Il matrimonio nell'Islam - La donna musulmana può sposare soltanto un uomo musulmano ?

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Il matrimonio nell'Islam - An-Nikāh

15 marzo 2012 - autore: 'Alī M. Scalabrin
Ultimo aggiornamento: 04 luglio 2015

Nell'Islam, la Sharî'a(lett. "la grande Via" o "la Via diritta"), intesa come un insieme di regole di buona azione della vita di un musulmano, si integra all'interno del diritto musulmano moderno, a tal punto da confondersi, con quello che viene  chiamato Fiqh,ovvero l'insieme del sapere e della conoscenza che vanno ad elaborare le basi del diritto islamico, (si tratta propriamente di uno sforzo teso ad individuare la legge di Dio, per mezzo della conoscenza della sharî'a, non la sua esclusiva espressione). Si tratta quindi di un tentativo, che si traduce in un codice di diritto, che si ispira alla Sharî'a.

Le fonti principali che gettano le fondamenta del Fiqh sono il Corano rivelato e la tradizione profetica (Sunna), sviluppato nei secoli grazie all’attività interpretativa dei dottori della legge. Tali originarie fonti hanno fatto sì che la sharî'a, per sua natura, fosse un sistema legale sfuggevole al controllo dello stato e quasi mai applicato interamente, nemmeno durante l'era califfale.  Questa norme, che trovano il campo nel penale, nel diritto dei contratti e nello statuto personale, fanno parte di un diritto che, oggi come oggi, non trova una diretta e pratica applicazione integrale nei paesi musulmani, ma bensì, ogni ordinamento di questi stati trae spunto, più o meno liberamente, dalla sharî'a, ma non ne fa un'applicazione esclusivistiva ed assoluta di esso, concedendosi liberamente di sostituire, ad esempio, norme di diritto penale sharì'atico con modelli giuridici penali occidentali.  Anche il diritto civile e commerciale ha subito l'influenza di codici e leggi europee, mentre lo statuto personale (termine che si riferisce all’insieme di norme che riguardano la capacità della persona, il matrimonio e il suo scioglimento, la filiazione, le successioni), rappresentandone il modello di società statale a cui fare riferimento, è rimasto abbastanza fuori dalle influenze del diritto europeo.   

Il matrimonio e più in generale, il cosidetto "diritto di famiglia" nei paesi islamici è regolamentato da un codice di leggi (qânûn) che si rifà anche e non solo alla Sharî'a.

In quest'ultima o meglio nella sua applicazione giuridca del Fiqh, (il diritto musulmano), il matrimonio (an-Nikâh) rientra all'interno delle mu’amalât (pratiche e regole sociali) contenute all'interno del ‘Ilm al-Furu al-Fiqĥ (la scienza dei rami del diritto musulmano), ove si vede che il Nikah è regolamentato al pari di un contratto civile ('aqd - pl. 'Uqûd) bay‘ (di scambio) di compravendita privata fra le parti.

Il matrimonio islamico è normalmente un'istituto coniugale monoandrico poliginico, o altresì un negozio formale, (atto di autonomia privata in cui sono necessarie determinate modalità di manifestazione). Aldilà del fatto che all'epoca della nascita dell'Islâm fosse una cosa normalissima e consuetudinaria, ciò non implica necessariamente che l'oggetto di scambio sia la donna in sé in cambio della dote, ma che il contratto matrimoniale sia regolamentato all'interno di alcune regole ben specifiche comuni ai contratti di compravendita.

Lo statuto personale è dunque una partizione caratteristica dei sistemi giuridici arabi, e più in generale islamici, che si è definita storicamente come l’ambito di massima resistenza opposta dal diritto musulmano ai progetti di modernizzazione, di occidentalizzazione e di riforma giudiziaria e sostanziale.

Il matrimonio islamico, quindi, non ha carattere sacramentale a differenza di quello cristiano.

Il matrimonio che si celebra in un paese che basa le proprie leggi su principi islamici, come il Marocco, la Tunisia, l'Egitto è sempre e solo un’unione civile e religiosa insieme, in quanto, sebbene essa sia sempre prefissata dalla classica formula di rito “nel nome di Dio...” e possieda prescrizioni di origine islamica, l’unione matrimoniale è stipulata unicamente nel campo dei contratti legali fra privati e viene stilata, al pari di altri contratti, davanti ad un ‘Adoul, che non è altro che un notaio con funzioni giuridico islamiche, che ne accerta la validità ed il rispetto della normativa vigente e lo registra presso le autorità giudiziarie preposte. L’islam non conosce il concetto teologico di sacramento, caratteristico del cristianesimo.

Tanto la donna quanto la sua famiglia sono titolari di un autonomo interesse a un buon matrimonio. Le parti possono apporre al contratto clausole e stipulazioni dirette a modificarne gli effetti tipici, purché non contrastanti con i principi irrinunciabili che lo reggono. Il marito può inoltre promettere di non sposare un’altra donna (clausola di monogamia), o può dare alla donna mandato di autoripudiarsi.

Il matrimonio nel Corano

Tutti questi versetti sono intendersi sempre conformemente al concetto di introduzione di una regolamentazione laddove non esisteva che la tradizione tribale ed aracaica dell'Arabia pre-islamica della jāhiliyya. Come tali vanno interpretati e adattati al contesto moderno, alla luce di un diritto sempre in evoluzione.


"...e dicono: “Signore, dacci conforto nelle nostre spose e nei nostri figli e fai di noi una guida per i timorati [di Allah]..."
(Corano meccano Al-Furqân 25,74)


"...Non sarete rimproverati se accennerete a una proposta di matrimonio, o se ne coltiverete segretamente l'intenzione . Allah sa che ben presto vi ricorderete di loro. Ma non proponete loro il libertinaggio : dite solo parole oneste. Ma non risolvetevi al contratto di matrimonio prima che sia trascorso il termine prescritto..."(Corano medinese al Baqarah 2,235)


"...O voi che credete, non vi è lecito ereditare delle mogli contro la loro volontà . Non trattatele con durezza nell'intento di riprendervi parte di quello che avevate donato , a meno che abbiano commesso una palese infamità . Comportatevi verso di loro convenientemente. Se provate avversione nei loro confronti, può darsi che abbiate avversione per qualcosa in cui Allah ha riposto un grande bene..."(Corano medinese An-Nisâ' 4,19 trad. H. Piccardo)

Questo versetto vieta di ereditare dalle donne contro la loro volontà, e ordina agli uomini di non trattarle duramente al fine di spingerle alla rinuncia della loro dote, in tutto o in parte -"a meno che non siano colpevoli di flagrante impurità". Aisha, moglie del profeta, racconta, secondo il Mishkat al-Masabih, che Mohammad disse: "Il migliore di voi è chi è migliore verso sua moglie, e io sono il migliore verso le mie mogli".


"...E fa parte dei Suoi segni l'aver creato da voi, per voi, delle spose, affinché riposiate presso di loro, e ha stabilito tra voi amore e tenerezza. Ecco davvero dei segni per coloro che riflettono..."(Corano meccano Ar-Rūm 30,21 trad. H. Piccardo)


"...Di ogni cosa creammo una coppia, affinché possiate riflettere..."
(Corano meccano Adh-Dhâriyât 51,49 trad. H. Piccardo)


"...Uomini, temete il vostro Signore che vi ha creati da un solo essere, e da esso ha creato la sposa sua, e da loro ha tratto molti uomini e donne. E temete Allah, in nome del Quale rivolgete l'un l'altro le vostre richieste e rispettate i legami di sangue. Invero Allah veglia su di voi.."
(Corano medinese An-Nisâ' 4,1 trad. H. Piccardo)

Ibn Kathīr (1301-1373), nel suo Tafsīr al-Qur'an, commenta i precedenti verseti come segue: “Se Allah avesse reso maschi tutti i discendenti di Adamo e avesse creato le femmine da un'altra specie, magari dagli jinn o dagli animali, non ci sarebbe mai stata armonia tra loro e le loro spose. Ci sarebbe stata repulsione se le spose fossero state di una specie diversa. Ma, per la sua perfetta misericordia, Allah creò le loro mogli della loro stessa specie e creò amore e gentilezza tra loro".

Nella Sunna di Bukhārī e Muslim, troviamo il detto, riferito da Ibn Mas'ud, secondo cio il profeta avrebbe detto: "Giovani uomini! Coloro tra voi che ne abbiano la possibilità si sposino. Il matrimonio è il miglior controllo per gli occhi concupiscenti e un efficace aiuto per mantenere la castità".

