Genesi e origini del Corano e della lingua araba

14 giugno 2013 - autore: 'Alī M. Scalabrin
Ultimo aggiornamento: 23 luglio 2016

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Basmala
Nel nome di Dio Il più Clemente, il più Misericordioso

Salam
La pace, la Misericordia, e le benedizioni di Dio siano su di voi

Breve cenno storico sulle origini del Corano

La questione in merito alle origini del Sacro libro dei musulmani sono alquanto dibattute sia in ambiente tradizionale, con le varie divisioni anche all'interno della comunità islamica, sia in ambito storico-accademico fra i vari studiosi universitari e non.

 

I dibattiti essenzialmente sono incentrati sui seguenti aspetti:

  • Il profeta Muhammad è mai esistito ?
  • L'ha scritto lui il Corano o è veramente parola di Dio ?
  • Il Corano era così originariamente ?
  • Il Corano è mai stato alterato nel corso della storia ?

Il Corano (āl-Qurʾān in arabo), libro sacro dei musulmani, il cui termine significa principalmente lettura, recitazione salmodiata, rappresenta una raccolta di 114 sure (sūrat - capitoli) che raggruppano determinati versetti (chiamate āyāt, lett. "segni" o "prodigi") tradizionalmente riconosciuti come rivelati o discesi direttamente da Allāh, l'Altissimo, per mezzo di comunicazione tramite l'arcangelo Gabriele al profeta Muhammad, (570-632 d.C. anche se alcuni studiosi come Lawrence Conrad affermano sia nato prima, verso il 552) in periodo che va da dal 610 al 632 d.C. circa. E' scritto interamente in arabo letterario definito anche "coranico". I primi versetti che tradizionalmente si ritengono siano stati rivelati appartengono alla seguente sura:






"Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato,
ha creato l'uomo da un'aderenza.
Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo,
Colui Che ha insegnato mediante il calamo,
che ha insegnato all'uomo quello che non sapeva"

(Corano meccano Al-'Alaq 96,1-5 trad. H. Piccardo)

Secondo la tradizione Muhammad nacque all'interno dei Banū Hāshim, (Il cui nome deriva dal bisnonno del Profeta, Hāshim ibn 'Abd Manāf, il cui vero nome era però 'Amr, a sua volta bisnipote del mitico costitutore della tribù). I Banū Hāshim rappresentavano uno dei dieci maggiori clan della più importante tribù dei Banū Quraysh, a loro volta derivati dal grande nucleo tribale beduino dei Khuzaimah. Tradizionalmente, i musulmani fanno derivare tutta la genia dei Quarysh da un antenato di nome Fihr, presunto discendente diretto di Isma'il.

Qusai (Zayd) ibn Kilāb chiamato al-Mujammi, "l'unificatore" si impadronì del santuario della Ka'aba allora sotto le mani della tribù yemenita dei Banū Kuzaha che, a loro volta, l'avevano strappata agli Jurhum, un popolo che viveva sulla costa centro-occidentale della Penisola Araba e che era noto alle fonti greco-latine con il nome di "gorhamiti"

Il racconto tradizionale

In particolare, la tradizione ritiene probabile  discesa rivelata dei primi versetti nei tre giorni a cavallo della cosiddetta “notte del destino” (“laylatu al-Qadr” – che tradizionalmente si colloca nella notte fra il 26 e il 27 di Ramadān, tenendo conto che il giorno islamico inizia al tramonto, ma che, in realtà andrebbe ricercata all’interno delle ultime 10 notti dispari del mese: 21, 23, 25, 27, 29 di Ramadān). La rivelazione sarebbe avvenuta in una grotta denominata grotta di Hirāʾ sul monte Jabal An-Nūr, vicino Mecca, nella regione dell'Hijāz, laddove il profeta Muhammed, in quel periodo era solito rifugiarsi in ritiro spirituale (tahannuth), lontano dal disagio che provava dettato dalla corrotta società meccana pre-islamica.

Caverna


Il monte Jabal An-Nūr, vicino Mecca


Miniatura che rappresenta la rivelazione
per mezzo dell'arcangelo Gabriele a Muhammad

Il racconto della tradizione islamica narra che durante una notte, nella terza decade del mese di Ramadan dell’anno gregoriano 610, mentre Muhammad stava vegliando nella grotta, vide comparire davanti a sé una creatura che aveva forma umana ma era fatta di luce.

"L’Angelo mi disse: "Leggi!" (oppure "Dì!", oppure anche "Recita"!, oppure "Grida!")"- raccontò Muhammad stesso. Io gli risposi che non sapevo leggere. Allora mi cinse tra le sue braccia, mi strinse da levarmi il fiato e ripeté: "Leggi!" Io dissi ancora: "Non so leggere". Di nuovo mi prese e mi strinse tanto che mi parve di morire. Quando mi lasciò mi ordinò ancora "Leggi!" e io ancora una volta risposi che non sapevo leggere. Mi strinse nuovamente tra le sue braccia con una forza ancora maggiore delle due volte precedenti e pronunciò i primi 5 versetti di quella poi sarà la sura Al-'Alaq 96.

