Il diritto islamico

Fondamenti di diritto islamico - tipologia e classificazione delle scienze islamiche - šarī'a e fiqh (sharī'ah e fiqh) - Corano e Sunna

 

Tratto dalla tesi "I matrimoni misti , tra diritto islamico e ordinamento italiano - Specificità del contesto giuridico marocchino" di 'Ali M. Scalabrin - relatore: prof. A. Cilardo per il Master: "Musulmani in Italia: L'immigrazione musulmana in Italia: le sue componenti, le questioni aperte, la normativa vigente" della Unicusano - Roma

11 aprile 2015 - autore: 'Alī M. Scalabrin
Ultimo aggiornamento: 29 giugno 2015
   

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La šarī'a, شريعة (islamica)

FiqhLa šarī'a, (islamica), letteralmente, "la grande Via" o "la Via diritta" o "la grande Via" o "la Via Esteriore" o "la Strada battuta" o "il Sentiero"1 rappresenta la legge religiosa (islamica) che comprende l'insieme delle regole di vita, ovvero il cammino da seguire, per volontà dell'Altissimo, nel raggiungimento del Suo compiacimento. Non esiste una vera e propria definizione. Essa è, più propriamente, un codice di comportamento etico che dovrebbe essere privo di potere coercitivo, rappresenta la Via, il cammino che porta alla fonte. Determina il come essere musulmano.

Per dare l'idea, ponendo un parallelo, non sempre appropriato, con il mondo cattolico, la šarī'a riguarda sia il foro2 interno (relativo essenzialmente alla coscienza personale), sia quello esterno (relativo agli atti, pratiche e comportamenti), ma mentre per il foro interno, solo Dio è giudice della coscienza umana davanti ad Egli stesso, il giurista, invece, giudica solo il foro esterno.

Giuridicamente parlando, si deve concepire la šarī'a, come una bussola che indica la via da precorrere riferendosi ai principi della tradizione coranica e profetica. Essa disciplina i Principi (che resistono al trascorrere della storia) che stanno alla base del credo islamico, allo stesso modo di come le norme costituzionali di uno Stato fissano i Principi fondamentali inalienabili che stanno al di sopra di tutto e sta al vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello Stato.

«La šarī'a è Legge divina nel senso che impersona la Volontà divina alla quale l'uomo deve attenersi, sia nella sua vita personale sia in quella sociale. In ogni religione la Volontà divina si manifesta in modi diversi, ma i comandamenti morali e spirituali di ogni religione sono sempre di origine divina. Nell'Islām, tuttavia, la manifestazione della Volontà divina non consiste soltanto in un insieme di insegnamenti generici, bensì in un complesso di insegnamenti concreti. Non soltanto si ingiunge all'uomo di essere caritatevole, umile e giusto, ma gli si insegna anche come esserlo. La šarī'a contiene i comandamenti della Volontà divina applicati a ogni circostanza dell'esistenza. Essa è la legge secondo la quale Dio vuole che vivano i musulmani. Quindi essa è una guida che abbraccia ogni aspetto particolare della vita e dell'agire umani. Accettando di vivere secondo la šarī'a, l'uomo pone la propria esistenza nelle mani di Dio. Quindi la šarī'a, che non trascura nessun aspetto dell'attività umana, santifica tutta la vita e attribuisce significato religioso anche a quella che potrebbe sembrare la più profana delle attività»3.

L'unica vera conoscenza nel mondo musulmano è la volontà di Dio, che sta alla base della šarī'a e della sua applicazione normativa del fiqh.

«La Legge sacra dell'Islâm, la šarī'a (la grande Via, la Via Esteriore) circonda la vita materiale di riti, di cerimonie, di osservanze e di obblighi di diversa natura, unicamente per insegnarci che le cose esistono, in che modo esistono, e la giusta misura di rispetto dovuta alla loro esistenza. Il diritto canonico dell'Islâm è, indubbiamente, un ordinamento sociale, ma è anche e soprattutto un magnifico trattato di simbolismo che espone qual è la posizione di tutte le cose nella gerarchia universale. La teologia speculativa dei grandi iniziatori arabi è tesa a provare che le cose sono teofore, col fine di interessarci alla vita materiale altrimenti che come bestie feroci» - Ivan Agueli 'Abdu l-Hâdî (m. 1917).