Inoltre, è utile riportare anche un altro detto, trasmesso da at-Tabarani e al-Hakīm, secondo cui il profeta avrebbe detto: "Colui al quale Allah concede una moglie religiosa, è stato aiutato a conservare metà della sua religione. Tema dunque egli Allah (SWT), così che possa conservare la metà rimanente".

Il matrimonio nell'Islam non è finalizzato unicamente alla riproduzione della specie umana, ma è rivolto anche all'amore, alla comprensione, alla benevolenza e al piacere stesso dell'atto sessuale all'interno della coppia, questo genera barakat (benedizioni).

Alcuni studiosi del panorama classico islamico tradizionale avrebbero concluso, ritenendo quindi, il matrimonio un dovere (wajib o fard) e il celibato/nubilato non sarebbe raccomandato o disapprovato, altri invece, diversificano in obbligatorio (fard), raccomandato (mustahabb) e consentito, a seconda dei vari casi, nelle varie situazioni.

Condizioni di impedimento al matrimonio che determinano butlan (nullità)

Mentre resta abbastanza unanime il consenso dei dotti verso le condizioni di proibizione (haram) del matrimonio. Gli impedimenti perpetui sono:

    • Parentela di sangue (nasab - tra un uomo e sua madre (e nonna), figlia, sorella, zia paterna e materna, nipote figlia della propria sorella o del proprio fratello, e nipote figlia del proprio figlio o della propria figlia; sulla base di Corano An-Nisa' 4,22-23). Haram fra ascendenti e discendenti e collaterali (non è haram il tabanni cioè vincolo di adozione).
    • Matrimonio tra parenti di coniugi: (musahara) il matrimonio è proibito tra un uomo e la madre di sua moglie o la madre della sua ex-moglie (anche dopo la dissoluzione del primo matrimonio tramite divorzio o morte). Un uomo non può sposare la figlia di sua moglie, o della sua ex moglie, a condizione che questo matrimonio sia stato consumato. Se non è stato consumato, l'uomo può sposare la ragazza, a condizione che il matrimonio con la di lei madre sia stato prima sciolto. E' anche proibito sposare la ex moglie del proprio figlio (o la ex moglie di un nipote), che il matrimonio sia stato consumato oppure no, e anche se si tratti della vedova del proprio congiunto. Così come è proibito sposare l'ex moglie del proprio padre o nonno, sia che si tratti di una divorziata o di una vedova, e che il matrimonio sia stato consumato oppure no.
      E' anche proibito sposare due sorelle contemporaneamente, o una donna e sua zia contemporaneamente. Ma dopo aver divorziato dalla prima sposa, o dopo la sua morte, l'uomo può sposare la di lei sorella o zia.
  • Nel caso in cui l'uomo e la donna siano stati allattati dalla stessa nutrice, poiché la parentela di latte è assimilata a quella di sangue. Alcune scuole (shafi'i) considerano tale proibizione in caso di allattamento completo fino alla sazietà del bambino, altre (hanafi) anche per solo una poppata. Alcune scuole ritengono anche che, se il latte non venisse succhiato direttamente dal seno, ma venisse, ad esempio, estratto con un 'tiralatte' e bevuto dal biberon, la parentela sussisterebbe ugualmente.
  • Ad un uomo è proibito risposare una donna da cui abbia divorziato tre volte, a meno che ella sia stata nel frattempo sposata ad un altro uomo che poi l'abbia divorziata (sulla base di Corano al-Baqara 2,230).
  • Se una delle due parti sa per certo di non poter adempiere i propri doveri biologici o fisici (interpretabile).
  • Quando un uomo non può assolutamente corrispondere le richieste finanziarie che esso impone. Non può sposarsi chi non ha il tasarruf (piena disponibilità dei propri beni) (interpretabile).
  • Una donna sposata non può sposare un altro uomo mentre sia ancora unita in matrimonio a suo marito. Precedente valido vincolo matrimoniale per la donna (o in stato di iddah (periodo di vedovanza) per cui il matrimonio si considera ancora valido quinto vincolo matrimoniale per l'uomo.
  • Non rispetto della iddah della donna (periodo di tre cicli mestruali per la divorziata, quattro mesi e 10 giorni in caso di vedovanza, il parto per la donna incinta (vedova o divorziata), due mesi per la donna divorziata che sia già in menopausa). Termine che rende il primo matrimonio definitivamente sciolto.
  • E' proibito per un uomo fare proposte matrimoniali ad una donna sposata, affinché essa divorzi dal primo marito per sposare lui.
  • Un uomo musulmano può sposare fino a 4 mogli, previo accertamento delle condizioni prescritte.
  • Uomo musulmano con donna politeista, pagana o miscredente.
  • Donna musulmana con uomo che non sia musulmano. Può essere superato con la conversione dell’uomo all’Islam.
  • Il matrimonio temporaneo (mut‘ah), anche detto "a termine", (munqati') è proibito (harām) nell'Islam sunnita (è ammesso solo nell'Islam sciita (shīʿah), in quanto sarebbe stato abolito definitivamente solo ai tempi del califfo 'Omar ibn al-Khattāb nel 637 circa, in un suo discorso . L'hadīth (sahīh Muslim, 1406 – libro 16, hadīth 32) secondo cui Rabi' ibn Sabrah al-Juhani, attraverso suo padre, avrebbe affermato che il profeta stesso, ancora in vita, avrebbe decretato la sua proibizione, è da considerare sicuramente opera tarda per legittimare a posteriori, retroattivamente, il divieto. Infatti, le parole del detto: "è proibito da questo stesso giorno dei vostri fino al Giorno della Resurrezione" sono suscettibili di dubbio. D'altra parte, nella stessa raccolta Sahīh āl-Bukhārī, (volume 2,pag.375/6:60:43) e Sahīh Muslim (volume 4,pag.13), approvata dal mondo sunnita, troviamo Imran ibn Husain, compagno del profeta che narra come tale partica fosse lecita. Lo stesso sheikh hanbalita salafita saudita contemporaneo Muhammed Salih Al-Munajjid afferma la mut‘ah "è stato consentita per un breve periodo durante i primi giorni di Islam, quando la società era [ancora] in fase di transizione", ma si premura di affermare che la proibizione avvene con il profeta ancora in vita. Sappiamo per certo che almeno fino al 628 con la conquista di Khaybar, la mut‘ah era ancora praticata, come ci conferma il Tafsir di Ibn Kathir (Tafsir al-Qur'an al-Azim , Volume 1 pag. 74). Ad ogni modo, non vi è alcun accenno nel Corano di tale tipo di "matrimonio" (gli sciiti sostengono che il versetto (An-Nisâ' 4,24) giustificherebbe tale pratica, in quanto si parla di rapporti con proprie schiave anche se sposate con altri. Il testo "...Alle donne delle quali come godrete (istamta'tum) di esse come spose..." non si riferisce ai matrimoni temporanei e nulla prescrive la leicità della mut‘ah, sebbene sia indubbio che sia stata praticata. In effetti, come ci conferma il prof. Florian Pohl, del dipartimento di religione dell'Oxford college, la questione è controversa. Oggi come oggi, però, questa tipologia di "matrimonio" è considerarsi decisamente proibita.
  • Un uomo musulmano shi'ita può sposare una donna musulmana shi'ita o una donna musulmana non shi'ita, (ciononostante, se esiste il pericolo di essere fuorviati, allra diventa haram), oppure può sposare una donna ebrea o cristiana solo con muta'a. Non può comunque sposare una donna che si ritenga di alcuna altra fede.
  • Mentre, una donna musulmana shi'ita può sposare un uomo musulmano shi'ita, un musulmano non shi'ita, (anche se è meglio non farlo e, se esiste il pericolo di essere fuorviate, ciò diventa haram), non può sposare, invece, un uomo che non sia musulmano, questo conformemente anche all'Islam sunnita. Può essere superato con la conversione dell’uomo all’Islam, ma in questo caso la conversione avviene necessariamente verso l'Islam shi'ita.
  • Laddove manchino formalmente anche e solo una delle condizioni indispensabili per la regolarità del matrimonio descritte di seguente. I vizi di forma, di volontà o di consenso (errore sulla persona, sulle qualità, sullo stato di ikrah, in caso di violenza ecc) sono cause di fasad (annullabilità).