Muhammad ripeté quelle parole e sentì che esse si erano come scolpite nel suo cuore. Poi lo prese un senso vivissimo di angoscia, si issò fuori dalla grotta e cominciò a scendere il pendio. Udì una voce sopra di lui: "O Muhammad, tu sei il Messaggero di Allah e io sono Gabriele". Guardò il cielo e vide l’Angelo: la sua immagine occupava tutto l’orizzonte in qualsiasi direzione volgesse lo sguardo. Con il cuore in tumulto corse giù e non si fermò finché non giunse a casa.
Tremava, batteva i denti ed era coperto di sudore. "Coprimi, coprimi !" disse a sua moglie che non lo aveva mai visto in quelle condizioni. Khadija bint Khuwaylid lo coprì e cercò di calmare la sua agitazione. Poi, quando le narrò quello che gli era accaduto, lei si recò da suo cugino Waraqa ibn Nawfal ibn Asad ibn ʿAbd al-ʿUzzā, un vecchio, (che la tradizione vuole essere cieco), che conosceva le Scritture ed era diventato cristiano, forse ebionita o comunque monotesita (hanīf). Egli ascoltò con attenzione quel che la donna gli riferiva e non ebbe dubbi: "Quello che Muhammad ha visto è l’Angelo della rivelazione, lo stesso che si è rivelato a Mosè. Egli sarà il Profeta di questo popolo".

 

Le modalitą tradizionali di trasmissione della Rivelazione

La tradizione ricorda che vi sono state diverse modalitą con cui il profeta Muhammad riceveva i versetti della Rivelazione.
Vi sono descritte nel Corano essenzialmente tre modalitą con cui l'Altissimo comunica agli uomini e, in particolare, al Profeta: per ispirazione, dietro ad un velo o inviando un messaggero (Ash-Shūrā 42,51).

  • Per "ispirazione/rivelazione", (wahyan)(Ash-Shūrā 42,51), il cui termine ricorre nel Corano 6 volte come sostantivo e ben 72 volte come verbo coniugato e sta ad indicare ogni sorta di ispirazione divina che non č prerogativa dell'uomo ma puņ interessa ogni specie di creature, non solo l'uomo.  In (Corano An-Nahl 16,68) troviamo il termine wahy riferito all'ispirazione resa da Dio alle api, stando ad indicare che tale ispirazione possa verificare anche negli animali secondo le loro specificitą. Un'altra traduzione potrebbe essere: una suggestione improvvisa o infondendo un'idea in mente.
  • "Dietro ad un velo" (hijāb), termine largamente usato nel mondo musulmano per indicare il velo delle donne (nelle varie tipologie), ma che ricorre nel Corano solo 8 volte e mai usato per indicare un velo fisico o un capo di abbigliamento. In questo caso sta ad indicare il velo puramente spirituale che protegge la trascendenza di Dio e si interpone tra quest'ultimo e l'uomo come, ad esempio, il caso di Mosè con il roveto ardente (Ash-Shūrā 42,51 e Al-A'rāf 7,144). Esprime anche la presenza di un "velo" che ricopre e protegge il Profeta sia nella lettura del Corano, sia nelle discesa della Rivelazione. Si tratta ovviamente di un "velo" spirituale atto a distaccare il Profeta, (ma in realtą qualsiasi fedele, nel senso pił esteso) dal mondo terreno nel momento del messaggio divino. All'interno di questa modalitą rientrano alcune specifiche trasmissioni del messaggio attrverso ru'yā (il sogno), la kashf (la visione) e la formaalta Ilham, quando le voci sono udite o pronunciate in uno stato di trance.
  • Tramite invio di un messaggero Rūhu- 'l-quddus  (Corano an-Nahl 16,2 e 16,5 e 16,102).
  • La prima modalitą di rivelazione



Muhammad, il Profeta illetterato e le figure di Waraqa e del monaco Bahira

In seguito vi furono numerose altre rivelazioni fino alla morte del profeta. Vi furono numerose polemiche da parte sopratutto dei pagani di Mecca che non potevano capacitarsi del fatto che Muhammad, (tradizionalmente ritenuto ummī ("illetterato" e comunque non propriamente "analfabeta")), potesse essere l'autore di versi poetici così stilisticamente complessi ed attribuivano tale capacità ad informatore occulto probabilmente straniero come testimonia il Corano stesso, che scese per difendere il Messaggero dalle accuse dei politeisti:


