L'Islam politico e il mito del califfato - ideologia e teologia

Le origini dell Califfato. Il mito del Califfato.

04 febbraio 2016 - autore: 'Alī M. Scalabrin e Rachida Razzouk
Ultimo aggiornamento: 24 giugno 2024

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L'Islam politico e il mito del califfato - ideologia e teologia

Per meglio comprendere il ruolo dell’islam in politica, bisogna sapere che nessuna autorità può - qualunque sia il soggetto e il tema - stabilire o modificare la dottrina della shar'ìa per gli altri musulmani. In questo campo non esiste nulla di vagamente simile al Vaticano, né all’infallibilità pontificia. Il modo in cui viene interpretata la shar'ìa dalle diverse comunità musulmane (dai sunniti agli sciiti, dai sufi a salafiti) è, al fondo, il prodotto di un consenso intergenerazionale messo in atto da studiosi e leader di ciascuna comunità. 
La fede musulmana e la sua pratica sono necessariamente e contigentalmente individuali e volontarie.

Nessun musulmano può essere responsabile delle opinioni e delle azioni degli altri, nemmeno se questi sono musulmani come lui.

Una conseguenza positiva di questa assenza di autorità religiosa consiste nel fatto di poter rimettere al centro e reinterpretare in modo diverso i principi della shar'ia. Al tempo stesso, vi è un rovescio della medaglia: qualunque musulmano può affermare qualcosa a proposito di sharia, nel caso in cui egli ottenga il consenso di una massa critica di fedeli. Nell'Islam sunnita non c'è clero, non vi è un'autorità propriamente religiosa

E anche nel mondo sciita, sebbene vi sia un clero, si può menzionare a titolo di esempio il modo in cui l’ayatollah Khomeini usa la dottrina del “wilayat al-faqih”, la custodia della dottrina, per rivendicare il diritto a instaurare nel 1979 la Repubblica islamica dell’Iran. 
Questa iniziativa è stata al centro di una grande controversia perché, così facendo, egli è andato contro il consenso che, per questo tipo di decisioni, risiedeva nell’autorità incarnata dal 12mo e ultimo Imam sciita “vivente”, il quale è scomparso (ma non è morto) nell’874 e, questo è ciò che si crede, riapparirà alla fine dei tempi come al-Mahdi. 

La creazione dello Stato Islamico da parte di Abu Bakr al-Baghdadi - che si presenta come il Califfo o il successore del profeta Mohammad, e la cui missione divina consiste nel rifondare uno Stato che è finito 1400 anni fa - ne rappresenta l’esempio più recente. 

Il concetto di Califfato, nel panorama dell'Islam storico, è uno dei temi più controversi, contradditori e maggiormente oggetto di equivoci ed errate interpretazioni.

Nessun musulmano può istituire, a proprio piacere, il Califfato, che esso stesso è un prodotto estraneo alla dottrina islamica, successivo alla morte del Profeta, che non ha espressamente dato alcuna disposizione in merito ad una sua eventuale successione, nemmeno in punto di morte.

Il termine Califfato, deriva dall'arabo khalifa, significa letteralmente “vicario” o “sostituto”.

Tale termine è utilizzato solo due volte nel Corano, la prima in riferimento ad Adamo (Corano medinese al Baqara 2,30), la seconda in riferimento a Davide (Corano Sàd 38,26). In entrambi i casi si parla dei due patriarchi (Adamo e Davide) come dei “vicari” di Dio (khalifat-Allah) sulla Terra, soprattutto per quanto attiene Adamo, padre del genere umano; in nessuno dei due casi tuttavia l’intento è esplicitamente politico o in qualche modo connesso ad un'autorità di capo di comunità, dotato di poteri.

Quindi prima di tutto, il "vicario" può essere solo "vicario di Dio" e non "vicario di un altro vicario", inoltre il vicario deve essere un profeta di Dio e nello specifico coranico, solo Adamo e Davide sono stati nominati, direttamente da Dio stesso, come tali, nemmeno Muhammad.