"...Non sposate le donne che i vostri padri hanno sposato - a parte quello che è stato . E' davvero un'infamità, un abominio e un cattivo costume. Vi sono vietate le vostre madri, sorelle, figlie, zie paterne e zie materne, le figlie di vostro fratello e le figlie di vostra sorella, le balie che vi hanno allattato, le sorelle di latte, madri delle vostre spose, le figliastre che sono sotto la vostra tutela, nate da donne con le quali avete consumato il matrimonio - se il matrimonio non fosse stato consumato non ci sarà peccato per voi - le donne con le quali i figli nati dai vostri lombi hanno consumato il matrimonio e due sorelle contemporaneamente - salvo quello che già avvenne - ché in verità Allah è Perdonatore, Misericordioso..."
(Corano medinese An-Nisa' 4,22-23 trad. H. Piccardo)


"...Se divorzia da lei (per la terza volta) non sarà più lecita per lui finché non abbia sposato un altro. E se questi divorzia da lei, allora non ci sarà peccato per nessuno dei due se si riprendono, purché pensino di poter osservare i limiti di Allah..."

(Corano medinese al-Baqara 2,230 trad. H. Piccardo)

Le condizioni indispensabili al matrimonio

Il matrimonio (An-Nikāh) avviene attraverso la presa in carico di determinati fattori. Per essere halal in un nikah devono sussistere queste condizioni indispensabili:

  • L'unione coniugale è regolamentata solamente fra individui di sesso opposto fra loro. (Per quanto si possano fare numerose considerazioni sulla legittimità o meno dei rapporti omosessuali nell'Islam, la sfera giuridico-islamica del Nikah riguarda esclusivamente coppie eterosessuali).
  • L'impegno nell'intenzionalità. Entrambi i coniugi si impegnano, davanti a Dio e verso la vita stessa, con un contratto legale (che deve essere valevole nel paese di celebrazione), nei confronti dei propri doveri reciproci e nel mantenimento dei rispettivi diritti responsabilmente. E' un impegno che gli sposi prendono  l'uno verso l'altro e nei confronti dell'Altissimo e nei confronti delle istituzioni.
  • Obbiettivo: reciproco completamento, aiuto, realizzazione, amore, pace, compassione, tenerezza, generosità, serenità, conforto e speranza e protezione della propria donna. (vedi Corano An-Nisa' 4,19)
  • Pubblicizzazione della cerimonia e dell'atto matrimoniale. Elemento essenziale è dare al contratto matrimoniale una dovuta pubblicità, una specie delle nostre pubblicazioni di matrimonio, in quanto è proprio la pubblicità che distingue l'unione legittima da quelle non legittime. Questa pubblicizzazione è rimasta come tradizione nelle classica festa che si celebra, ma al giorno d'oggi, in realtà, anche la registrazione dell'atto presso il tribunale è elemento fondamentale per la pubblicizzazione ufficiale delle nozze, per cui ogni atto non pubblicato, non registrato presso le istituzioni (legittimate secondo una costituzione ed una legge di statuto personale che si ispiri e ne sia compatibile con la sharì'a), anche islamicamente non è valido. Un hadith narra le parole del Profeta Muhammad (saas), riportate da 'Aisha: "Annuncia questo matrimonio e celebralo nelle moschee, e batti i tamburi quando lo celebri". Tale pubblicizzazione va originariamente concepita con il termine: walīmah (sostantivo dal verbo awlam, radunare, rassemblare, raccogliere), spesso inteso semplicisticamente con il termine di "banchetto nuziale". In realtà, un tempo era proprio l'adunata, l'assemblamento, il concetramento, il raduno, la riunione dei gruppi tribali a legittimare l'atto ('aqd) pubblicamente.
  • Il consenso della sposa (per shafi’iti, la volontà della donna non è rukn (essenziale) per i malikiti, invece la volontà della donna è rukn).
  • I testimoni (sono necessari almeno due testimoni musulmani maschi, oppure un uomo musulmano e due donne musulmane. Tutti debbono aver raggiunto la pubertà ed essere sinceri)
  • Il mantenimento economico della famiglia (nafaqa), generalmente, spetta all'uomo, ove possibile. E' responsabilità del marito provvedere a tutti i bisogni economici della moglie. In un contesto moderno è possibile che avvenga il contrario. (vedi Corano at-Talaq 65,7)
  • La dote (donatio propter nuptias). La donna ha diritto a ricevere la dote (mahr o sadaq) che deve essere pattuita in comune accordo fra gli sposi e viene certificata all'atto del matrimonio, come condizione indispensabile alla legittimità. Viene donata alla sposa e solo a lei (non alla famiglia) e rimane per sempre sua, anche in caso di scioglimento (sulla base di Corano An-Nisa' 4,4). La dote deve essere ponderata sulla base delle possibilità economiche, del reddito in particolare, ma bisogna tener presente che nell'atto la donna dichiara di aver ricevuto quella somma ed è sua a tutti gli effetti. Mentre la cifra deve essere pattuita o cmq decisamente da entrambi preventivamente, l'utilizzo di quella somma dopo la firma dell'atto è solo a discrezione della donna.  Inoltre, in alcuni casi, non tanto in Marocco, ma in altri paesi islamici, la cifra può esser scritta nell'atto, ma non ricevuta dalla donna, con la clausola d'impegno di versamento in caso di divorzio. In ogni caso la risoluzione del vincolo coniugale prevede il versamento da parte dell'uomo. Nel caso (raro) in cui il contratto non prevedeva una clausola specifica a proposito della sadaq, allora la moglie ha diritto ad un mahr equivalente a quello di altre donne che siano considerate della sua stessa condizione sociale. La dote, inoltre, deve essere manfa‘ (utile- ciò che non si può vendere non si può dare in mahr). 
  • Il divorzio è detestabile/riprovevole (makrūh) è stato definito dal Profeta come il più detestabile fra le cose legali alla vista di Dio. Le donne generalmente devono osservare un ritiro della durata di 3 cicli mestruali. E' incevato il tentativo di riconcigliazione. (Corano medinese al-Baqarah 2,228). Mai usare la forza e costringere il/la proprio/a compagno/a (Corano medinese al-Baqarah 2,231). E' consentito max 2 o 3 volte, dipende dalle interpretazioni.
  • La presenza di un walī, (tutore matrimoniale). Tale presenza, (che generalmente è associata al apdre della sposa, se in vita, altrimenti un parente maschio), sembra, in realtà, sia una questione puramente tradizionale: sebbene molte scuole ritengano ancor oggi sia una condizione indispensabile sulla base di alcuni ahadīth riportati e trasmessi da at-Tirmidhī, Abū Dāwūd, Abū Hurayra, Ibn Māja e al-Dāraqutnī, secondo cui il matrimonio non sarebbe valevole senza wali, altri invece, come Abū Hanīfa e Abū Yūsuf non considerano obbligatoria, ma solo "raccomandabile" (mustahabb) , la presenza del wali in rappresentanza della sposa, e, più recentemente, nella moudawana (codice civile di famiglia marocchino) del 2004, è stato abolita l'obbligatorietà della presenza del wali, sulla base proprio di una libera interpretazione (ijtihād), del diritto malikita.
  • Diritto all'eredità secondo shar'īah.
  • Il Nikāh è un negozio formale, (atto di autonomia privata in cui sono necessarie determinate modalità di manifestazione), non si può perciò indagare sulla niyya (intenzione).

IL COSIDDETTO MATRIMONIO 'urfī
(ovvero "di tradizione", "di coscienza", "in moschea", detto anche "con solo al-Fatiha")

Ha molti nomi diversi, per distinguerlo da quello reale e talvolta assume anche valenze diverse. generalmente quelo detto 'urfī viene contratto in totale segreto, spesso anche rispetto alle stesse famiglie, mentre più comune è l' 'aqd con solo al-Fatiha, detto così, perché sarebbe contratto e "benedetto" recitando solamente la sura al-Fatiha.

Si tratta di una formula di "unione coniugale" usata prevalentemente nei contesti poveri, rurali dei vari paesi a maggioranza islamica ma che acquisisce una nuova realtà anche nel mondo occidentale, oggi, nei vari contesti legati al mondo dell'immigrazione. Consiste nel celebrare un "matrimonio", ovvero di firmare un contratto matrimoniale alla presenza di un Imam o un Adoul compiacente, senza mai registrare tale atto né presso un tribunale, né presso le autorità consolari.

