuramente un altro tassello nella sensibilizzazione, a livello istituzionale nei confronti del fenomeno dell’intolleranza religiosa e della violenza, questa volta specificatamente, contro i musulmani in tutto il mondo, desta comunque una preoccupazione e sgomento la scelta di molti paesi europei, (ma non solo) come Argentina, Belgio, Brasile, India, Svizzera, Regno Unito, Francia, Spagna, Ucraina e naturalmente l'Italia, che hanno scelto di astenersi dal voto su questa risoluzione.

Perfino la Francia, l'Olanda e il Belgio che, con circa 4,87 milioni di persone di fede islamica, rappresentano il cuore dell'Europa musulmana formata, ormai, già da seconde e terze generazioni di famiglie originarie dei paesi a maggioranza islamica, ma anche di convertiti che, spesso, non figurano neanche all'interno di questi dati statistici, hanno deciso di non decidere. Una non decisione che lascia l'amaro in bocca e che purtroppo è sinonimo, essa stessa, di una certa deriva del pensiero politico tipica delle destre e delle sinistre che ormai non sono più sinistre.

Colpisce anche la formale giustificazione di molti paesi membri astenuti al voto sulla mancanza di un approccio “religiosamente neutrale” della risoluzione approvata, (che in realtà, come abbiamo visto, esiste già sia in altre risoluzioni più generiche, sia nell'ordinamento internazionale). Un voto unanime e compatto e senza dubbi su un tema così importante, nel rispetto proprio dei principi cardine dell'ordinamento legislativo internazionale, avrebbe rappresentato un pilastro nell'equipollenza nella considerazione internazionale con l'antisemitismo e getterebbe le basi sul recepimento, a livello nazionale, dell'obbligo, quanto meno morale, di attuare ogni misura legislativa paritaria ed egualitaria nei confronti della libertà di ogni religione come previsto dall'art. 8, comma 1 della Costituzione italiana. Ricordiamo a questo proposito che, nonostante vi siano stati diversi tentativi fra i vari governi italiani negli anni, a tutt'oggi la seconda religione per numero di fedeli in Italia, non ha ancora ricevuto il giusto riconoscimento ufficiale con un'intesa con lo Stato italiano che si traduca poi in uno Statuto come previsto dall'art. 8, comma 2 e 3 della stessa Costituzione.

L'Italia, infatti, non si è espressa pur astenendosi dal voto.

Senza contare la posizione del tutto fuorviante e discutibile del rappresentante del Canada che, sebbene abbia votato a favore della L.48, ha espresso preoccupazione per il fatto che i suggerimenti per integrare il linguaggio di genere nel testo non siano stati incorporati.

L'india e il Brasile rimangono sulla posizione di non esprimersi specificatamente sull'islamofobia, ma bensì di “combattere sullo stesso piano la discriminazione contro musulmani, cristiani ed ebrei, senza stabilire priorità tra questi fenomeni” e che l'esprimersi selettivamente potrebbe creare un precedente che renda necessario a sua volta pronunciarsi su ogni specifico singolo sentimento anti-fede.

Questa sembra più una posizione di comodo che tende a non sbilanciare troppo il peso dato all'antisemitismo rispetto a quello dato all'islamofobia. Non si capisce, infatti come una risoluzione specificatamente dedicata alla questione antisemitica sia lodevolmente permessa, mentre sull'islamofobia no e sebbene, esistano già numerose risoluzioni di condanna generica verso gli atti ostili ai vari credi religiosi nel mondo, non si capisce come una risoluzione esclusiva sul tema anti-Islam possa compromettere le altre risoluzioni esistenti generiche.

A riprova di ciò, infatti, possiamo constatare che, in realtà, ci sono già state risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite rivolte alla salvaguardia dei musulmani, come ad esempio quella del 27 dicembre 2019 che approvava la condanna per abusi dei diritti umani - arresti arbitrari, torture, violenze - ai danni dei musulmani di etnia Rohingya e di altre minoranze in Myanmar. La risoluzione è stata adottata con 134 voti a favore su 193 Paesi rappresentati, nove contrari e 28 astenuti. Al governo del Myanmar si chiedevano misure urgenti per contrastare qualsiasi forma di incitamento all'odio contro le minoranze.

Il colore nero invece, nelle indicazioni sui paesi votanti alle assemblee generali dell’ONU non rappresenta alcuna posizione di voto. Quando un paese appare in nero, significa che non ha partecipato alla votazione o che il suo voto non è stato registrato. In altre parole, il nero indica l’assenza di una posizione ufficiale da parte di quel paese sulla questione in discussione. Si fa notare l'assenza del voto di Israele.

Ci congratuliamo comunque per il risultato emerso da questa votazione che rimarrà comunque come un passo storico verso la condanna e l'attuazione delle necessarie misure di sensibilizzazione (anche a livello preventivo) e per combattere ogni forma di discriminazione e violenza e la messa in campo dei necessari organi internazionali di osservazione anche a livello specifico e auspichiamo una maggiore equità e sensibilizzazione imparziale che suggerisca nell'individuo la stessa sensazione di sgomento e condanna verso ogni tipo di emarginazione, ghettizzazione, isolamento, penalizzazione o violenza, che sia di matrice antisemita, islamofoba, cristianofoba o verso ogni altra fede religiosa.

Fonti e approfondimenti:


 

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