"...Sappiamo bene che essi dicono: “C'è un qualche uomo che lo istruisce”, ma colui a cui pensano parla una lingua straniera, mentre questa è lingua araba pura..."
(Corano meccano An-Nahl 16,103)

In arabo la parola "iummia", riferito a Muhammad, (Corano meccano Al-A'râf 7,157), dalla radice (hamza mīm mīm), la si può tradurre con il termine "incolto", "illetterato", non necessariamente "analfabeta" La si può trovare ripetuta 4 volte, in qualità di sostantivo come in (Corano medinese al-Baqara 2,78: "E tra loro [gli ebrei] ci sono illetterati (ummyyūna) che hanno solo una vaga idea delle Scritture sulle quali fanno vane congetture") e due volte in qualità di aggettivo: (Corano meccano Al-A'râf 7,157 appunto e 7,158 sempre in riferimento al Profeta Illetterato, "wa-Rasulihi an-Nabiyyi al-Ummiyyi").

Un'altra possibile traduzione del termine ummiyyūn, in riferimento al versetto (Corano medinese Al-'Imrân 3,20), potrebbe essere "Gentili", accompagnando tale termine (con la congiunzione "e"), secondo il riferimento coranico a "coloro a cui fu dato il Libro". Un termine, questo, di difficile interpretazione, utilizzato più volte nel Corano. Alcuni studiosi ritengono che tale termine possa rappresentare una sorta di trasposizione in arabo del concetto ebraico di goyim, che sta ad indicare i "non Giudei", ovvero i Gentili, dal latino gentēs che, nel contesto cristiano occidentale, assunse il significato di "pagani, non-cristiani" (vedi Il Corano a cura di A. Ventura trad. di Ida Zilio-Grandi  - 2010 Mondadori pag. 464).

Da ciò si evince che più che analfabeta, il Profeta Muhammad era un illetterato, nel senso della poca conoscenza delle Sacre Scritture, forse un "gentile", (nel senso di non giudeo), ma non necessariamente pagano, o più probabile un hanif.

In merito al personaggio citato in (Corano meccano An-Nahl 16,103), Ibn Kathir ammette che "forse il Messaggero di Allah usava sedersi con lui qualche volta e parlare un po' con lui, ma lui era uno straniero che non sapeva bene l'arabo, ma solo qualche semplice frase per rispondere alle domande, quando doveva farlo". L'identità di questo personaggio non è comunque nota, alcuni ritengono che fosse Waraqa ibn Nawfal, cugino da parte di padre di Khadīja bint Khuwaylid, la prima e unica (allora) moglie di Muhammad, che per primo lo riconobbe come profeta e che, secondo la tradizione Islamica, usava "scrivere dal Vangelo in Ebraico quanto Allah voleva che lui scrivesse".

Oppure, avrebbe potuto essere uno dei primi compagni di Maometto, Salman il Persiano: la parola araba qui tradotta come "straniero" è "a'jamiyyun" ('ayn jīm mīm) che venica usato allora anche per identificare i persiani, comunque "non arabo", come ci conferma anche il versetto (Ash-Shu'arâ' 26,198).

Il personaggio di Waraqa ibn Nawfal ibn Asad ibn ʿAbd al-ʿUzzā, a dire il vero, è avvolto un pò nel mistero. Alcuni hanno ipotizzato fosse stato un cristiano ebionita, forse nestoriano, sicuramente cristiano convertito in età pre-islamica, probabilmente, dalla fonti della Sīra di Ibn Ishâq, apparteneva ad un gruppo di 4 Qurayshiti, divenuti monoteisti alla ricerca della hanīfiyya, ovvero della religione abramitica autentica (vedasi Corano 2,135; 3,68; 4,125).

Restando nell'ambito delle poche conoscenze su questo personaggio, rivelate nelle biografie della vita del profeta, possiamo trovare alcuni dettagli del ruolo svolto da Waraqa nell'annunciazione e nel riconoscimento del ruolo di messaggero nei confronti di Muhammad. La tradizione afferma che ebbe luogo un primo incontro, a quanto pare, in assenza del Profeta: Waraqa, informato da Khadīja di quanto era accaduto a suo marito sul monte Hirā', avrebbe esclamato: «Santo! Santo! Per Colui che tiene in pugno la mia anima, se tu dici la verità, Khadīja, è venuto a lui il Supremo nāmūs [nòmos], quello che gia` venne a Mosè; egli è il profeta di questa comunità. Digli di non perdersi d'animo». Di seguito, il Profeta tornò sul monte Hirā' per concludere il ritiro che aveva iniziato e poi, al suo ritorno, incontrò Waraqa, in quest'ultima circostanza egli aggiunse: «Sarai trattato come un bugiardo, sarai maltrattato, bandito e combattuto; Dio sa come ti sosterrò se vivrò fino a quel giorno».