Il termine Califfo, e quindi anche l’istituto del Califfato (in arabo khilâfa, “vicariato”) emerge nella storia islamica immediatamente dopo la scomparsa del Profeta Muhammad (632), il quale non aveva designato alcuno dei suoi compagni alla guida della comunità dei credenti, la ‘Umma. Tale concetto assume una valenza politica solo quando si tratta di sostituire il Profeta defunto nelle sue funzioni di capo della comunità musulmana, secondo la finalità principale di portare alla verità gli arabi della pensiola arabica.

Il tema della succesione del Profeta e la differenza fra sunniti e sciiti

Alla morte del Profeta (632), infatti, non è dato a sapersi con precisione come andarano esattamente gli avvenimenti che hanno portato all'elezione di Abu Bakr, fedele compagno del Messaggero, ma sostanzialmente, sembra vi sia stata sin da subito una spaccatura fra le linee di pensiero della comunità. Ci sono, infatti, svariate versioni dell'episodio relativo alla morte del Profeta e alle vicende immediatamente successive.

La soluzione sembra sia stata trovata nel giro di poche ore. Un gruppo di medinesi sembra volesse riprendere il controllo politico della propria città, ma l'Intervento fulmineo di tre muhajirun Abu Bakr, padre di Aisha, 'Omar ibn Al-Khattab e Abu Bayda ibn al-Jarra nella discussione in merito alla successione, si sarebbe rivelato decisivo, con la consacrazione di Abu Bakr, proposto da 'Omar, come successore politico del Profeta.

La questione, in realtà, è abbastanza complessa e gli elementi storici su cui fare riferimento sono davvero pochi, principalmente a causa del fatto che molte testimonianze relativo alla vicenda della successione del Profeta sono state oscurate, piu' o meno volontariamente, da tutta la struttura politica califfale preponderante che si è instaurata nel corso dei secoli che si è premurata di auto-legittimarsi agli occhi dei fedeli.

Ancor oggi, il giorno 18 del mese islamico di Dhul-hajjah  è conosciuto nel mondo islamico sciita come Eid al-Ghadir, durante il quale si commemora il giorno in cui il Profeta Muhammad avrebbe dichiarato, in modo ufficiale e davanti a un grande numero di musulmani, che Alì ibn Talib sarebbe stato il suo successore.

La differenza tra sunniti e sciiti può essere definita principalmente come una divergenza di tipo storico-teologico in relazione al concetto di guida e gestione politica e religiosa della società e della comunità islamica. Secondo gli sciiti la guida della società deve possedere una serie di caratteristiche come l’infallibilità che può essere determinata solo da Dio, pertanto è Dio a stabilire la guida e a comunicare ciò agli essere umani attraverso i suoi intermediari. Inoltre, gli sciiti sostengono che il Profeta, prima della sua morte, avesse in varie occasioni, tra cui appunto l’evento di Ghadir, su ordine divino, indicato il suo successore, ossia Alì. In modo simile sono stati determinati i successori: undici imam fino al dodicesimo che si trova in stato di occultazione e si manifesterà alla Fine dei Tempi con Gesù Cristo per stabilire la giustizia nel mondo.

Nella visione sunnita invece, il Profeta non avrebbe dato indicazioni riguardo a chi sarebbe stato il suo successore dopo la sua morte e l'incarico di guida dei fedeli sarebbe stato affidato al risultato di un'elezione (che almeno originariamente, era frutto di un dibattito fra coloro che erano ritenuti i sapienti e saggi dell'epoca) ed è diversa anche la concezione della guida politica e religiosa.