Tale atto non ha alcun valore, né dal punto di vista istituzionale (giuridico, amministrativo, legislativo), né tanto meno religioso: un matrimonio islamico è valido se è pubblicizzato e per far questo deve essere registrato presso le autorità competenti. Non esiste separazione tra religione e giurisprudenza nell'Islam. Non si può separare religione da potere temporale, nel mondo islamico solo quando fa comodo, in una sorta di adattamento laico immigratorio della concezione del matrimonio islamico.

La locuzione "religiosamente parlando...", con la quale si ritiene valido, in tema religioso, il matrimonio in moschea, non è comprensibile in tema di diritto islamico, in quanto sottointende una secolarizzazione nelle pratiche sociali (mu’amalât) che non può avvenire nell'Islàm. Ogni matrimonio (nikāh) è un contratto privato civile, ma che deve essere reso pubblico nella sharì'ah. Tale pubblicazione, in gran parte dei paesi a maggioranza islamica, avviene tramite registrazione dell'atto privato presso un tribunale amministrativo o che comunque si occupa del diritto "di famiglia".

In Marocco, ciò che è valido secondo moudawana (codice di famiglia marocchino) è valido anche shar'îaticamente, mentre ciò che di fa in moschea non ha alcun senso.... Anche perché il matrimonio nell'Islam è un contratto, non un sacramento e non si fa in moschea, non ci si sposa davanti all'imâm, ma bensì davanti a due 'Adoul, (notai, funzionari del Regno), che poi andranno a registrare presso il tribunale di famiglia tale atto.

Inoltre, il matrimonio "in moschea" non è sicuramente tutelativo priva la donna di tutti i suoi diritti, riconoscimento dei figli, diritti di eredità, pensione in caso della morte del coniuge. Tale privazione dei diritti fondamentali è contraria alla sharì'ah stessa, che fissa, invece, i fondamenti legislativi, tradotti nel fiqh, in merito a questi diritti fondamentali.

In definitiva, il "matrimonio" contratto in moschea non ha nessun valore, né giuridico (in entrambi i paesi), né religioso, (perché va in contrasto con le condizioni minime indispensabili per la leicità (halal) di tale unione).

Inoltre, a tutt'oggi, in Italia non esiste intesa fra la confessione islamica e lo stato italiano, come prevede l'art. 8, comma 2 e 3 della Costituzione italiana, quindi non vi sono i cosiddetti "ministri di culto" designati anche a svolgere matrimoni con valore giuridico civile. Questa mancanza ne consegue che, anche religiosamente parlando, non vi sono figure in Italia atte a contrarre matrimoni che abbiano valore giuridico pubblico come prevede il fiqh.

Nonostante la repressione svolta dal governo del Marocco, questo fenomeno si è diffuso principalmente e recentemente nei contesti migratori dei paesi occidentali, ove nelle moschee, con la compiacenza degli aʼimmah, si celebrano assurdi e inutili "matrimoni" alla presenza di due testimoni maschi musulmani, ma che non hanno alcun valore né giurdico, (in nessun paese), né religioso.

Il Profeta Muhammad ha incoraggiato ad annunciare per bene i matrimoni, così che la comunità sia al corrente di questa unione e non guardi alla coppia con sospetto vedendoli insieme. Dunque, un matrimonio non dovrebbe essere contratto né in segreto, né se esente da una registrazione pubblica.

La dote

Un discorso, in particolare, merita la questione "dote", che indubbiamente nel diritto islamico canonico è obbligatoria ed indiscutibile, anche se vi è una certa confusione in merito al termine che identifica questo dono nuziale alla sposa.

Vi si identificano circa 8 termini che usualmente indicano questo concetto, ma che assumono lievi varianti di significato a seconda del contesto: (mahr, sadāq, nihla, hibā, 'ajr, 'uqr, 'alāq e farīda). I termini più usati oggi come oggi, sono i primi due: mahr, (che per tradizione, veniva versato al padre della sposa) e sadāq (destinato esclusivamente alla donna); 'uqr è il termine che veniva utilizzato in caso di matrimonio con una vergine, mentre nihla, hibā e 'alāq tendono ad indicare, oltre alla dote, tutto l'insieme di doni e delle spese a carico dello sposo.

Nel Corano, in particolare, si parla di dote solo nei seguenti 5 versetti tutti medinesi: (Al-Baqara 2,236, 237; An-Nisâ' 4,4,24 e 25) e non compare mai il termine mahr, (quindi è indubbio che tale dono non debba essere destinato al padre, ma bensì alla sposa stessa). In (Al-Baqara 2,236, 237 e An-Nisâ' 4,24) troviamo il termine farīda, che deriva dalla radice farada che sta indicare genericamente un "precetto divino", "obbligo", "prescrizione", "imposizione", "qualcosa che viene ordinato"; mentre nel versetto An-Nisâ' 4,25 troviamo il termine Ajr, (con il suo plurale ujùr in 33,50) che deriva dalla radice Ajara, molto usata nel Corano che significa premio, ricompensa, pagamento, versamento, compenso. Il termine plurale ujùr, ad esempio lo troviamo in (Corano 3,57; 4,152, 4,173, 35,30, e 2,277) e va inteso come "ricompense", mentre il singolare possimao trovarlo in (Corano 12,57; 2,112; 4,74; 17,9) per indicare la ricompensa divina per le buone azioni.

Mentre ancora, in An-Nisâ' 4,4 troviamo invece, il termine forse più conosciuto di sadaqah, che sta ad indicare volontaria carità, beneficenza, verità, veritiero, conferma.

Le donne musulmane possono sposare solo uomini musulmani ?

Nella maggior parte delle canoniche scuole tradizionali islamiche, ma anche nella stragrande maggioranza del pensiero popolare del mondo islamico, è assodato, come indiscutibile postulato, che una donna musulmana debba necessariamente sposare solamente un uomo musulmano, mentre l'uomo musulmano potrebbe sposare una donna, ovviamente musulmana, ma anche di altre fedi (e qui generalmente viene accettata l'idea che la moglie possa essere ebrea o cristiana).

Questa limitazione, dettata essenzialmente da un'interpretazione delle due principali fonti canoniche del diritto islamico (Corano e Sunnah) e affermatasi attraverso una terza fonte: l'Ijmâ, (ovvero il consenso dei "dotti"), si traduce inevitabilmente in un precetto sharī'atico, che a sua volta si traduce (in varie forme più o meno restrittive), in dei vincoli legislativi contenuti nei codici civili dei vari paesi del mondo islamico, sebbene quest'ultimi non siano necessariamente né governi di forma "teocratica", né tanto meno califfati, spesso sono di costituzione laica. Spesso è proprio l'Ijmâ a pesare maggiormente nella nella formulazione dei precetti della sharī'ah.

Questa regola viene regolamenre rispettata nei paesi a maggioranza islamica, che fondano la propria costituzione sulla base anche di principi islamici sharī'atici. I vari codici di famiglia dei vari paesi del bacino del mediterraneo e dell'area del golfo mantengono tutt'oggi, con alcune lievi varianti, in vincolo sulla differenza di religione come clausola essenziale di validità del matrimonio: una donna mussulmana non può sposare un uomo non mussulmano, mentre un uomo mussulmano può sposare un'ebrea o una cristiana.

Quando Huma Abedin, assistente di Hilary Clinton, durante la campagna di Clinton per le elezioni presidenziali del 2008, sposò nel 2010, Anthony Weiner, politico dello stato di New York, fece scandalo nella comunità musulmana. Lei fece l'impensabile, spezzò il tabù di una buona ragazza musulmana proveniente da una buona famiglia musulmana: sposare un ebreo sebbene lui non si converta all'Islam. Di casi come questi ce ne sono molti altri che spesso passano inosservati perché si tratta di gente comune e non necesariamente personaggi famosi.

Cosa dice il Corano ?