Certo, sono parole a cui bisogna destinare un certo peso, sopratutto conoscendo la storia degli anni seguenti, sapendo bene che la provenienza di tali fonti è sicuramente tarda e sapendo bene che Waraqa morì prima poco tempo dopo l'incontro con Muhammad (infatti era gia` molto anziano) e prima che il Profeta iniziasse a esercitare pubblicamente il proprio magistero.

L'utilizzo del termine nāmūs in questo contesto è particolarmente significativo: preso in prestito dal
greco nòmos, esso sta ad indicare la Legge divina e figura in particolare nel Vangelo di Giovanni, nel versetto precedente quello che evoca la venuta del Parakletos (Gv 15,25-26), (traducibile comunque con "Consolatore" e non "spirito santo") in alcuni casi intepretata come la profezia della venuta, dopo Gesù, del profeta Muhammad (il degno di lode), leggendo il passo del Vangelo con il termine periklytos ("glorioso" o "degno di gloria").

Giovanni Damasceno, (Yuhannā ibn Sarjū m. 676-749 circa), presbitero e teologo siriano, indica Waraqa come un monaco eretico che avrebbe istruito il profeta Muhammad e gli avrebbe dettato tutto il Corano.

Waraqa era amico anche di Zayd bin 'Amr bin Nufail, che probabilmente era uno dei quattro alla ricerca della hanīfiyya, altro personaggio un pò misterioso legato al diniego verso la religione dei pagani e alla ricerca della religione abramitica, interrogandosi anche con cristiani ed ebrei.


Muhammad incontra il monaco Bahira. Da Jami 'al-Tawarikh ("La storia universale") c. 1315.

Un'altra controversa e discussa figura che ruotava attorno al Profeta nel primissimo periodo della Rivelazione è il monaco Bahira (Raheb Bouhayra), detto anche "Sergius il Monaco" citato in un racconto della tradizione riportata dal biografo del Profeta, Ibn Ishaq (poi riproposta nella veste giunta fino a noi di Ibn Hisham). L'incontro sarebbe avvenuto, in occasione di un viaggio quando Muhammad aveva nove o dodici anni, Bahira nella città di Bosra in Siria, durante il suo viaggio con meccano carovana , accompagnando suo zio Abu Talib ibn 'Abd al-Muttal. Era un monaco siriaco Bahrani o gnostico manicheo o cristiano nestoriano o ariano (secondo Giovanni Damasceno), che, secondo la tradizione, predisse, per l'allora adolescente Muhammad, la sua futura profetica carriera. Più o meno

 

Studiosi occidentali in merito alla genesi del Corano

Negli anni Cinquanta il domenicano padre Gabriel Théry (1891-1959) sotto pseudonimo di Hanna Zakarias («De Moise à Mohammed. L’islam entrepise juive», Parigi, Cahors, 1955) aveva avanzato un’ipotesi secondo la quale il «Corano primitivo» sarebbe stato il frutto dell’insegnamento orale dato a Maometto soprattutto dai rabbini talmudisti ortodossi ed anche (ma in misura minore) dai cristiani eretici [nestoriani e giacobiti], che si trovavano in Arabia nel VII secolo (soprattutto a Medina e pure a La Mecca e a Taif, anche se in minor numero).

Nel 1977 Patricia Crone e Michael Cook («Hagarism. The making of the islamic world», Cambridge University Press), dopo aver visionato le ultime scoperte archeologiche dell’epoca, hanno dato una spiegazione secondo la quale l’islam sarebbe nato in Siria e il «Corano attuale» non sarebbe un documento storicamente autentico del Seicento dopo Cristo.

Padre Antoine Moussali (deceduto nel 2003) affermava che il «Corano originario» sarebbe stato una
sorta di lezionario usato da una setta di giudeo-cristiani (o cristiani venenti dal giudaismo o «giacobitismo», i quali credevano che per salvarsi non bastasse la fede in Cristo e le buone opere, ma occorresse osservare il cerimoniale dell’Antico Testamento).

Nel 2004, A-L. De Prémare («La fondation de l’islam», Parigi, Seuil, 2002; Idem, «Aux orìgines du Coran», Parigi, Téraèdre, 2004) ipotizzò che l'autore del «Corano primitivo» non fosse un rabbino ortodosso che avrebbe ispirato Maometto, ma una setta di giudaizzanti o giudeo-cristiani, come sostengono gli studiosi più recenti testè citati, i quali - tuttavia - mantengono ferma l’ipotesi del Théry di due Corani, uno primitivo e l’altro odierno, assai diversi tra loro.

il professor Sergio Noja Noseda, deceduto nel 2008,

 

Il Corano

All'epoca della rivelazione non esisteva ancora il Corano, inteso come testo unico scritto, ma esistevano tutta una serie di versetti e tradizioni profetiche trasmessi principalmente in modo orale fra i compagni, anche con letture diverse. Non esisteva nemmeno una vera e propria demarcazione netta fra ciò che in seguito andrà a formare il Corano e ciò che verrà tramandato nella tradizione profetica (Sunna).