Nell'ambito dello studio delle scienze religiose (al-'ulūm al-dīniyya), la šarī'a si pone al centro e sopra di ogni possibile considerazione di carattere giuridico, teologico o altro e sulla base di alcune finalità (darûriyyāt) essenziali e permanenti4:

• La religione (Ad-dīn)
• La persona, l'anima (An-nafs)
• La ragione (Al-'Aql)
• La discendenza (An-Nasl)
• I beni (Al-Māl)

La questione fondamentale da capire è che la šarī'a non nasce di per sé stessa da un corpus di leggi rivelato già pronto all'uso, essa prende corpo dallo studio ('ulūm) delle sue fonti (usūl): il Corano (Al-Qur'ān), quale Libro sacro rivelato direttamente da Dio al profeta Muhammad, nell'arco di circa un ventennio e prima e unica fonte rivelata del diritto islamico e la Sunna (la tradizione profetica islamica), seconda fonte (ispirata) del diritto islamico, che riassume il corpus di detti e tradizioni che risalgono alla vita del Profeta.

Insieme, Corano e Sunna, quali uniche fonti (usūl) fondamentali, vanno a formare la šarī'a, quale concezione globale dei fondamenti della religione islamica, quali5:

'ilm al-'Aqīda, (concernente gli studi sul tawhîd, ovvero l'esistenza e l'Unicità di Dio, i Suoi nomi e attributi, il credo, la creazione, gli angeli, i profeti, il destino, l'Ultimo Giorno)
'ilm al-aklāq, (inerente l'atteggiamento individuale e collettivo verso Dio)
At-tasawwuf, (sufismo; studi sulla mistica e la spiritualità)
'ilm al-fiqh, (scienza del diritto islamico, che possiamo dividere in usūl al-Fiqĥ, che studia le radici delle origini fondanti delle fonti della šarī'a e al-Furu al-Fiqĥ, che rappresenta i rami del diritto musulmano; studia le singole norme di diritto positivo ed i diversi istituti giuridici.

 

Il fiqh - الفقه

Il fiqh, letteralmente, è la conoscenza approfondita di una determina cosa. Nel diritto Islamico, si intende la conoscenza approfondita della šarī'a, ovvero la sua traduzione nel corpus di diritto islamico (chiamata anche "giurisprudenza islamica"). Se la šarī'a l'abbiamo definita come una bussola, il fiqh potremmo definirlo come la mappa su cui usare questa bussola, un'elaborazione umana e pratica del sapere, della conoscenza, della cultura, della filologia, del senso originario delle fonti attraverso la comprensione data da vari studiosi che rappresentano le varie scuole di diritto islamico (madhāhib).

Il fiqh rappresenta lo sforzo esercitato e le modalità da applicare per individuare ed arrivare alla Legge di Dio, tramite la conoscenza e la comprensione giurisprudenziale della šarī'a. E' un processo di elaborazione umana della legge divina.

 

Caratteristiche principali e peculiarità del fiqh


In termini giuridici, le caratteristiche principali del fiqh possiamo riassumerle con il seguente schema:

Sacralità, in quanto le sue fonti sono strettamente connesse con la sfera del culto, della divinità.
Confessionalità: diritto che attinenza esclusivamente in ambito islamico.
Personalità del diritto (il diritto musulmano non ha alcun legame con il concetto di territorialità, segue la persona, non il territorio).
Eticità: l'aspetto etico è preminente rispetto l'aspetto giuridico, in vista della fondamentale importanza escatologica dell'aldilà della teologia islamica.
Extra-statualità: sistema giuridico creato; lo stato non può intervenire nell'elaborazione giuridica, solo le figure dei giuristi (fuqahā') possono intervenire sulla sua elaborazione, siano essi Usūlī (studiosi della fonti) o muhaddith (specialisti degli ahadīth).
Imperatività: norme imperative per volontà di Dio.
Immutabilità (teorica): questo punto, nel corso della storia islamica, è stato fortemente condizionato da aspri contenziosi, ma ciò che è indubbio è che vi sono state numerose riforme del fiqh, in merito alla rilettura delle fonti e all'applicabilità di un precetto.