Solamente due versetti citano espressamente in merito ai matrimoni fra musulmani e non-musulmani:


"...Non sposate le [donne] associatrici finché non avranno creduto, ché certamente una schiava credente è meglio di una associatrice, anche se questa vi piace. E non date spose agli associatori finché non avranno creduto, ché, certamente, uno schiavo credente è meglio di un associatore, anche se questi vi piace. Costoro vi invitano al Fuoco, mentre Allah, per Sua grazia, vi invita al Paradiso e al perdono. E manifesta ai popoli i segni Suoi affinché essi li ricordino..."
(Corano medinese al-Baqarah 2,221 trad. H. Piccardo)


"...Oggi vi sono permesse le cose buone e vi è lecito anche il cibo di coloro ai quali è stata data la Scrittura, e il vostro cibo è lecito a loro . [Vi sono inoltre lecite] le donne credenti e caste, le donne caste di quelli cui fu data la Scrittura prima di voi, versando il dono nuziale - sposandole, non come debosciati libertini! . Coloro che sono miscredenti vanificano le opere loro e nell'altra vita saranno tra i perdenti..."
(Corano medinese Al-Mâ'ida 5,5)

Si tratta di due versetti rivelati a Medina, (quindi successivamente all'Egira), ma in due periodi diversi: il primo in ordine cronologico (al-Baqarah 2,221), (sulla base delle circostanze delle rivelazione Âsbâb An-Nuzûl), è ambientato nel primo periodo di insediamento della neonata comunità di credenti a Medina, quando quest'ultima doveva proteggersi dalle infiltrazioni e dagli attacchi di altre comunità maggioritarie e fa parte di tutto un contesto innovativo (fino ad ora) di regole sociale e giuridiche che si andavano a formare fra i musulmani. C'è da dire anche che Ibn Kathir registra un alto grado di disaccordo, già allora, tra i commentatori islamici sulla questione se questo divieto riguardi le donne ebree e cristiane o solamente le politeiste. Tuttavia, notoriamente c'è Ijma` (consenso) tra i giuristi Islamici, sulla liceità di questi matrimoni, benché, ovviamente, alle donne musulmane non sia consentito da alcuna scuola di legge Islamica sposare uomini ebrei o cristiani.

Il secondo (Al-Mâ'ida 5,5), più tardo, appartiene ad una sura presumibilmente rivelata verso la fine del mandato del profeta Muhammad, probabilmente durante il perido del "pellegrinaggio dell'addio", ovvero la visita rituale al tempio di Mecca compiuta dal profeta durante il suo ultimo anno di vita (632 d.C.).

In ogni caso, sulla base del canonico concetto dell'abrograzione (Nasikh wa Mansukh) di versetti, da parte di altri rivelati successivamente, molte scuole ritengono che, almeno per quanto riguarda il matrimonio, il versetto (al-Baqarah 2,221) sia da ritenersi come "abrogato" dal successivo versetto (Al-Mâ'ida 5,5). Pertanto, il primo versetto, sebbene esso esorti, per gli uomini appartenenti alla neo-cominutà di credenti, a non sposare "[donne] associatrici" (al-mushrikâti), "finché non avranno creduto" (al-muminatun) e verosimilmente a non concedere donne credenti agli "associatori" e quindi a non intrapprendere matrimoni misti fra neo-credenti (musulmani) e "associatori" (quindi politeisti, pagani), il versetto, in realtà, secondo alcune scuole è da ritenersi abrogato, rettificando il precetto con un allargamento dei matrimoni dei maschi musulmani alle donne "di quelli a cui fu dato il Libro prima di voi": quindi è possibile non tenerlo in considerazione.

Il termine al-mushrikâti o mushrikīn, deriva dalla parola "shirk" (tradotta spesso con associazione o eresia). Quest'ultima traduzione "eresia" non sarebbe corretta, in quanto, per associare l'idea di "eresia" mutuata dal lessico cristiano, dovremmo fare riferimento piuttosto a termini come "hartaqa". In realtà, il concetto di "eresia" è totalmente assente nel Corano e nemmeno quello di dissidenza religiosa è ben definito, che si divide in varie sfacettature a seconda della situazione. Esistono alcuni concetti che descrivono una particolare caratteristica negativa, secondo tradizione, che possono essere inclusi nel contesto della dissidenza religiosa, come: l'innovazione (bid'a), la deviazione (yulhidūna), l'esagerazione (yaghlū), l'ipocrisia (nifāq). Tutte queste caratteristiche rientrano nel concetto di infedeltà (kufr), ma non necessariamente nel concetto di associazionismo (shirk).

Lo stesso Ibn Kathīr, (1301-1337) nel suo noto tafsīr (commentario al Corano), registra un alto grado di disaccordo tra i commentatori islamici sulla questione se questo divieto (al versetto al-Baqarah 2,221), riguardi le donne ebree e cristiane o solo i politeisti.

Solamente in epoca abasside, con la codificazione degli ahadith, con l'istituzione del consenso dei dotti (Ijmâ') e con la costituzione delle scuole giuridiche, si forma una linea canonica vincente che prevale su tutte le altre interpretazioni fomando così il tradizionale canone giuridico-teologico dell'ortodossia sunnita.

Dall'analisi di questi versetti possiamo dedurre che ci sono diverse verità assolute che siamo in grado di stabilire da questi due versetti.

  • La prima è che viene fatta una differenziazione tra i non-musulmani denominati come "Gente del Libro", (quelli di fede giudaico-cristiana) e i non-musulmani politeisti.
    Questa distinzione determina che, sia gli uomini che le donne, non hanno il permesso di sposare chiunque associa un altro dio con Allah.
  • La seconda è che gli uomini sono autorizzati a sposare donne caste musulmane, ebree o cristiane, supponendo anche una una certa distinzione fra due categorie di donne entrambe ammesse: le "donne credenti e caste" e quelle "caste di quelli cui fu data la Scrittura prima di voi", pur rispettando certi doveri, come "sposarsi" e non condurre una vita libertina, ovviamente e "versare il dono nuziale" .

La questione fondamentale e l'interpretazione classica canonica

Sebbene il Corano non si rivolga direttamente alle donne musulmane, in genere la linea tradizionalmente accettata è quella secondo cui, se agli uomini musulmani è stato dato il pemesso di sposare donne musulmane, allora naturalmente, le donne musulmane possono sposare "unicamente" uomini musulmani. Il Corano, comunque, non fornisce ulteriori informazioni sul fatto che le donne musulmane possono sposare uomini appartenenti alla "Gente del Libro" (Ahl al-Kitāb).

Si può, quindi, supporre che le donne musulmane debbano necessariamente sposare uomini necessariamente solo musulmani e che la regola coranica sia riservata solo agli uomini ?

  • Possiamo quindi vietare alle donne musulmane di sposare un uomo cristiano o ebreo ?
  • Se sì, cosa significa ciò nella nostra struttura patriarcale ?

Tutte le maggiori scuole giuridiche islamiche concordano nell'affermare che l'assenza di una specifica reciprocità, anche per le donne, della concessione coranica di sposarsi anche con donne giudeo-cristiane implicherebbe la non-reciprocità di tale correlazione. A sostegmno di ciò, la voce canonica, ma anche popolare, della ummah (comunità musulmana), giustifica tale discrepanza sulla base dei seguenti punti:

  1. La tutela e l'integrità della ummah (nel sistema patriarcale arabo-tribale, in cui è nato l'Islam, vi è la necessità di mantenere un certo ordine nell'ambito di tale sistema. La discendenza familiare viene fatta passare attraverso il padre,quindi se le donne musulmane si sposano al di fuori della comunità musulmana questo potrebbe,in qualche modo,impedire la crescita della Ummah nel suo complesso).
  2. La religione deriva sempre dal padre verso i propri figli (i bambini sono molto spesso riconosciuti in base al nome, la cultura, le tradizioni e costumi, credenze ecc.  del padre. In molte usanze,una donna si sposa in una famiglia,non il contrario. In molti casi,la donna si trasferisce anche nella casa della famiglia di suo marito. In tali scenari, non solo le credenze e l'eredità del padre vengono trasmesse in senso simbolico,ma anche la cultura della famiglia del padre esercita una grande influenza sui figli. Questa mentalità in cui la religione deriva dal padre,viene utilizzata anche per sostenere l'idea che gli uomini musulmani possono sposare una kitabiyya, (donna del Libro), mentre le donne musulmane no)
  3. La perdita di alcuni diritti come donna musulmana (in un matrimonio intereligioso, i diritti della donna non sarebbero garantiti, come ad esempio il diritto di praticare liberamente la propria fede, il diritto a ricevere mahr,(dote), il diritto di mantenere il suo nome dopo il matrimonio, il diritto di conservare i suoi guadagni, il diritto di avere un marito che si cura di lei e i loro bambini,ecc. Il matrimonio pluri-religioso non consentirebbe la tutela dei diritti islamici base della donna.
    Ancora una volta, ciò non è pensato allo stesso modo per gli uomini musulmani che si sposano con donne non musulmane, perché la famiglia patriarcale è tradizionalmente accettata come norma. Così,nell'ambito dei propri doveri, un marito musulmano è tenuto a provvedere alla sua famiglia, sostenere i diritti della moglie e non impedirle di praticare la sua fede. Egli non può neanche costringere sua moglie a diventare musulmana.
    La paura, comunque, è che un marito non-musulmano a capo della famiglia, non sarebbe obbligato a fare lo stesso, ponendo la donna in una posizione svantaggiosa.
  4. Incidenza sul diritto di famiglia. La sharì'a, tradotta in un ordinamento giuridico, fornisce un codice di leggi sulla famiglia, includendo questioni di divorzio, custodia dei figli e eredità.
    Una preoccupazione per alcuni studiosi tradizionalisti è che se le donne musulmane si sposano con uomini non-musulmani, non solo perderebbero i diritti dati loro da Allah, ma anche il diritto di famiglia islamico non sarebbe in grado di affrontare i problemi che possono sorgere, non potendo più fornire loro garanzia legislativa.