Il Corano è diviso in 114 capitoli, detti sure (sūrāt), a loro volta divise in 6236 versetti(sing. āya, pl. āyyāt). Questo numero però varia per la redazione messa a punto in alcuni ambienti sciiti che vi comprendono infatti alcuni versetti e due intere sure, chiamate "sūra delle due luci" (sūrat al-nūrayn) e "sūra della luogotenenza" (sūrat al-wilāya). Ogni sūra, con l'eccezione della nona, comincia con la cosidetta basmala: "Nel nome di Dio, il più clemente, il più misericordioso".

Alla complessità linguistica, si deve aggiungere anche la complessità strutturale del Testo. Sebbene la classificazione ufficiale non rispetti l'ordine cronologico, la scienza coranica, sulla base delle circostanze della rivelazione (âsbâb ân-Nuzûl), definisce 3 periodi ambientati a Mecca: primo periodo meccano (definito come escatologico) della Rivelazione (dal 610 al 615), un secondo periodo meccano definito profetico, (dal 615 al 619) e l'ultimo periodo meccano (619-622) ove si esalta l'onnipotenza di Dio ed un ultimo periodo, quello medinese (delle regole della ummah) fino al 632, anno della morte del Profeta.

Il rasm originario (Ar-Rasm al-`Uthmanî - l'insieme di segni grafici che formano le consonanti dell'arabo) non aveva punti diacritici, né segni di vocalizzazione o di geminazione (shadda) o segni d'interpunzione e pausa (sukun) o d'assimilazione, né la scrittura della hamza. Gli scribi (kuttāb) incaricati di redigere il sacro testo cercarono di non imporre più di tanto, per mancanza di unanimità di consensi, una lettura che prevalesse rispetto alle altre concorrenti e rimasero per secoli successivi numerosi "stili di lettura" diversi  (qirāʾāt). Anche se tutte le altre versioni scritte (anche se parziali) che esistevano allora vennero bruciate.

Nell' VIII e IX secolo, più di cento anni dopo la morte di Maometto, i commentatori islamici aggiunsero segni diacritici per chiarire le ambiguità del testo, attribuendo, secondo alcuni, significati specifici ai brani sulla base di quello che consideravano essere il loro contesto appropriato.

Il Corano, che noi oggi leggiamo, ufficialmente deriva dalla versione della cosidetta "Vulgata di 'Uthmān", (datata circa verso il 650), dal nome del terzo califfo ʿUthmān ibnʿAffān (644-656) che ha espressamente voluto la fissazione del testo coranico, finora diviso in tantissimi singoli pezzi, ed alcuni discordanti fra loro, in un unico corpus letterario tramite un ampio lavoro di un gruppo di kuttāb (compilatori, tra cui spiccano i nomi di Muʿāwiya ibn Abī Sufyān,'Abdallah ibn Sa'd e Zayd ibn Thābit), raccogliendo e controllando le rivelazioni susseguitesi negli anni, registrate oralmente o su vari supporti usati all'epoca (presumibilmente pezzi di legno, osso, pergamena, tessuti), adottando l'attuale criterio di classificazione attuale delle sūre (Al-Fâtiha l'Aprente posta all'inizio e poi dalla più lunga alla più corta).

Il Corano nasce, quindi essenzialmente in forma orale, in un cultura caratterizzata da una diffusione orale delle informazioni tipica del mondo tribale arabo dell'epoca.

C'è da dire anche che, sebbene si riconosca e si rispetti pienamente la sacralità del testo, si tratta, come ci fa notare il compianto studioso egiziano Nasr Abu Zayd, pur sempre di un "prodotto linguistico che appartiene ad una determinata cultura" che non può in alcun modo esser disgiunto dalle scienza del linguaggio (fonetica, morfosintassi, lessicologia, semantica, filologia), come, invece, per vari motivi, è stato fatto finora.

"...Ogni lettura consiste nell'interpretazione del passato, alla luce del presente..."
(Nasr Abu Zayd)

La parola, il senso ed il significato

Fattore fondamentale, quindi, del Testo sacro è la lingua ed è la stessa lingua a formarsi, a definirsi all'interno del Libro stesso.

"...Quando Dio rivelò il Corano lo fece nell'idioma del suo primo destinatario, ovvero il Profeta..." (Nasr Abu Zayd)

"...L'origine divina del testo non nega la realtà del suo contenuto, né, di conseguenza, la sua appartenenza alla cultura del mondo degli uomini..."(Nasr Abu Zayd)

Cos'è allora la lingua ? La lingua è una serie di segni peculiari, proprio di una determinata comunità, a cui vengono associati dei vocalizzi, che fungono da rappresentazione e da comunicazione. Il Testo, così, assume funzione informativa che non può essere separata dal sistema linguistico (funzione a sua volta della cultura). Si stabilisce così, rapporto di comunicazione fra un emittente ed un ricevitore, attraverso un intermediario, in questo caso un codice: la lingua stessa.