"Dunque vi sono proibiti gli animali morti, il sangue, la carne di maiale, gli animali che sono stati macellati senza invocazione del nome di Dio, e quelli soffocati o uccisi a bastonate o scapicollati o ammazzati a cornate, e quelli in parte divorati dalle fiere – a meno che non li abbiate finiti sgozzandoli – e quelli sacrificati sugli altari idolatrici. E vi è proibito tirare a sorte, è una turpitudine. Badino bene in questo giorno quelli che hanno rinnegato la vostra religione, non temeteli, invece temete me. In questo giorno vi ho reso perfetta la vostra religione e ho compiuto su voi i miei favori e mi è piaciuto darvi come religione l’Islam – ma chi è costretto a rinnegare per fame e senza volontaria inclinazione, ebbene, Dio è indulgente e compassionevole".(Corano medinese Al-MÂ’ida 5,3 trad. Ida Zilio-Grandi)

 

Gli esegeti affermano che il versetto 5,3 fu rivelato durante l'ultimo pellegrinaggio del Profeta, pochi mesi prima della sua dipartita, Tabarî (VI, 80) riferisce che Muhammad (pace e benedizioni su di lui) salì sulla sua cammella, che si sarebbe piegata, incapace di sopportarne il peso, mentre il Profeta recitava tale versetto. Il versetto inizia parlando dei miscredenti che hanno perso ogni speranza: "Oggi i miscredenti non sperano più di allontanarvi dalla vostra religione: non temeteli dunque, ma temete Me". Dagli hadith illustranti questo versetto si capisce chiaramente che il perfezionamento della religione e la perdita di speranza dei miscredenti di poter ledere l'Islam, si realizzano con l'investitura del successore del Profeta da parte di Dio. Infatti i nemici dell'Islam speravano che dopo la morte del Profeta, in particolare non avendo figli maschi, l'Islam rimanesse senza tutore, s’indebolisse ed eventualmente si annullasse. In una lettura sicuramente postuma, si inserisce perfettamente il racconto di Tabarî sulle reazioni che avrebbero avuto la comunità di fedeli alle parole del Profeta. Sentite queste parole la folla ondeggiò colpita da una vivissima emozione e ‘Umar Ibn al-Khattâb si mise a singhiozzare. «Perché piangi ‘Umar?», gli chiese il Profeta. «Piango» rispose «perché fino ad oggi stavamo progredendo nella nostra religione. Ora è perfetta, e ogni cosa che giunge al culmine della perfezione tende a diminuire.» «Hai ragione», disse l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui). ‘Umar nella sua grande fede e intelligenza aveva presentito che il livello della tensione spirituale che animava in quel tempo la comunità dei credenti aveva raggiunto un altissimo grado di intensità. Questo racconto (elaborato sicuramente in tarda epoca islamica), è sicuramente allegorico, (forse un po' polemico) e sicuramente profetico del periodo califfale che seguì la morte del Profeta caratterizzata da un lento, ma progressivo declino spirituale della comunità.

La tradizione sciita raccconta che, mentre il Profeta stava tornando dal suo ultimo pellegrinaggio, riunì tutti i pellegrini presso lo stagno di Khummun (Ghadir Khum) e, dopo un lungo discorso, chiese ai presenti: "Non sono forse io migliore e più vicino a voi di voi stessi?", tutti risposero affermativamente, quindi alzò la mano di Alì ibn Abì TAlib, cugino germano e anche genero del Profeta in quanto marito della figlia FAtima, e disse: "Di chiunque io sono il mawla, Alì è il suo mawla (guida)", annunciando così la wilayat (guida) di Alì. Il versetto sopraccitato sarebbe stato rivelato proprio in quel giorno.

Alì comunque diventerà il quarto califfo ‘‘ben guidato’’ dei musulmani (dal 656 al 661 d.C.), ovvero ventiquattro anni dopo la morte di Muhammad.

Da quanto riportato in alcuni hadith (in ambiente sciita) si comprende che Iddio avrebbe ordinato al Profeta di annunciare l'istituzione dell'Imamato di Alì ufficialmente, tuttavia Muhammad temeva che la gente lo intendesse come un suo parere personale e non lo accettasse, aspettava quindi che si presentasse il momento opportuno. Venne quindi rivelato il versetto:


"Oh Messaggero, comunica quello che è sceso su di te da parte del tuo Signore. Ché se non lo facessi non assolveresti alla tua missione. Allah ti proteggerà dalla gente. Invero Allah non guida un popolo di miscredenti". (Corano medinese Al-MÂ’ida 5,67 trad. Ida Zilio-Grandi)

