L'Islam politico e il mito del califfato - ideologia e teologia

Le origini dell Califfato. Il mito del Califfato.

04 febbraio 2016 - autore: 'Alī M. Scalabrin e Rachida Razzouk
Ultimo aggiornamento: 05 novembre 2016

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L'Islam politico e il mito del califfato - ideologia e teologia

Per meglio comprendere il ruolo dell’islam in politica, bisogna sapere che nessuna autorità può - qualunque sia il soggetto e il tema - stabilire o modificare la dottrina della shar'ìa per gli altri musulmani. In questo campo non esiste nulla di vagamente simile al Vaticano, né all’infallibilità pontificia. Il modo in cui viene interpretata la shar'ìa dalle diverse comunità musulmane (dai sunniti agli sciiti, dai sufi a salafiti) è, al fondo, il prodotto di un consenso intergenerazionale messo in atto da studiosi e leader di ciascuna comunità. 
La fede musulmana e la sua pratica sono necessariamente e contigentalmente individuali e volontarie.

Nessun musulmano può essere responsabile delle opinioni e delle azioni degli altri, nemmeno se questi sono musulmani come lui.

Una conseguenza positiva di questa assenza di autorità religiosa consiste nel fatto di poter rimettere al centro e reinterpretare in modo diverso i principi della shar'ia. Al tempo stesso, vi è un rovescio della medaglia: qualunque musulmano può affermare qualcosa a proposito di sharia, nel caso in cui egli ottenga il consenso di una massa critica di fedeli. Nell'Islam sunnita non c'è clero, non vi è un'autorità propriamente religiosa

E anche nel mondo sciita, sebbene vi sia un clero, si può menzionare a titolo di esempio il modo in cui l’ayatollah Khomeini usa la dottrina del “wilayat al-faqih”, la custodia della dottrina, per rivendicare il diritto a instaurare nel 1979 la Repubblica islamica dell’Iran. 
Questa iniziativa è stata al centro di una grande controversia perché, così facendo, egli è andato contro il consenso che, per questo tipo di decisioni, risiedeva nell’autorità incarnata dal 12mo e ultimo Imam sciita “vivente”, il quale è scomparso (ma non è morto) nell’874 e, questo è ciò che si crede, riapparirà alla fine dei tempi come al-Mahdi. 

La creazione dello Stato Islamico da parte di Abu Bakr al-Baghdadi - che si presenta come il Califfo o il successore del profeta Mohammad, e la cui missione divina consiste nel rifondare uno Stato che è finito 1400 anni fa - ne rappresenta l’esempio più recente. 

Il concetto di Califfato, nel panorama dell'Islam storico, è uno dei temi più controversi, contradditori e maggiormente oggetto di equivoci ed errate interpretazioni.

Nessun musulmano può istituire, a proprio piacere, il Califfato, che esso stesso è un prodotto estraneo alla dottrina islamica, successivo alla morte del Profeta, che non ha espressamente dato alcuna disposizione in merito ad una sua eventuale successione, nemmeno in punto di morte.

Il termine Califfato, deriva dall'arabo khalifa, significa letteralmente “vicario” o “sostituto”.

Tale termine è utilizzato solo due volte nel Corano, la prima in riferimento ad Adamo (Corano medinese al Baqara 2,30), la seconda in riferimento a Davide (Corano Sàd 38,26). In entrambi i casi si parla dei due patriarchi (Adamo e Davide) come dei “vicari” di Dio (khalifat-Allah) sulla Terra, soprattutto per quanto attiene Adamo, padre del genere umano; in nessuno dei due casi tuttavia l’intento è esplicitamente politico o in qualche modo connesso ad un'autorità di capo di comunità, dotato di poteri.

Quindi prima di tutto, il "vicario" può essere solo "vicario di Dio" e non "vicario di un altro vicario", inoltre il vicario deve essere un profeta di Dio e nello specifico coranico, solo Adamo e Davide sono stati nominati, direttamente da Dio stesso, come tali, nemmeno Muhammad.

Il termine Califfo, e quindi anche l’istituto del Califfato (in arabo khilâfa, “vicariato”) emerge nella storia islamica immediatamente dopo la scomparsa del Profeta Muhammad (632), il quale non aveva designato alcuno dei suoi compagni alla guida della comunità dei credenti, la ‘Umma. Tale concetto assume una valenza politica solo quando si tratta di sostituire il Profeta defunto nelle sue funzioni di capo della comunità musulmana, secondo la finalità principale di portare alla verità gli arabi della pensiola arabica.

Il tema della succesione del Profeta

Alla morte del Profeta (632), infatti, non è dato a sapersi con precisione come andarano esattamente gli avvenimenti che hanno portato all'elezione di Abu Bakr, fedele compagno del Messaggero, ma sostanzialmente, sembra vi sia stata sin da subito una spaccatura fra le linee di pensiero della comunità.