Nell'ambito delle fonti del diritto islamico gli studiosi sia dell'epoca, che moderni, si sono confrontati a lungo, spesso con notevoli contrasti che hanno portato nel tempo a far prevalere maggiormente un'interpretazione, piuttosto di un'altra, specialmente nel mondo sunnita, privo di clero, ma non tanto per un maggioritario consenso popolare, ma bensì grazie all'appoggio politico e tradizionalistico che riceveva una linea di pensiero piuttosto di un'altra.
La fenomenologia giuridica islamica si presenta, oggi come allora, all'osservatore, assai variegata nei metodi e nelle tecniche nelle quali si esprime.
La ripartizione dell'Islām secondo categorie romanistiche (dogmatica, morale, diritto privato e pubblico), mal si adatta quell'unico globale corpus che scaturisce dalle fonti sacre e porta il nome di šarī'a. Quest'ultima, pur occupandosi, con minuziosi precetti positivi, di gran parte della vita dei credenti, ignora completamente l'esistenza di una chiesa gerarchicamente organizzata e composta di persone investite di caratteri sacramentali, con un capo al vertice. Nell'Islām sunnita, infatti:

• Non vi sono sacerdoti
• Non vi sono ministri di culto
• Non vi è un'autorità superiore nelle controversie fra dotti

L'influsso occidentale dalla fine del XVIII sec. è stato maggiore nel campo del diritto pubblico. La maggior parte dei paesi a maggioranza musulmana, ha recepito il moderno diritto pubblico occidentale, tradotto spunto dal paese occidentale più legato e rimane, nelle loro costituzioni, spesso come un valore simbolico, che si traduce in una accenno alla šarī'a come "una fonte" o "la fonte" di diritto o, in alcuni casi, neanche quello.

Nella nuova costituzione marocchina del 2011, ad esempio, nel nuovo art. 1, troviamo il termine "religion musulmane modérée" che, insieme all'unità nazionale, alla monarchia costituzionale e alla scelta democratica, vanno formare il corpus istituzionale del Regno, senza alcun accenno alla šarī'a6. L'Islām, in Marocco, resta, comunque, religione di Stato
(art. 3), anche se viene garantito il "libre exercice des cultes" (nella forma plurale – art.i 3 e 41).

Solo l'Arabia Saudita ed il Sultanato di Oman, non hanno una costituzione scritta, ma affermano che la loro attivita legislativa e solo il prodotto della siyāsa šarī'iyya (politica conforme ed ispirata alla šarī'a).


Dalla seconda metà del secolo scorso, si è assistito progressivamente alla nascita, (non tanto all'innesto) nella cultura islamica, di nuove concezioni giuridiche di tipo laico, a cui ne consegue una vera e propria destabilizzazione e declassamento del ruolo del faqīh tradizionale, relegandolo a uomo di religione e non più a dottore di legge, un tempo vero e proprio conditior iuris delle questioni legali-religiose.


Il diritto islamico, quindi, non può essere paragono ad un sistema laico di tipo occidentale e non è un diritto positivo (fatto dagli uomini), ma fonda le sue origini da fonti religiose, non è stato emanato da un'autorità civile e i giuristi musulmani hanno solo interpretato la volontà di Dio. Per questi motivi, potremmo considerare il diritto islamico come un peculiare sistema di diritto sacro, al pari del diritto ebraico e di quello canonico (cattolico-romano), anche se il diritto ebraico fa capo a Mosé come legislatore e nel diritto canonico si fa riferimento al pontefice, come garante e tutore, comunque sospeso fra due tendenze, una mistica e ascetica, un' altra più istituzionale che dà prevalenza alle norme.