In esso, teologicamente parlando, Iddio impartisce le istruzioni al profeta per assicurarsi che consegni il Suo Messaggio, un messaggio che corrisponde a tutta la missione profetica, promettendogli di proteggerlo da eventuali pericoli. Quando fu rivelato questo versetto il Profeta avrebbe compreso che era arrivato il momento giusto per comunicare la sua successione e non sarebbe stato corretto rimandare oltre, pertanto avrebbe fatto l'annuncio a Ghadir Khum.
In realtà ciò che era avvenuto a Ghadir Khum era solo l'annuncio ufficiale al quale sarebbe seguito il cosidetto "patto di fedeltà", infatti già in precedenza, il Profeta avrebbe più volte annunciato che Alì sarebbe stato il suo successore, come agli inizi della missione profetica quando con il versetto:


"Danne l’annuncio [Oh Muhammad] ai tuoi parenti più stretti"
(Corano medinese ASH-SHU‘ARÂ’ 26,214)

Secondo l'esegesi classica, (ma contestata da alcuni studiosi) gli era stato ordinato di incominciare la missione invitando i parenti più stretti. Davanti a tutti loro il Profeta avrebbe dichiarato che il primo ad accettare il suo invito sarebbe anche stato il suo successore, e il primo fu Alì. E altresì quando fu rivelato il versetto:


"Voi che credete, ubbidite a Dio, al Suo inviato e a quelli di voi che detengono l’autorità, e se vi accadrà di disputare su qualcosa, riferitelo a Dio e al Suo inviato se credete in Dio e nell’ultimo giorno, è cosa preferibile ed è la migliore interpretazione
(Corano medinese An-Nisa'a 4,59)

In un versetto definito "quasi unico" che stabilisce l'obbligatorietà assoluta dell'obbedienza a "coloro che (ne) hanno l'autorità", considerandola pari all'obbedienza al Profeta, viene definita come una delle rarissime occasioni nelle quali il Corano accennerebbe all’ordine politico della comunità. L’espressione tuttavia è molto generica e ha consentito interpretazioni discordanti fra i teorici della dottrina politica islamica. Alcuni antichi interpreti, del resto, hanno individuato nei detentori dell’autorità non tanto coloro che esercitano funzioni di governo, ma piuttosto i dotti che detengono la saggezza.
In ambito sciita, viene citato spesso questo versetto accompagnato dal hadith che racconterebbe quando Jabir ibn 'Abdullah al-Ansari andò dal Profeta e gli chiese a chi si riferisse il versetto, egli rispose che alludeva ai califfi e guide dei musulmani dopo di lui, quindi elencò uno ad uno i nomi dei dodici Imam (Ghayat al-Maram, vol. 10, pag. 267, Ithbat al-Hudat, vol. 3, pag. 123). Certamente puo' essere una forzatura posteriore dettata da una ricostruzione storica volta a legittimare l'autorità di successione di sangue voluta dal mondo sciita rispetto la linea elettiva del califfi sunniti.

In un altro hadith viene riportato che all'imam al-Sadiq fu riferito che la gente voleva sapere come mai il nome di Alì e dell'Ahl al-Bayt (la Famiglia del Profeta) non fossero chiaramente menzionati nel Corano, egli rispose di replicare alla gente ch, allorché fu rivelato il versetto sulla preghiera, questo non specificava di quante unità fosse, il compito di spiegare come compierla fu affidato al Profeta e così pure i versetti relativi all'hajj, alla zakat, e altre norme (non citano i dettagli), quindi anche la spiegazione del versetto in merito agli aventi autorità fu affidato al Profeta, ed egli dichiarò: “Di chiunque io sono la guida, Alì è la sua guida”. Inoltre disse: “Vi raccomando il Corano e la mia Famiglia, in verità ho chiesto a Dio di non separarli mai fino a quando mi raggiungeranno alla fonte (paradisiaca) e Iddio ha accettato la mia richiesta”. Disse anche: “Sappiate che la mia Famiglia è come l'Arca di Noè: chi vi sale sarà salvato e chi non sale, affogherà” (Mustadrak Hakim, vol.3 pag. 151) e ancora confermò ad Alì: “Tu sei il tutore di tutti i credenti dopo di me” (Musnad Ibn Hanbal, vol. 1 pag. 331).