La soluzione sembra sia stata trovata nel giorno di poche ore. Un gruppo di medinesi sembra volesse riprendere il controllo politico della propria città, ma l'Intervento fulmineo di tre muhajirun Abu Bakr, padre di Aisha, 'Omar ibn Al-Khattab e Abu Bayda ibn al-Jarra nella discussione in merito alla successione, si sarebbe rivelato decisivo, con la consacrazione di Abu Bakr, proposto da 'Omar, come successore politico del Profeta.

Abu Bakr interpretò come apostasia, l'intenzione di alcuni gruppi arabi di voler tornare alla condizione precedente al Profeta, a meno che pagassero la zakat. Ne scaturisce, così, subito una guerra contro i gruppi apostasi (ridda - murtad)  Ha inizio la cosiddetta guerra della Ridda, che vide protagonista le gesta del generale Khalid ibn Walid.

Abu Bakr diede il comando a Osama ibn Zayd, personaggio di colore, per vendicare suo padre Zayd figlio di Muhammad Contro gli arabi alleati dell'impero bizantino.

Nel 634 Abu Bakr muore di morte naturale. Egli volle che la comunità scegliesse 'Omar come successore omar si fece chiamare 'amir al Mu'minin (Comandante dei credenti), non principe

All'inzio, la figura del Califfo non ebbe funzioni religiose ma prettamente civili, pubbliche e politiche. Il titolo che si diede appena eletto, è quello di “khalifat Rassul Allah” ovvero "il sostituto del profeta di Allah" e non il sostituto di Allah, proprio per sottolineare il fatto che non rivendicava per sé alcuna funzione religiosa. Di seguito, il successore di Abu Bakr, overo 'Omar ibn al-Khattab si auto-definì analogamente "khalifat khalifat Rassul Allah", ovvero sostituto del sostituto del profeta di Dio, a differenza, invece, del terzo Califfo 'Uthman, così come il suo successore 'Ali ibn Talib che si autodefinirono direttamente khalifat Allah, rivendicando per sé, nella propria figura, anche l'autorità religiosa.

Sono famose le prime parole di Abu Bakr alla comunità, riportate a noi dai testi della tradizione: “Sono stato incaricato, ma non sono il migliore tra voi; […] Il debole tra voi è forte perché io difenderò i suoi diritti, e il forte tra voi è debole presso di me. […] Obbeditemi finché obbedisco a Dio e al Suo Inviato, ma se disobbedisco a Dio non dovete obbedirmi. Se faccio bene, appoggiatemi, se devio, raddrizzatemi”  

Il ruolo, infatti, ricoperto dal Profeta Muhammad, ancora in vita, non aveva una valenza puramente ed esclusivamente racchiusa nell'ambito teologico, ma abbracciava tutti gli aspetti della vita delle persone della comunità. Ed egli rappresentava un punto di riferimento, un modello a cui chiedere informazioni in qualsiasi ambito giuridico, sociale, religioso e politico. Applicando un ragionamento secolaristico, la morte del Profeta genera una lacuna di tipo politico, sociale, non certamente in senso religioso o profetico, in quanto, secondo la tradizione islamica, Muhammad rappresenta l'ultimo Profeta.

Il Califfo era semplicemente titolare di un "mandato pubblico" atto a svolgere le mansioni puramente sociali e politiche, esecutive (mai dogmatico, né legislativo), usualmente svolte dal Profeta quand'era ancora in vita. La sua funzione era quella di garantire il rispetto e l'applicazione della legge rivelata (considerando, però, che il vero corpus di leggi della sharì'ah sarebbe sorto in seguito, quanto prima in epoca omayyade, se non in epoca abbasside), attraverso i giudici qudat.

Il Califfo era il primo ad essere sottomesso alla Legge e gli 'Ulema ed in generale, i dotti sapienti doveva vigilare su questa applicazione affinché il potere del Califfo non sconfinasse nell'oppressione (zulm).

In merito al confronto fra Califfato storico e Da'esh e alla sua inattuabilità del Califfato in epoca moderna, lo stesso islamista M. Campanini ci dice che non c’è nulla in comune tra i due modelli. "Tuttavia continuare a considerare il califfato come un sistema politico riproducibile nella modernità (come fanno per esempio i Fratelli Musulmani sulle orme di Rashid Ridà) è ormai anti-storico, come pretendere, mutati mutandis, di ricostituire il comunismo. Il califfato può avere ancora una funzione mobilitante di utopia politica, ma non di sistema effettivamente realizzabile".