Una fatwa di un certo Muhammad Yousuf Ludhianvi, pakistano, ritiene leciti i matrimoni fra uomo musulmano e donna cristiana o ebrea, che si svolgono entro i confini di Dar al-Islam, (concetto califfale che designa i luoghi ove prevale la legge islamica), mentre gli stessi matrimoni misti celebrati in Dar al-Kufr (espressione sempre califfale molto strumentalizzata per indicare territori di maggioranza kafirun, miscredenti) sarebbero considerati come makrūh tanzīhan (lievemente riprovevole), mentre ancora quelli celebrati in Dar al-Harb, (territori ostili di guerra) sarebbero makrūh tahrīman (proibitivamente riprovevoli, vicini all'haram, quasi na'jaiz, non legale).

Una visione riformistica - Cosa ne pensano alcuni studiosi moderni ?

Essenzialmente, i punti fondamentali su cui poggia l'interpretazione classica ortodossa tradizionalista possono essere schematizzati come segue:

  • Considerare, o meno, i cristiani o gli ebrei o comunque i credenti nel Dio unico, come kuffar / mushrikīn oppure no.
  • La preservazione della ummah sarebbe in un qualche modo garantita attraverso la prole degli uomini musulmani.
  • La tipica trasposizione in ordinamento giuridico delle interpretazioni teologiche attraverso il consenso dei dotti.
  • A livello psico-sociale, l'arcaica società araba pre e immediatamente post-islamica patriarcale si fonda sul dominio maschile che protegge i propri ideali e li trasmette ai propri eredi in forma possessiva. Tale concezione nasce da paure di "contaminazione" delle proprie "certezze". Il metodo di trasmissione era essenzialmente quello orale fra membri maschili della comunità; le precarie condizioni della neonata comunità di credenti musulmani hanno contribuito alla auto-chiusura mentale difensiva, proteggendo i propri valori, in seguito, con il califfato, queste usanze sono state istituzionalizzate in un codice di leggi là dove non vi era alcuna legge fondamentale, se non quella tribale. Basti pensare al fatto che la genealogia araba tradizionale considerava solo la catena patriarcale dei nomi de figli. La rispettosità di una persona era misurata essenzialmente da chi (padre) costui era figlio.
  • Si ritiene che i figli di madre musulmana debbano necessariamente preservare tale religione e per garantire ciò soltanto un uomo musulmano potrebbe trasmettere oltre alla geneaologia anche la religione.
  • Autorità maschile all'interno della coppia.
  • Il concetto ormai superato di Dar al-Islam e Dar al-Harb.
  • Se un uomo musulmano accettasse che il proprio figlio segua una religione diversa dalla propria (per esempio quella della madre non musulmana) sarebbe definito come un murtid (persone che rinuncia o rinnega l'Islam).

Per quanto rigurda il primo punto, ovvero l'associazione cristiani/ebrei = kuffar / mushrikīn viene spesso considerato il seguente detto 'Umar ibn al-Khattâb rispondeva, quando gli veniva chiesto un parere riguardo al matrimonio con una giudea o una cristiana: "Allah ha reso illecito il matrimonio dei credenti con le politeiste. E non conosco del politeismo una cosa più grave di una donna che creda che il suo Signore sia 'Îsâ (Gesù, pace su di lui e su sua madre), o un altro uomo tra le creature di Allah".

Sorvolando sull'autenticità di tale detto, (comunque tardo), è da tener presente un versetto coranico che in realtà, rivela la corretta interpretazione secondo cui non tutta la Gente della Scrittura è considerabile come "miscredente":


"I miscredenti fra la gente della Scrittura e gli associatori, non cesseranno, finché non giunga loro la Prova Evidente"
(Corano medinese Al-Bayyina 98,1 trad. H. Piccardo)

Questo versetto è tratto da una sura medinese, anche se interposta fra sure meccane, rivelata nel periodo in cui alcuni Israeliti (identificati con "Gente della Scrittura") erano fortemente dubbiosi del messaggio rivelato da Dio a Muhammad, perché poteva minare al loro potere economico. Perciò stiamo parlando di una parte limitata di tutti cristiani ed ebrei. Tale considerazione ridimensiona notevolmente l'associazione miscredente-cristiano o ebreo, ed è confermata nei contenuti della Sunna:

Ibn Mundhir commentò: "Nessuno dei Sahâbah dichiarò illecito questo genere di matrimonio".

'E' indubbio quindi che per un musulmano maschio sia consentito sposare una donna cristiana ed ebrea e che, restando conforme alle parole del Corano,non tutte le donne ebree e cristiane debbano considerarsi politeiste o miscredenti.

'Uthmân, infatti, si sposò con Na'ila bint Farafisa Kalbiyyah, che era cristiana e si convertì all'Islâm a casa sua. Hudhayfa sposò anche un'ebrea della città persiana di al-Madayn. A Jâbir venne chiesto a proposito del matrimonio con le ebree e le cristiane, e rispose: "Le sposammo all'epoca delle conquiste con Sa'd ibn Abi Waqqâs".

Resterebbe da capire solamente perché questo permesso viene tradizionalmente concesso solo agli uomini, gli Ulamâ' sono concordi nel ritenere illecito che una donna musulmana si sposi con un non musulmano, sia che si tratti di un politeista, sia che egli appartenga alla Gente della Scrittura, quando invece nel Corano non vi è una specificata distinzione se non il chiaro divieto verso le politeiste.

Viene spesso citato a questo proposito il seguente versetto:


"... O voi che credete, quando giungono a voi le credenti che sono emigrate, esaminatele; Allah ben conosce la loro fede. Se le riconoscerete credenti, non rimandatele ai miscredenti - esse non sono lecite per loro né essi sono loro leciti - e restituite loro ciò che avranno versato. Non vi sarà colpa alcuna se le sposerete versando loro il dono nuziale. Non mantenete legami coniugali con le miscredenti. Rivendicate quello che avete versato ed essi rivendichino quel che hanno versato. Questo è il giudizio di Allah, con il quale giudica fra voi, e Allah è sapiente, saggio...."
(Corano medinese Al-Mumtahana 60,10 trad. H. Piccardo)

Questo versetto viene spesso tradizionalmente preso a pretesto per giustificare l'assunto secondo cui l'uomo avrebbe il diritto di "comandare la propria moglie", ella dovrebbe quindi obbedire ai suoi ordini finché si tratti di fare il bene, e ciò comporterebbe il senso dell'autorità; ora siccome un ateo non avrebbe diritto d'autorità su un musulmano o una musulmana (sulla base del versetto An-Nisâ', 4,141) ne determinerebbe, secondo questa triste, radicale e cupa interpretazione, il divieto per un donna musulmana di sposare un uomo non della sua stessa religione.