"I vostri alleati sono Dio, il Suo messaggero e i credenti, quelli che adempiono alla preghiera e pagano l’elemosina, chini in adorazione" (Corano medinese Al-MÂ’ida 5,55)

Secondo molti hadith narrati da sunniti e sciiti, il versetto 5,55, spesso citato fra gli sciiti a supporto della teoria della successione di sangue, si riferirebbe ad Alì ibn Talib, il quale, mentre stava eseguendo la preghiera, avrebbe allungato la mano verso un mendicante indicandogli così di prendere l’anello che portava al dito. La differenza nell’interpretazione del versetto da parte dei sapienti sunniti e sciiti, deriva dal significato del termine wali (tradotto tutore), la stessa questione che si presenta riguardo al termine tradotto da noi “guida” nel discorso pronunciato dal Profeta presso Ghadir Khum: in arabo è stato usato il termine mawla. Come si può facilmente intuire i termini mawla e wali (e wilayat) provengono dalla stessa radice che indica una vicinanza tale tra due cose che niente può frapporsi fra le due, e i termini che ne derivano vengono utilizzati col significato di amico, aiutante, tutore, responsabile, autorità, e così via, perché è appunto presente un particolare tipo di vicinanza. Tornando al versetto citato, il significato in base a quello che abbiamo appena detto è il seguente: “Solo Iddio, il Profeta e Alì sono vicini ai musulmani al massimo livello”, è chiaro che il versetto sta parlando di una vicinanza particolare, qualcosa di cui sono degni solo Iddio e il Profeta, quel ruolo di tutore nelle questioni religiose e terrene di cui abbiamo parlato nelle altre lezioni. Pertanto è difficile accettare che il significato di wali in questo versetto e di mawla nell’evento di Ghadir Khum sia “amico” come sostengono alcuni, nel versetto infatti dice che i wali sono solo Iddio, il Profeta e Alì. Non si può pensare che il versetto affermi che solo costoro sono i vostri amici, e similmente è molto improbabile che il Profeta avesse riunito e trattenuto migliaia di persone al ritorno dall’hajj, semplicemente per annunciare loro che Alì era loro amico, come lo era il Profeta. Per quanto riguarda gli undici Imam che succedettero uno dopo l’altro ad Alì ibn Abitalib, sono presenti vari hadith sciiti in cui il Profeta li nomina uno ad uno, e anche nei Sahih - libri di hadith sunniti - alcuni hadith riportano che il Profeta annunciò dodici califfi o amir dopo di lui, tutti discendenti dei Quraysh (caratteristica che non corrisponde in alcun modo ai califfi omayyidi, abassidi, e altri che presero via via il potere).

La successione predominante sunnita

Abù Bakr fu legittimamente eletto primo califfo da un consiglio formato dai piu` fedeli Compagni del Profeta, a esclusione di ‘Alì.

Appena dopo la morte del Profeta, l’Arabia e i musulmani conobbero una serie di guerre civili e conflitti fratricidi che segnarono l'inizio della campagna di conquiste dal califfato di ‘Umar.

Piu' tardi, Abu Bakr interpretò come apostasia, l'intenzione di alcuni gruppi arabi di voler tornare alla condizione precedente al Profeta, a meno che pagassero la zakat. Ne scaturisce, così, subito una guerra contro i gruppi apostasi (ridda - murtad)  Ha inizio la cosiddetta guerra della Ridda, che vide protagonista le gesta del generale Khalid ibn Walid.

Abu Bakr diede il comando a Osama ibn Zayd, personaggio di carnagione scura, di vendicare suo padre Zayd figlio di Muhammad contro gli arabi alleati dell'impero bizantino.