E' il caso appunto, del Corano, la cui natura è quella del "Messaggio" e la lingua araba acquisice la funzione referenziale del Testo stesso. Inoltre, dobbiamo considerare il fatto che nell'Islam, tra Corano e Sunna parliamo di testi che abbracciano un arco di più di 26 anni, forse anche 100 considerando la loro stesura finale.

La parola non è altro che un'immagine sonora o grafica priva di significato. Il senso è frutto dell'interpretazione analitica del testo al momento della sua redazione. Le parole non hanno alcun significato di per sé stesse (se non quello convenzionale). Il significato è l'esito di una lettura diferita nel tempo; esso è fluido, variabile.

"...I testi fondatori si riferiscono, in origine, ad una realtà storicamente determinata, ed è questa realtà che determina il loro senso..."(Nasr Abu Zayd)

Il Corano è rivelazione ed è il Libro stesso ad affermare la sua caratteristica referenziale divina, la sua destinazione verso il profeta e il codice di trasmissione (ovvero la lingua): (Corano Ash-Shu'arâ' 26,192; Al Isrâ' 17,105; An-Najm 53,4). E' una "rivelazione ispirata" (ūahiun īūha), o una "rivelazione, rivelata a lui" o una "ispirazione, ispirata".

"...I testi religiosi non possono, comunque, prescindere dall'intervento umano per essere compresi ed interpretati perché non sono in grado di manifestare il loro senso da soli..."(Nasr Abu Zayd)

"...Il Corano è muto, sono gli uomini a parlare in suo nome..."
(Imâm 'Alī ibn Abi Talib- riportato da AT-Tabarī - Ar-Rasul wa-l-mulūk, vol.5,p.66)

A seguito della morte della profeta

La tradizione vuole che, dopo la morte del profeta Muhammad (632) e, successivamente alle polemiche in merito alla sua successione, il primo califfo Abū Bakr ʿAbd Allāh ibn Abī Quhāfa aS-Siddīq (632-634), a seguito della guerra cosidetta "della Ridda" (633) ed in particolare, a seguito della battaglia di ʿAqrabāʾ o detta anche di Yamāma, contro le truppe di Musaylima ibn Habīb, chiamato dai musulmani come Maslama ibn Habīb, al-Kadhdhāb (Il Mentitore)), ove vi si registrarono numerose perdite, (anche fra i cosiddetti "lettori" (qurrāʾ) di Qur'ān), furono radunati i compagni che conoscevano a memoria la recitazione a dimostrazione del fatto che non vi fossero divergenze tra loro, e fu confrontato il tutto anche con i differenti materiali scrittori su cui i versetti erano stati annotati. Fu così redatto (ufficialmente) un unico testo, che venne custodito dalla moglie del Profeta, Hafsa bint ʿUmar, figlia appunto di ʿUmar ibn al-Khattāb e moglie del profeta Muhammad.

Non è detto in realtà, che il codex Hafsa sia stato completato all'epoca ancora di Abū Bakr.

In particolare, nella battaglia contro Musaylimah, vide la morte Salim Abu Mawla Hudhayfa, (ex-schiavo persiano, divenuto uno più stretti compagni del profeta, noto per la sua conoscenza del Corano.

Musaylimah apparteneva alla tribù dei Banū Hanifa, branca cristiana dei Banū Bakr. L'attuale casato reale saudita degli Āl Saʿūd ne fa parte.

Di questo codex (mushaf), ʻ'Uthmān ibn ʻAffān, terzo califfo (644-656), fece realizzare, grazie a un gruppo di scribi capitanati da Zayd ibn Thābit, già segretario del profeta, ex-ebreo, le prime quattro copie manoscritte (suhūf (pagine)) del cosiddetto “Qur'ān l-ʿUthmān” e fece bruciare le versioni discordanti, sfruttando (come egli stesso disse) ogni "pergamena, scapola di animale, foglie di alberi di palma e la memoria di ogni altro uomo che avesse imparato a memoria [qualsiasi parte della Rivelazione]".

Ufficialmente, due di queste copie (comunque molto più tarde XVI sec.), sono conservate una al Museo Tashkent, (Uzbekistan), e l'altra al Museo Topkapi di Istanbul, in Turchia.