Fondamentalmente, il diritto islamico è un diritto religioso che poggia inevitabilmente le sue basi sul diritto consuetudinario della popolazione sedentaria del nord-est della penisola arabica pre-islamica in vigore sino ai tempi del profeta Muhammad, caratterizzato da un diritto sostanzialmente profano, (anche se basato su tradizioni pagane), pratico e patriarcale, ma allo stesso tempo, il diritto islamico riporta anche una sostanziale riforma con iniziative alquanto innovative per l'epoca e l'ambiente storico socio-culturale di quei tempi, grazie alle rivelazioni testuali che fissano la volontà di Dio, intercorse, per gran parte delle volte, per far fronte a soluzione di situazioni dovute a cause esteriori occasionali.
Le modifiche piu sostanziose rispetto all'antico diritto consuetudinario arabo si ebbero nel diritto penale, in quello di famiglia e di successione e nel diritto di guerra7.

La mutabilità del Fiqh

In merito a quest'ultimo punto, si deve considerare che, quando si parla di diritto islamico, si deve intendere, inevitabilmente, come un diritto soggetto a cambiamenti, mutevole, che, usando le parole di T. Ramadan potremmo definire, come "lo stadio della riflessione giuridica al quale sono giunti i sapienti musulmani in un certo periodo e in un dato contesto, alla luce del loro studio della šarī'a". Il fiqh "deve restare mobile legato al cambiamento e all'evoluzione8.

"Il silenzio (nelle fonti) è la sfera che permette al fiqh nell'ambito delle relazioni sociali (mu'āmalāt) di essere in costante processo di sviluppo, di evoluzione e di formulazione. (...) Restare ancorati alle prescrizioni stabilite dai sapienti del IX secolo, per quanto grandi e rispettabili siano stati, o rifiutare di tener conto dell'evoluzione storica sarebbe, sicuramente, tradire gli insegnamenti dell'Islam"9.

Dello stesso parere lo studioso sudanese Abdullahi A. An-Na'im, nelle sue parole ribadisce il concetto secondo cui "il diritto islamico deve adattarsi e adeguarsi ai bisogni della vita contemporanea nel contesto dell'Islam nel suo insieme, anche se ciò dovesse richiedere l'abbandono o la modifica di certi aspetti della šarī'a storica"10.

Ed ancora Muhammad Hamidullah, (m. 2002), sottolineando la differenza fra šarī'a e fiqh, afferma che l'opinione di un giurista può essere confutata da un altro fino a formare un nuovo consenso. La šarī'a consiste nella Via rivelata e immutabile, mente il fiqh è tutt'altra cosa, che, per sua definizione, deve essere "dinamico, in costante elaborazione dal momento che l'evoluzione è la caratteristica del nostro mondo"11.

I contenuti del Fiqh

Nello specifico dei contenuti del fiqh, possiamo raggruppare la sfera d'azione del diritto islamico in due macrocategorie:

fiqh al-'ibādāt (relativo alle pratiche rituali, le norme di comportamento e di galateo, la dottrina della purità rituale (Tahāra)). Esprimono il rapporto verticale fra uomo e Dio. In questa categoria figurano anche i cosiddetti cinque pilastri dell'Islām: Arkān al-Islām (che rappresentano i fondamenti essenziali e obbligatori del credo islamico:

    1. shahāda, (attestazione di fede - "Attesto che non vi è altra divinità, se non in Allāh, attesto che Muhammad è suo Profeta");
    2. salāt (la preghiera - canonicamente fissata in 5 preghiere obbligatorie in 5 periodi diversi del giorno);
    3. zakāt (elemosina purificatrice obbligatoria - da versare una volta l'anno lunare islamico);
    4. As-Sawm Ar-Ramadān, (digiuno del mese di Ramadān - digiuno totale senza cibo, né liquidi, né atti sessuali, né assumere atteggiamenti di odio);
    5. hajj (pellegrinaggio a Mecca - secondo un percorso fissato, della durata di 3 giorni, da fare almeno una volta nella vita per tutti quelli che siano in grado di affrontarlo, fisicamente ed economicamente).

fiqh al-mu'āmalāt (relativo alle pratiche e alle relazioni sociali).