Nel 634 Abu Bakr muore di morte naturale. Egli volle che la comunità scegliesse 'Omar ibn al-Khattab come successore Omar si fece chiamare 'amir al Mu'minin (Comandante dei credenti), non principe

Il ruolo del Califfo e l'istituto del Califfato

All'inzio, la figura del Califfo non ebbe funzioni religiose ma prettamente civili, pubbliche e politiche. Il titolo che si diede appena eletto, è quello di “khalifat Rassul Allah” ovvero "il sostituto del profeta di Allah" e non il sostituto di Allah, proprio per sottolineare il fatto che non rivendicava per sé alcuna funzione religiosa. Di seguito, il successore di Abu Bakr, overo 'Omar ibn al-Khattab si auto-definì analogamente "khalifat khalifat Rassul Allah", ovvero sostituto del sostituto del profeta di Dio, a differenza, invece, del terzo Califfo 'Uthman, così come il suo successore 'Ali ibn Talib che si autodefinirono direttamente khalifat Allah, rivendicando per sé, nella propria figura, anche l'autorità religiosa.

Sono famose le prime parole di Abu Bakr alla comunità, riportate a noi dai testi della tradizione: “Sono stato incaricato, ma non sono il migliore tra voi; […] Il debole tra voi è forte perché io difenderò i suoi diritti, e il forte tra voi è debole presso di me. […] Obbeditemi finché obbedisco a Dio e al Suo Inviato, ma se disobbedisco a Dio non dovete obbedirmi. Se faccio bene, appoggiatemi, se devio, raddrizzatemi”  

Il ruolo, infatti, ricoperto dal Profeta Muhammad, ancora in vita, non aveva una valenza puramente ed esclusivamente racchiusa nell'ambito teologico, ma abbracciava tutti gli aspetti della vita delle persone della comunità. Ed egli rappresentava un punto di riferimento, un modello a cui chiedere informazioni in qualsiasi ambito giuridico, sociale, religioso e politico. Applicando un ragionamento secolaristico, la morte del Profeta genera una lacuna di tipo politico, sociale, non certamente in senso religioso o profetico, in quanto, secondo la tradizione islamica, Muhammad rappresenta l'ultimo Profeta.

Il Califfo era semplicemente titolare di un "mandato pubblico" atto a svolgere le mansioni puramente sociali e politiche, esecutive (mai dogmatico, né legislativo), usualmente svolte dal Profeta quand'era ancora in vita. La sua funzione era quella di garantire il rispetto e l'applicazione della legge rivelata (considerando, però, che il vero corpus di leggi della sharì'ah sarebbe sorto in seguito, quanto prima in epoca omayyade, se non in epoca abbasside), attraverso i giudici qudat.

Il Califfo era il primo ad essere sottomesso alla Legge e gli 'Ulema ed in generale, i dotti sapienti doveva vigilare su questa applicazione affinché il potere del Califfo non sconfinasse nell'oppressione (zulm).

In merito al confronto fra Califfato storico e Da'esh e alla sua inattuabilità del Califfato in epoca moderna, lo stesso islamista M. Campanini ci dice che non c’è nulla in comune tra i due modelli. "Tuttavia continuare a considerare il califfato come un sistema politico riproducibile nella modernità (come fanno per esempio i Fratelli Musulmani sulle orme di Rashid Ridà) è ormai anti-storico, come pretendere, mutati mutandis, di ricostituire il comunismo. Il califfato può avere ancora una funzione mobilitante di utopia politica, ma non di sistema effettivamente realizzabile".

Il califfato evoca, nel diffuso pensiero tradizionale islamico, non solo l’epoca d’oro dell’Islam, quando questa civiltà era in rapida espansione, ma evoca soprattutto l’unità della comunità musulmana (umma), il privilegio di essere stata scelta e guidata da Dio. Molti musulmani, ancor oggi, evocano più spesso questo periodo che non quello contemporaneo al Profeta.

Si tratta di un vero e proprio mito, di cui il califfato è stato tradizionalmente il simbolo. Soprattutto il tempo dei primi quattro successori del Profeta Muhammad (morto nel 632), cioè Abu Bakr (r. 632-634), ‘Umar (r. 634-644), ‘Uthman (r. 644-656) e ‘Ali (r. 656-661), i cosiddetti “califfi ben guidati” (khulafa’ rashidun), è considerato dai sunniti come il tempo ineguagliabile della grandezza e della perfezione dell’Islam, per cui cercare di riprodurlo ha il senso di riprodurre le circostanze eccezionali del prevalere dell’Islam come religione, come sistema politico e come cultura.