Si narra, in un hadith di Bukhārī, Vol.6,B.61,N.510, un gruppo di compagni del Profeta si presentò a ʻ'Uthmān con questa richiesta: "Hudhaifa ibn al-Yamān (m.656) temeva le differenti recitazioni del Corano, così chiese ad 'Uthmān': -Oh principe dei Credenti! Salva questa nazione prima che si divida sulle  [delle differenze prodotte dalla diversa lettura] del Corano come già fecero gli Ebrei e i Cristiani-
In risposta alla richiesta, il califfo 'Uthmān inviò un messaggio ad Hafsa poiché ella custodiva il manoscritto originale terminato nel 634.

-Inviaci il manoscritto del Corano, così che possiamo stilarne copie perfette e restituirtelo- Hafsa lo consegnò ad Uthman. 'Uthmān ordinò allora a quattro scribi di copiare il manoscritto in copie esatte. In seguito, il Codice fu restituito ad Hafsa.

In possesso di copie, a suo dire, fedeli alla prima stesura (mushaf) , 'Uthmān ordinò che qualsiasi copia differente dall'originale fosse distrutta: inviò in ogni provincia una copia dell'originale ed ordinò che qualsiasi altro materiale coranico, frammentario o intero, che non fosse fedele all'originale fosse distrutto.

A coordinare la stesura fu ancora Zayd ibn Thābit ibn al-Dahhāk (611-666 Ansar - "Ausiliario" originario di Yathrib/Medina convertitosi all'Islam a seguito dell'arrivo in città del profeta). Zayd venne incaricato, quindi, di redigere quella che viene considerata la prima "Vulgata" coranica. Lo stile del dialetto arabo usato nel Hijaz, fu quello che prevalse nella redazione della Vulgata di ʿUthmān. Il principio fu quello di accettare solo quelle tradizioni che, separatamente testimoniate da due musulmani che le avevano raccolte di persona, fossero in tutto e per tutto combacianti alla lettera.

Una sola eccezione fu fatta per Khuzayma ibn Thābit (m. 657 Ansar anche lui, inizialmente rifiutò di riconoscere l'autorità di Abū Bakr), la cui eccezionale memoria e affidabilità gli aveva procurato il soprannome onorifico di Dhū l-shahādatayn (quello delle due testimonianze), per il quale fu accettato il principio della validità della sua unica certificazione. A redazione ultimata (si parla del 647 circa), il califfo 'Uthmān dette disposizione affinché le copie divergenti da quella stilata per suo incarico, fossero distrutte e restituì il manoscritto originale ad Hafsa e inviò copie da vari punti importanti del territorio musulmano.


Pagina di una copia del Corano in caratteri kufici (IX - XI secc.)
Bibliothèque nationale de France (Paris)

I compilatori (kuttāb) del Corano ed i vari codex (mashahef)

Secondo la tradizione, I personaggi (coinvolti direttamente e non), dapprima con Abū Bakr, (fino al 634) e poi con i membri del gruppo consultivo (mushawarah) della stesura della Vulgata coranica di 'Uthmān, (m. 656), ispirata al codex Hafsa redatto precedentamente, erano circa 48, di cui i famosi erano i seguenti:

  • Zayd ibn Thābit ibn al-Dahhāk (ex-ebreo, capo-compilatore incaricato dapprima da Abū Bakr per il codex Hafsa e poi da 'Uthmān) segretario del profeta. (codex Hafsa di Mecca)
  • ʿAbd Allāh ibn Saʿd ibn Abī Sarh al-`Amiri (m.656 - fratello di latte di 'Uthmān) segretario del profeta, autore di un episodio alquanto controverso nel quale egli rinucia all'Islam temporaneamente per poi ritornarci, perché avrebbe capito che non tutto ciò Muhammad affermava di trascrivere non era di provenienza solo divina, trascrivendo erroneamente un versetto, ma confermandolo da parte dello stesso profeta.
  • Khuzayma ibn Thābit (m.657)
  • Hudhaifa ibn al-Yamān (che segnala al califfo la presenza di numerose versioni)
  • 'Abd Allāh ibn Masʿūd (di origine beduina, tra i primissimi convertiti, sarebbero da attribuire a lui le narrazioni sull’ascensione notturna del Profeta (miʿraj), sul suo viaggio miracoloso a Gerusalemme (isrāʾ), e la data della Notte del Destino). Abd Allāh si rifiutò di consegnare il proprio manoscritto (una mushaf da lui stesso vergata e alquanto difforme da quella di ʿUthmān) atto che gli costò una severa punizione corporale che forse però non fu ordinata dal Califfo, ma fu il risultato di un’iniziativa del personale inviato a sequestrare la sua copia per poi distruggerla. Si rifugiò a Kufa (nell'odierno 'Iraq) ove morì. (codex ibn Masʿūd di Kufa)
  • Ubay ibn Ka'b (m.649) dichiaratamente in possesso di un suo codex (mushaf) con circa 93 varianti nella sola sura al-Baqara, un'ordine diverso delle sure; ha rifiutato di dare il suo giuramento di fedeltà ad Abū Bakr, fino a quando non lo fece anche Alī. (codex Ubay di Siria)
  • 'Alī ibn Abi Talib (m. 661), cugino e genero del profeta, nonché (codex 'Alī - parziale)
  • Abū Musa al-Ashari (m. 662 o 672), originario di Hadhramaut (nell'odierno Yemen) (codex  Abū Musa al-Ashari di Bassora e forse una copia in Yemen)
  • 'Abdullah ibn az-Zubayr (m.692), nipote di Abū Bakr e di 'Aisha
  • Khālid ibn Saʿīd ibn al-ʿĀṣ al-Umawī (m. 635)