 

Le qualificazioni legali (Ahkām)

Nell'ambito della šarī'a, con la sua applicazione nel fiqh, vi si possono classificare cinque categorie di qualificazione degli atti umani (Al-ahkām at-taklīfiyya), a cui si rimanda la propria responsabilità individuale (taklīf).


Nella macro-categoria degli atti leciti (halāl) troviamo:

Fard/wājib – obbligatorio, necessario.
Mustahabb/Sunna – raccomandato, consigliato, meritorio (se non si compie non dà demerito). Oppure fadila (virtuoso), mandūb (raccomandato, auspicabile).
. Mubāh/ jā'iz - né obbligatorio, raccomandato, non comporta non comporta né merito, né demerito (neutrale, libero).
Makrūh - sconsigliato, biasimevole, riprovevole da evitare (la legge non lo punisce comunque, anche se sarebbe raccomandato astenersene); da cui makrūh tahrīman (proibitivamente riprovevole) e makrūh tanzīhan (lievemente riprovevole).

Nella macro-categoria degli atti proibiti (harām) troviamo:

harām -na'jaiz -mahzūr - proibito, non legale, la cui astensione ne è obbligatoria, comporta una sanzione.

Fonti del diritto islamico

Analizziamo ora, brevemente quali sono le fonti, principalmente, (ma non universalmente) riconosciute del diritto islamico. Le prime e fondamentali fonti sono testuali (Corano e Sunna) sono anche denominate con il termine "nass", che indica, appunto, il "testo" o "fonti testuali".

  1. Il Corano (Al-Qur'ān القرآن- )

La prima e principale fonte (scritturale) da cui attinge il diritto islamico è il Corano (Al-Qur'ān), il Libro sacro per i musulmani, che consta in una raccolta di 114 sure (sūrat: lett: “muri di cinta” inteso come “capitoli”), che raggruppano determinati versetti (chiamate āyāt, lett. "segni" o "prodigi" o “cosa meravigliosa di Dio”), tradizionalmente riconosciuti come le parole di Dio (kalimāt Allāh) discese (nuzūl), tramite l’intercessione dell'arcangelo Gabriele, nell’arco di circa un ventennio, dal 610 al 632 d.C., (a parte una breve interruzione), al profeta Muhammad (570-632 d.C.), che, secondo tradizione, risulta essere il Sigillo dei profeti, riconoscendo tutti i precedenti messaggeri cui fa cenno l’Antico e Nuovo Testamento e anche altri.

Il materiale sarebbe stato tramandato e recitati a memoria dai primi seguaci e discepoli e conservato, in alcuni pezzi, scritti su materiale disponibile allora, nell’attesa della redazione definitiva del terzo califfo ʿUthmān ibnʿAffān (644-656)12.

Il termine Al-Qur’ān, di origine aramaica, sta ad indicare una “lettura”, una “recitazione” o meglio ancora, una “lettura salmodiata” che viene generalmente “cantata”, “salmodiata” secondo determinate regole13. E' totalmente scritto in arabo ed è lo stesso Libro sacro a dircelo:

"Alif, Lâm, Râ. Questi sono i versetti del Libro esplicito.
In verità lo abbiamo fatto scendere come Corano arabo, affinché possiate
comprendere..."
(Corano meccano Yûsuf 12,1-2 trad. H. Piccado)14

Non è sempre facile comprenderne i significati reconditi. Senza considerare il fatto che si tratta di un testo non certo attuale, di una complessità stilistica, lessicale unica che nemmeno molti arabi riescono a cogliere profondamente.
E’ il Corano stesso a gettare le basi di una complessa struttura grammaticale della lingua araba scritta, fino ad allora divisa in numerosi dialetti, pronunce e senza un solido corpus di regole grammaticali. Tant'é vero che tutto ciò suscitò i dubbi e le perplessità dei dissidenti che accusarono Muhammad o di esserne lui l'autore o di avere la complicità di uno "straniero" informatore.