Il califfato evoca, nel diffuso pensiero tradizionale islamico, non solo l’epoca d’oro dell’Islam, quando questa civiltà era in rapida espansione, ma evoca soprattutto l’unità della comunità musulmana (umma), il privilegio di essere stata scelta e guidata da Dio. Molti musulmani, ancor oggi, evocano più spesso questo periodo che non quello contemporaneo al Profeta.

Si tratta di un vero e proprio mito, di cui il califfato è stato tradizionalmente il simbolo. Soprattutto il tempo dei primi quattro successori del Profeta Muhammad (morto nel 632), cioè Abu Bakr (r. 632-634), ‘Umar (r. 634-644), ‘Uthman (r. 644-656) e ‘Ali (r. 656-661), i cosiddetti “califfi ben guidati” (khulafa’ rashidun), è considerato dai sunniti come il tempo ineguagliabile della grandezza e della perfezione dell’Islam, per cui cercare di riprodurlo ha il senso di riprodurre le circostanze eccezionali del prevalere dell’Islam come religione, come sistema politico e come cultura.

Vero è che le dinastie succedutesi dopo i “califfi ben guidati”, cioè gli Omayyadi di Damasco (r. 661-750) e gli Abbasidi di Baghdad (r. 750-1258), hanno rappresentato un arretramento dell’ideale e hanno vissuto una progressiva decadenza. Ne è testimone nei suoi scritti, anche il noto storico filosofo Ibn Khaldun (1332 - 1406) il quale ritenne che il Califfato si sia trasformato, già con gli Omayyadi, in potere patrimoniale, destinato a curare i propri interessi di potere, piuttosto del bene della comunità.

Nonostante tutto, la mitologia del califfato è sopravvissuta dala teorizzazione di un o "stato islamico a modello del califfato" dei Fratelli musulmani in Egitto a Da'esh.

Tuttavia, dal punto di vista del pensiero politico, la teorizzazione del califfato è avvenuta tardivamente rispetto all’evolversi dell’istituzione. I due autori, che hanno costituito le pietre miliari, insieme ad altri pensatori, sono Ibn Hanbal (m. 855) e al-Mawardi (m. 1058). Il primo è il teorizzatore o forse meglio il sistematizzatore dell’utopia retrospettiva dell’eccellenza e della precedenza. Secondo questa concezione utopica, l’epoca dei califfi ben guidati è stata appunto quella della perfezione dell’Islam, il modello cui rivolgersi per costruire il futuro della politica; e inoltre i califfi ben guidati si sono succeduti in ordine di eccellenza e di perfezione morale, per cui Abu Bakr era migliore di ‘Umar e così via (questa idea è respinta dagli sciiti secondo i quali il migliore era ‘Ali ed ‘Ali avrebbe dovuto diventare califfo del Profeta immediatamente dopo la morte di Muhammad).

Dal canto suo, al-Mawardi è stato il primo sistematico teorizzatore della dottrina del califfato sunnita nel celebre Al-Ahkam al-Sultaniyya (Le istituzioni del potere). Le dottrine di al-Mawardi rappresentano tuttora la più compiuta delineazione della teoria e si fondano sui seguenti capisaldi:

  • 1) il califfo deve essere maschio, libero, pubere, sano di corpo e di mente;
  • 2) deve essere qurayshita cioè appartenere alla tribù del Profeta Muhammad (storicamente non applicata);
  • 3) deve essere dotto in scienze religiose, deve insomma essere un ‘ulema, in grado di emettere pareri giuridici e religiosi (opinione controversa nel mondo dell'Islam);
  • 4) deve saper guidare gli eserciti in battaglia;
  • 5) deve essere eletto per libera scelta della comunità (ikhtiyar) attraverso i suoi rappresentanti che sono poi gli stessi ‘ulema.

In età contemporanea la teorizzazione del califfato è stata ripresa e rinnovata dal siro-egiziano Rashid Rida (1865-1935) che nel 1922 ha pubblicato il Califfato o imamato supremo (Al-Khilafa aw al-imama al-‘uzmà). Il libro anticipava di poco l’abolizione del califfato ottomano, l’ultimo sopravvissuto nel mondo islamico, da parte di Mustafa Kemal Ataturk. Rida recuperava alcuni princìpi classici, come l’origine qurayshita del califfo e la sua expertise in scienze religiose, ma li inseriva nell’orizzonte di una profonda trasformazione del pensiero politico islamista in reazione alla modernità. Dopo Ridà, la rivendicazione del califfato è diventata un leit-motiv delle organizzazioni di islamismo politico, a partire dai Fratelli Musulmani, nati in Egitto nel 1928 per opera di Hasan al-Banna (1906-1949). In ogni caso, si è trattato sempre di una rivendicazione universalista, trans-nazionale, che mirava a una composizione pacifica delle variegate anime del mondo islamico.

 


 

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