Vero è che le dinastie succedutesi dopo i “califfi ben guidati”, cioè gli Omayyadi di Damasco (r. 661-750) e gli Abbasidi di Baghdad (r. 750-1258), hanno rappresentato un arretramento dell’ideale e hanno vissuto una progressiva decadenza. Ne è testimone nei suoi scritti, anche il noto storico filosofo Ibn Khaldun (1332 - 1406) il quale ritenne che il Califfato si sia trasformato, già con gli Omayyadi, in potere patrimoniale, destinato a curare i propri interessi di potere, piuttosto del bene della comunità.

Nonostante tutto, la mitologia del califfato è sopravvissuta dala teorizzazione di un o "stato islamico a modello del califfato" dei Fratelli musulmani in Egitto a Da'esh.

Tuttavia, dal punto di vista del pensiero politico, la teorizzazione del califfato è avvenuta tardivamente rispetto all’evolversi dell’istituzione. I due autori, che hanno costituito le pietre miliari, insieme ad altri pensatori, sono Ibn Hanbal (m. 855) e al-Mawardi (m. 1058). Il primo è il teorizzatore o forse meglio il sistematizzatore dell’utopia retrospettiva dell’eccellenza e della precedenza. Secondo questa concezione utopica, l’epoca dei califfi ben guidati è stata appunto quella della perfezione dell’Islam, il modello cui rivolgersi per costruire il futuro della politica; e inoltre i califfi ben guidati si sono succeduti in ordine di eccellenza e di perfezione morale, per cui Abu Bakr era migliore di ‘Umar e così via (questa idea è respinta dagli sciiti secondo i quali il migliore era ‘Ali ed ‘Ali avrebbe dovuto diventare califfo del Profeta immediatamente dopo la morte di Muhammad).

Dal canto suo, al-Mawardi è stato il primo sistematico teorizzatore della dottrina del califfato sunnita nel celebre Al-Ahkam al-Sultaniyya (Le istituzioni del potere). Le dottrine di al-Mawardi rappresentano tuttora la più compiuta delineazione della teoria e si fondano sui seguenti capisaldi:

  • 1) il califfo deve essere maschio, libero, pubere, sano di corpo e di mente;
  • 2) deve essere qurayshita cioè appartenere alla tribù del Profeta Muhammad (storicamente non applicata);
  • 3) deve essere dotto in scienze religiose, deve insomma essere un ‘ulema, in grado di emettere pareri giuridici e religiosi (opinione controversa nel mondo dell'Islam);
  • 4) deve saper guidare gli eserciti in battaglia;
  • 5) deve essere eletto per libera scelta della comunità (ikhtiyar) attraverso i suoi rappresentanti che sono poi gli stessi ‘ulema.

In età contemporanea la teorizzazione del califfato è stata ripresa e rinnovata dal siro-egiziano Rashid Rida (1865-1935) che nel 1922 ha pubblicato il Califfato o imamato supremo (Al-Khilafa aw al-imama al-‘uzmà). Il libro anticipava di poco l’abolizione del califfato ottomano, l’ultimo sopravvissuto nel mondo islamico, da parte di Mustafa Kemal Ataturk. Rida recuperava alcuni princìpi classici, come l’origine qurayshita del califfo e la sua expertise in scienze religiose, ma li inseriva nell’orizzonte di una profonda trasformazione del pensiero politico islamista in reazione alla modernità. Dopo Ridà, la rivendicazione del califfato è diventata un leit-motiv delle organizzazioni di islamismo politico, a partire dai Fratelli Musulmani, nati in Egitto nel 1928 per opera di Hasan al-Banna (1906-1949). In ogni caso, si è trattato sempre di una rivendicazione universalista, trans-nazionale, che mirava a una composizione pacifica delle variegate anime del mondo islamico.

Fonti e riferimenti bibliografici:

 


 

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