Alla complessità linguistica, si deve aggiungere anche la complessità strutturale del Testo. Sebbene la classificazione ufficiale non rispetti l'ordine cronologico, ma bensì un ordine secondo la lunghezza di ogni sura (dalla seconda Sura in poi, 114 in tutto, 6200 versetti), a parte la prima al-Fatiha (l’Aprente), la scienza coranica, sulla base delle circostanze della rivelazione (Asbāb An-Nuzūl), definisce 3 periodi ambientati a Mecca: primo periodo meccano (definito come escatologico) della Rivelazione (dal 610 al 615), un secondo periodo meccano definito profetico, (dal 615 al 619), ove si esalta l'onnipotenza di Dio e l'ultimo periodo (619-622) quello medinese (delle regole della umma) fino al 632, anno della morte del profeta.

All'epoca della rivelazione non esisteva ancora il Corano, inteso come testo unico scritto, ma esistevano tutta una serie di versetti e tradizioni profetiche trasmessi principalmente in modo orale fra i compagni, (e saltuariamente in forma scritta su tavolette di pietra o supporti di legno), anche con letture diverse. Non esisteva nemmeno una vera e propria demarcazione netta fra ciò che in seguito andrà poi a formare il Corano e ciò che verrà tramandato nella tradizione profetica (Sunna).

Il rasm, ovvero l'insieme di segni grafici che formano le consonanti dell'arabo, originario dell’epoca della prima redazione del Libro (Ar-Rasm al-`Uthmanî) non aveva punti diacritici, né segni di vocalizzazione (mozioni) o di geminazione (šadda) o segni d'interpunzione e pausa (sukūn) o d'assimilazione, né la scrittura della hamza15.

Gli scribi (kuttāb) incaricati di redigere il sacro testo, cercarono di non imporre più di tanto, per mancanza di unanimità di consensi, una lettura che prevalesse rispetto alle altre concorrenti e rimasero per secoli successivi numerosi "stili di lettura" diversi (qirāʾāt). Le altre versioni scritte (anche se parziali) che esistevano allora vennero bruciate.

Il Corano nasce, quindi essenzialmente in forma orale, in un cultura caratterizzata da una diffusione orale delle informazioni tipica del mondo tribale arabo dell'epoca. C'è da dire anche che, sebbene si riconosca e si rispetti pienamente la sacralità del testo, si tratta, come ci fa notare il compianto studioso egiziano Nasr Abu Zayd, pur sempre di un "prodotto linguistico che appartiene ad una determinata cultura" che non può in alcun modo esser disgiunto dalle scienza del linguaggio (fonetica, morfosintassi, lessicologia, semantica, filologia), come, invece, per vari motivi, è stato fatto finora. Per la sua contemporanea interpretazione è necessario analizzare il testo sulla base del contesto attuale (temporale e gaografico-culturale).

"...Ogni lettura consiste nell'interpretazione del passato, alla luce del presente..." (Nasr Abu Zayd)

Si tratta quindi della principale e più importante fonte rivelata, di origine divina, non dedotta, non ispirata, nonostante essa necessiti di uno studio umano per essere interpretata.

Cosa c'è di giuridico-normativo nel Corano ?

Dal punto di vista normativo, il Corano non solo, non è un codice di diritto, né una fonte esclusivamente legislativa, ma i versetti prescrittivi (ayāt al-ahkām) relativi a questioni giuridiche, secondo alcuni, si attestano a soli 250 su 6632. In effetti, i 9/10 del Corano trattano di argomenti relativi alla spiritualità e potremmo contarne circa 500 di contenuto giuridico in senso lato, (norme obbliganti, senza sanzione), di questi solo 80, massimo 100 in senso giuridico stretto occidentale.