A parte il fatto che questa interpretazione risulterebbe assai debole per determinare di per sé una proibizione (haram) vera e propria, ad ogni modo, questo tradizionale pensiero entrato di seguito nel diritto musulmano, è del tutto sbagliato in quanto non viene considerato il contesto storico e le circostanze della rivelazione. Questo versetto è sceso in occasione del trattato di Hudaybiyya, che il profeta aveva concluso nel 628 coi pagani della Mecca, accettando condizioni svantaggiose. Il trattato prevedeva che ogni individuo sotto tutela o che fuggiva dai Quraish e si rifugiava dai musulmani doveva essere restituito ai pagani stessi, anche se si convertiva all'Islam, mentre chi fuggiva dai musulmani per rifugiarsi dai Quraysh, non doveva essere restituito ai musulmani. Succedeva che certe donne di Mecca fuggivano per rompere con i propri mariti e si rifugiavano a Medina, dai musulmani senza però, considerarsi musulmane. Questa situazione era suscettibile di pericolosità nei confronti della neo-comunità islamica inseditasi a Medina, attraendovi inimicizie fra le due città. Ibn Ishaq cita a questo prposito un episodio di quando una donna dei Quraysh, Umm Kulthum, si rifugiò presso i musulmani a Medina, e i suoi due fratelli vennero a reclamarla, secondo le clausole del trattato, Muhammad rifiutò di restituirla: Allah glielo aveva vietato con una nuova rivelazione che funse così emendamento al trattato, secondo cui le donne rifugiate che si convertivano all'Islam non dovevano essere restituite a coloro da cui erano fuggite (Corano Al-Mumtahana 60,10-13). Se le donne dei Quraysh non accettavano di convertirsi allora il trattao rimaneva valido e doveveano esser restuite ai propri mariti. Questo versetto non può quindi esser preso a supporto della tesi di comando dei mariti sulle donne, né di anti-reciprocità del consenso al matrimonio di fedi miste. Si tratta di un episodio particolare, in un periodo di tensione e guerriglia; un versetto atto a tutelare la salvaguardia delle donne che desideravano cambiare vita, rifugiarsi da situazioni troppo oppressive e integrarsi nella neo-comunità islamica, un versetto che in ogni caso riguarda le donne politeiste di Mecca, non le cristiane ed ebraiche che vivevano prevalentemente nei dintrorni di Medina. Non può quindi esser utilizzato in senso generale.

Conclusioni - si tratta di un'interpretazione tradizionalistica

Khaled Abou El Fadl, docente di diritti umani internazionali e giurisprudenza islamica, presso l'UCLA School of Law e presidente del Programma di Studi islamici presso la University of California, Los Angeles, ritiene che le basi su cui si fonda l'assodata interpretazione sulla non reciprocità dell'interreligiosità nel matrimonio islamico siano veramente deboli.

Se da un punto di vista, può essere comprensibile questo divieto nel contesto storico-culturale nativo, da un altro: la situazione moderna non solo non ha più la necessità di preservazione dell'incolumità religiosa della donna e dei figli, ma vengono meno le condizioni naturali storiche, in un contesto estremamente inter-culturale e inter-religioso e multi-etnico.

Oggi come oggi l'emancipazione della donna sia paesi occidentali che orientali è davvero notevole e non è possibile paragonare con le condizioni della donna araba del periodo islamico nascente. Il livello di istruzione, di libertà economica è decisamente superiore ad allora e, nonostante si registrino ancor oggi, molti casi di cronaca sull'ossessiva possessione di alcuni musulmani in occidente verso le proprie mogli e figli, la situazione è decisamente cambiata.

E' anche vero che se riteniamo, ancora, che gli uomini siano a capo delle famiglie e portino avanti l'eredità delle famiglie, allora noi possiamo anche sostenere l'idea che le donne sono le principali custodi e nutrici. Così,la religione e la cultura hanno maggiori probabilità di essere passate attraverso la madre.

Tutte queste giustificazioni al divieto risultano essere obsolete. Da un'analisi obbiettiva e coerente, semmai, si protrebbe considerare il matrimonio fra donna muslima e uomo kitabi, (appartenete alla Gente del Libro) come sconsigliato, imprudente, sconsiderato e quidni, rientrebbe nella categoria del makrūh (riprovevole, sconsigliato, ma non haram vietato o sanzionabile), oppure addirittura mubāh, (neutrale), in quanto non ci sono sufficienti chiare disposizioni sulla sanzionabilità di tale pratica.

Ci sono molti studiosi islamici che riconoscono la necessità di sviluppare la teoria del diritto islamico e che sono scomode le tradizioni che sostengono cose non prescritte nel Corano, ma pochi sono disposti ad esprimere tale parere.

La bellezza dell'Islam è che garantiva uno standard minimo per le donne in un momento in cui non vi era alcun standard. L'Islam ha fornito un pavimento, non un soffitto e dobbiamo stare attenti a contorcere qualcosa in haram che non è espressamente vietato. 

In breve, gli uomini sono autorizzati a sposare donne caste musulmane,ebree o cristiane,quando certi doveri siano rispettati. In genere accettiamo questo come il nostro diritto di sposarci. Accettiamo da ciò anche che,sebbene il Corano non si è rivolto direttamente alle donne musulmane,se agli uomini musulmani è stato dato il permesso di sposare donne musulmane,allora naturalmente,le donne musulmane possono sposare uomini musulmani. Il Corano non fornisce ulteriori informazioni sul fatto che le donne musulmane possono sposare uomini appartenenti alla "Gente del Libro".

In un testo del dott. Khaled Abou El Fadl si legge: "Quando si tratta di diritti delle donne,abbiamo bisogno di ricordare che l'Islam ha fornito un pavimento,non un soffitto,e dobbiamo stare attenti a contorcere qualcosa in haram che non è espressamente vietato. 
(.....) Quindi,perchè stiamo vietando alle donne di osservare lo stesso diritto degli uomini (di sposare una non-musulmana) quando non è proibito nel Corano? E perchè lo stiamo vietando con giustificazioni obsolete?
Al massimo,le giustificazioni tradizionali dimostrano che sposare un kitabiyya è scoraggiato ma non vietato. La scelta è lasciata al credente.
(....)  Allah ne sa di più"
.

Conclusioni - considerazioni di ordine pratico sociale

Da una parte, abbiamo visto, è palese constatare che nel Corano non vi è nulla che implichi chiaramente il divieto, per una donna musulmana di sposare un uomo di altre religione, (semmai il testo rivela una concessione per l'uomo musulmano nello sposare donne delle scritture precedenti e pone particolare attenzione a non sposare associatori (identificabili onestamente con i politeisti, non certo con gli ebrei ed i cristiani, anche se molti, nell'ambiente tradizionalista, vorrebbero farci credere)).

Il contrario non è contemplato, ma ciò è ovvio in una societa arcaica come quella patriarcale tribale dell'Arabia di quell'epoca, ove era l'uomo che sceglieva la donna e se la comprava e solo con l'avvento dell'Islam si è dato inizio ad una regolamentazione. Regolamentazione questa, che deve intendersi (e qui sta il nodo cruciale) come continuativa e attiva e sempre in movimento per adattarsi alla società, sempre nel rispetto dei principi fondamentali della religione (e di certo questa tema non rientra fra questi). La giurisprudenza islamica deve essere attiva e dinamica e non fermarsi ai dettami di un tempo, sopratutto quando non vi è una chiara disposizione coranica.

C'è da dire, comunque, che un'obbiettiva analisi sociale rivela che, nonostante vi siano moltissime coppie che vivono benissimo con religioni diverse, molte altre non riescono a trovare un equilibrio, specialmente per quanto riguarda l'educazione dei figli e con l'arrivo di quest'ultimi nascono i problemi. Problemi che non emergerebbero se entrambi i coniugi fossero della stessa religione. Sono più che altro problemi che riguardano la quotidianeità: come ad esempio il fatto di preparare carne di maiale a tavola con i figli per il marito cristiano o la possibilità o meno di bere alcolici in compagnia di un marito cristiano e questo si rispecchierebbe anche nell'educazione dei figli, che prendono esempio anche dal padre.

A conti fatti, non si tratta solo di un problema giuridico. All’inizio per amore si accetta che ognuno appartenga ad una religione differente, si è aperti, comprensivi disponibili, ma poi i nodi impietosamente arrivano al pettine.
Bisogna altresì tenere presente anche in un nucleo stabile, in cui si pensa allo stesso modo, si parla la stessa lingua, una moglie musulmana possiede inevitabilmente dei codici di comportamento un po’ differenti da quelli di una donna occidentale (a meno che essa non rinunci alla sua religione) che non gli consentono praticamente di accettare un marito non musulmano. 
Ma ammesso che si riesca a superare anche questo ostacolo, il problema religione, all’interno della coppia resta alla base di alcune questioni che se non superate con sufficiente apertura e maturità possono diventare problematiche, non solo nel contesto stretto di coppia, ma anche in quello familiare dei rispettivi coniugi e in quello e più ampiamente sociale, sia che si decida di vivere in un paese musulmano che in Italia.
Nella coppia mista bisogna fare diversi percorsi di negoziazione per permettere che ci siano equilibri reali per una vita familiare costruttiva, dove due persone si fondono, si supportano si integrano. Non é sufficiente quindi il mero rispetto, ci vuole di più, molto di più.
L’unione mista fa emergere le differenze culturali e soprattutto di religiose, che non sempre possono essere superate grazie al sentimento che lega due persone e non sempre riesce ad essere così forte da permettere di trascendere le difficoltà contingenti e aspirare a livelli più elevati dove tutto ciò che conta è il legame d’amore.