Sta di fatto che ancor oggi, sebbene parziali e frammentarie, si possono trovare tracce di queste versioni differenti del Corano ufficiale. Il Corano non venne comunque mai considerato nella vita quotidiana della prima comunità islamica come un testo scritto almeno fino all'età della stampa.

Secondo alcuni studiosi, come ad esempio Jalel El-Din, dalla Vulgata di 'Uthmān, mancherebbero due intere sure, presenti, invece, nell'antica versione di Ibn Abbas.

Recentemente, il ricercatore Christopher Luxenberg, ha proposto una revisione della lettura del Corano, ritenendo che originariamente esso nascesse

 

La riforma del califfo omayyade 'Abd al-Malik - la formazione dell'Islām

Le controversie sulle varie versioni e letture continuare fino al X sec.

'Abd al-Malik ordinò al governatore dell'Iraq Hajjaj di preparare una riedizione del testo del Corano, questa volta, con la presenza di vocali e punti diacritici.

Lo scopo era quello di ribadire il concetto secondo cui i veri credenti erano (solo) coloro che veneravano Muhammad quale profeta di Dio ed il Corano in arabo rivelato legittimava così il regno omayyade come il "regno di Dio". Avvene così una strumentalizzazione del discorso religioso a fini politici.

Il califfo diventava così "khalifat Allah", il "delegato di Dio", parafrasando e strumentalizzando il versetto (38,26)

Gli Omayyadi definirono l'Islām che noi oggi conosciamo, In linea di massima, fino a due-tre secoli dopo la nascita della versione tradizionale (più nell'830 d.C. che nel 630) "non esisteva l'Islam che noi conosciamo".

Segnali di manomissioni e omissioni dalle fonti

E' interessante sottolineare che vi sono numerose tradizioni riferite nel Sahih al-Bukhari e nel Sahih Muslim le quali sostengono che molti versetti del Corano sono andati perduti. [Al-Bukhari, Al-Sahih, vol. 8 p. 208; Muslim, Al-Sahih, vol. 3 p. 1317].E le stesse fonti sunnite sostengono che due intere sure del Corano sono andate perdute, e che una di esse era di lunghezza simile alla sura al-
Bara'ah (sura 9) [Muslim, Al-Sahih, Kitab al-Zakat, vol. 2 p. 726].

Alcune tradizioni sunnite affermano anche che la sura al-Ahzab (sura 33) era lunga quanto quella di al-Baqarah (sura 2) Le tradizioni del Sahih di al-Bukhari e di Muslim riportano alcuni dei versetti che si suppongono perduti [Al-Bukhari, Al- Sahih, vol. 8 p. 208].

Esistono alcuni testi in cui alcune parole 'extra' sono indicate esclusivamente come supporto alla spiegazione; non implicano che l'originario testo coranico sia stato distorto. Questo avviene tanto in fonti shiite che sunnite. Una nota in calce del Tafsir di Ibn Kathir spiega che le parole addizionali
sopra indicate, che non sono parte del Corano, erano recitate da questi
Compagni del Profeta (s) solo come forma di tafsir e spiegazioneConside[Fakhr al-Din al-Razi, Mafatih al-Ghayb (Beirut, 1981), vol. 9 p. 53]
[Ibn Kathir, Tafsir al-Qur'an al-'Azim (Beirut, 1987), vol. 2 p. 244]


Prima pagina Corano stampato ritrovato a Venezia (1537)


Frammento di pergamena di Corano
Biblioteca nazionale universitaria di Torino


Manoscritto risalente al VII secolo, scritto su pergamena nello stile hijāzī


Manoscritto in hijāzī, molto antico risalente probabilmente al VII sec, attualmente esposto al Maktabat al-Jami 'al-Kabir a Sanaa (Yemen)

Corano scritto in ma'il (fine VIII sec.) custodito presso la British Library a London (a sinistra il particolare (Corano  da al-Shu‘ara’ 26,183 a al-Naml 27,3)

Pergamene coraniche di Birmingham

Riferimenti bibliografici e links utili


 

 

 


 

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