In un articolo di Tariq Ramadan, sui matrimoni misti, leggiamo:

La questione dei matrimoni misti merita tutta la nostra attenzione. Si deve fare un vero e proprio lavoro a monte dei matrimoni. Dedico molto tempo ad informare le coppie che si formano sul fatto che bisogna mettersi d'accordo sulle modalità e sulle condizioni del matrimonio. Certo, c'è l'amore, ma nell'islam il matrimonio è un contratto i cui termini devono essere chiaramente stipulati e le aspettative di ciascuno esplicitamente enunciate, in particolare per quello che riguarda i bambini, la loro educazione e la loro custodia. Val più frenare gli ardori dell'inizio, piuttosto che dover constatare il peggio dopo qualche anno. L'islam esige che un musulmano non lasci mai i suoi bambini e in particolare che faccia in modo di poter dar loro un'educazione in accordo con la sua religione.

Questo non significa che la donna non musulmana non abbia alcun diritto sui suoi bambini. Anche se il principio islamico è chiaro, esso non può giustificare qualsiasi cosa ed ogni situazione deve essere regolata caso per caso. Bisognerà sempre evitare la strumentalizzazione della religione sia per giustificare una custodia malgrado i maltrattamenti del padre, sia per demonizzarlo e fare in modo che i bambini vengano tolti al loro padre malgrado la condotta dubbia della madre. Le due situazioni esistono e in ogni caso l'islam ci impone di considerare la giustizia il più oggettivamente possibile. Che drammi si hanno oggi perché non ci si è presi il tempo di metter le cose in chiaro! A volte l'evoluzione di uno dei due coniugi provoca situazioni nuove che nulla lasciava presagire. Bisogna allora dar prova di psicologia; ascoltare, dialogare, cercare soluzioni umane, dignitose e giuste come in tutte le situazioni simili.

La questione del matrimonio misto per i musulmani deve essere considerata nella prospettiva della concezione e della filosofia della famiglia così come sono trasmesse nell'insegnamento dell'islam. Il principio nel matrimonio è l'uguaglianza degli esseri e la complementarietà dei ruoli e delle funzioni. L'uomo ha il dovere di sovvenire ai bisogni della famiglia e, in questo senso, ha la responsabilità di mantenerla.

La donna ha il diritto di non preoccuparsi dei suoi bisogni materiali: è un diritto, non un dovere (come viene presentato a volte da certi musulmani) e nulla impedisce a una donna di lavorare. Nello spazio familiare c'è nell'islam l'idea di un diritto della donna che la può mettere sul piano finanziario in una situazione di dipendenza più o meno relativa. Questa situazione spiega, a livello di filosofia generale, perché nell'islam un uomo musulmano può sposare una donna delle genti del Libro, cristiana o ebrea, poiché per lui è un dovere rispettare la fede e la pratica di sua moglie e di provvedere ai suoi bisogni.

L'inverso non è possibile; una donna musulmana non può sposare un uomo di un'altra religione poiché essa potrebbe trovarsi in una situazione in cui il responsabile del focolare domestico non riconosce la sua fede, la sua pratica e le esigenze generali e particolari della sua religione. Il grado di possibile dipendenza è maggiore in questo senso con, in più, il fatto che il musulmano riconosce la fede ebraica e cristiana ma un cristiano o un ebreo non considerano la rivelazione dell'islam autentica. Ciò nonostante numerose musulmane sposano oggi non-musulmani in Europa, non rispettando questo principio islamico stabilito sulla base del consenso generale (ijma'). A volte queste coppie miste, come le altre, sopravvivono ma molto spesso si assiste a situazioni drammatiche. L'evoluzione dell'uno o dell'altro coniuge, a volte la riscoperta tardiva dell'identità religiosa, rimette in discussione aspetti profondi che perturbano la vita di coppia. Alcuni finiscono col separarsi.

Conclusioni - Matrimoni religiosamente misti e figli

Infine, qualche consiglio spassionato prima di intrapprendere la strada del matrimonio religiosamente misto, sopratutto in caso di figli:

  • Chiariarsi preventivamente con il partner prima dell'arrivo dei figli su quale sarà il tipo di educazione religiosa da impartire
  • Una volta venuto al mondo, cerchiamo di ascoltarlo passo, passo, mai forzando troppo verso una o un'altra direzione, mai trascurare gli aspetti laici dell'educazione e comunicare la propria cultura, stimolando l'interesse del bambino. Privilegiare le sue richieste e dargli la possibilità di crescere secondo i suoi sogni, in questo caso innocui e legittimi e mettere da parte le nostre aspirazioni e quello che presumiamo essere il suo bene.
  • Trovare dei compromessi, considerare ogni possibile possibilità al fine di garantire la serenità familiare. Porre sul piatto gli insegnamenti per arricchirlo e spiegare con senso storico-critico
  • Aiutare ad essere tollerante e rispettoso verso tutti e allo stesso tempo aitare a fargli capire ove altri fedeli esagerano.
  • Focalizzare l'attenzione del bambino sui punti in comune delle religioni: la compassione, la geenerosità, la benevolenza, l'amore.

 


Riferimenti bibliografici e links utili

 

  • Il Corano a cura di A. Ventura trad. di Ida Zilio-Grandi  - 2010 Mondadori
  • Il Corano a cura di Hamza R. Piccardo 1994/1999 Newton & Compton Editori
  • Al-Bukhari -as-Sahīh (al-Jāmiʿ as-Sahīh al-musnad al-mukhtahar min umūr Rasūl Allāh wa sunanihi wa ayyāmihi - Sunna)
  • Sayed Sabiq - "Fiqhu-s-Sunnah"
  • Tafsir al-Quran di At-Tabari, Al-Qurtubi, e Ibn Kathir
  • Mohammad Ali Amir-Moezzi - Dizionario del Corano - Ediz. italiana a cura Ida Zilio-Grandi - 2007
  • Barbara De Poli - I musulmani nel terzo millennio - 2007
  • Anna Maria Monti - Il matrimonio nei paesi islamici del Mediterraneo
  • Tariq Ramadan - I matrimoni misti nell'Islam 
  • The Muslim Students Association of U.S. & Canada - Guida al matrimonio islamico
  • R. Aluffi Beck-Peccoz (a cura di) - Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, Dossier Mondo Islamico 4, Fondazione G. Agnelli, Torino 1997
  • Fatima Mernissi - Oltre il velo - Dinamiche uomo-donna nella moderna società islamica
  • Sayyid Muhammad Rizvi - Matrimonio e morale nell'Islam, (2006) Gruppo di Traduzione "Islam Shiita" Al Qalam Publishing Company (India)
  • Chiara Panari (Tutor: Ch.ma Prof.ssa Laura Fruggeri) - Tesi: Le famiglie interculturali: identità, dinamiche famigliari e sociali - Facoltà di Psicologia - Università degli studi di Parma
  • Annamaria Ventura - Deborah Scolart - Introduzione allo studio delle istituzioni giuridiche dell'Islam classico - Tesi facoltà di Scienze Umanistiche - Corso di laurea in Mediazione Linguistico Culturale
  • Anna Maria Monti - Uno sguardo al diritto di famiglia marocchino, algerino e tunisino: matrimonio, impedimenti, divorzio, kafala - relazione convegno "Comparazioni fra il diritto di famiglia italiano e quello dei paesi islamici del mediterraneo", Genova, 13 dicembre 2012
  • Mariage islamique - En questions - réponses - Umma Edizioni
  • Crespi G., Il matrimonio e la famiglia nel mondo arabo
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  • Chiara Panari - prof.ssa Laura Fruggeri - Le famiglie inteculturali: identità, dinamiche familiari e sociali - tesi Università degli Studi di Parma - Facoltà di pscologia - Dottorato in psicologia sociale XX ciclo
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  • Arif Shamim Khan - Marriage between muslims and non-muslims
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  • Wajahat Ali - Matrimonio: lei musulmana,lui no. Le donne musulmane dovrebbero esser in grado di sposare uomini non-musulmani - Islam Liberale - goatmilkblog.com
  • Shaykh Khaled Abou El Fadl - Marriage and divorce - Scholar of the House
  • Shaykh Khaled Abou El Fadl - The Search for Beauty in Islam: Conference of the Books (Rowman & Littlefield Publishers, Inc, 2006)

 

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