Omettendo, quindi, le norme di contenuto dogmatico (fede in Dio, in Muhammed, nei Libri, nell'ultimo Giorno), quelle di carattere etico (l'onestà, essere virtuosi, rispettare i figli, i genitori, aiutare i poveri), quelle relative alle pratiche di culto (preghiera, digiuno, il pellegrinaggio, l'elemosina legale), quelle inerenti le il vestiario e l'alimentazione, possiamo riassumere con questo schema le poche norme giuridiche, in senso stretto, contenute nel Corano:

  • Norme relative alla libertà e alla schiavitù
  • Matrimonio, scioglimento e successioni (statuto personale) - circa una settantina
  • Diritto penale (atto sessuale, false accuse, proibizione vino, furto,
    brigantaggio e omicidio) - circa una settantina di versetti
  • Scambi commerciali (vendita, locazione, testimonianza, proibizione della
    riba)
  • Imposizione fiscale (dall'autorità), diritto di guerra, condizioni dei prigionieri,
    condizione dei non musulmani protetti, dei politeisti - una decina di versetti fra commercio e finanza
  • Diritto pubblico (rapporti politici fra individuo e società, shura, regole di buon
    governo -
  • Diritto internazionale - circa 25 versetti

Il fine principale della Rivelazione è quello non di regolare i rapporti fra gli uomini, ma il rapporto di ciascun uomo con il Creatore16. Nel quadro di un appello eloquente al genere umano affinché obbedisca alla Legge divina.

Vi sono anche alcune norme che, apparentemente, si contraddicono nel Corano. In questi casi, molti studiosi classici hanno ritenuto di adottare il principio del nâsikh wa al-mansûkh, ovvero il criterio di tipo cronologico (il successivo cancella il precedente), ovvero l'abrogazione di alcuni versetti (chiamati versetti abrogato al-mansûkh) sulla base di altri (an-nâsikh) scesi successivamente.

In merito alla esegesi coranica, c'è da dire che esiste una notevole produzione letteraria ad opera di numerosi mufassirūn, (sia antichi, sia contemporanei), incentrata sull'interpretazione del sacro Libro, suddivisa principalmente in due modalità interpretative: la prima e più diffusa legata ad un'interpretazione rigorosa, (detta "autentica" o "letterale" - tafsīr), del Testo e l'altra definita come
interpretazione allegorica (ta'wil) che esprime i possibili significati profondi e spirituali che si celano dietro alle parole.

 

2. La Sunna ( سنة )

La Sunna rappresenta la seconda fonte scritturale in ordine di importanza ed è una fonte di origine umana, quindi non rivelata. La radice araba del termine Sunna è asl, che sta ad indicare l'atto di "formare qualcosa", "farne un modello"17, da cui: il modo abituale di comportarsi, la prassi, la consuetudine e anche la norma di condotta, conforme al modo di agire degli antenati, racchiusa nel diritto consuetudinario nell'Arabia pre-Islāmica.

Spesso veniva associato al termine adab (che oggi, sta ad indicare una produzione letteraria o un determinata educazione).
La Sunna rappresenta l'atteggiamento secondo cui si constata l'ammirazione delle generazioni precedenti, a cui ci si ispira come modello di comportamento.

Con l'Islām, il diritto consuetudinario viene sostituito progressivamente dal diritto islamico, dando origine ad una mutazione dei contenuti della prassi consuetudinaria. Da questo momento si parlerà, infatti, di sunnāt an-nabī, "la sunna del profeta", che si basa sullo studio della vita del profeta (sīra o sīrāt) e designa il suo modo di comportarsi (riwayāt) nelle varie circostanze. Essa rappresenta, nella sua traduzione nel fiqh, una serie di norme comportamentali, a cui ogni musulmano è, in alcuni casi tenuto a rispettare, in altri,è estremamente raccomandato che egli si attenga, in modo analogo, al comportamento narrato in essa.

C’è da dire anche che è solamente dopo il III sec dell’Egira (VIII sec. d.C.), quindi ben 150 anni dopo la morte del profeta, che si incomincia a parlare di Sunna come raccolta di ahadīt (sing. hadīth), ovvero i detti o tradizioni che riferiscono, attraverso una catena (isnād, lett: “appoggio”) orale di trasmettitori (rāwî o musnad) che funge da garanzia, il comportamento di Muhammad che costituisce il contenuto o matn della narrazione e messa per iscritto solo dopo il IX sec.

Il capostipite in questo settore fu sicuramente Muhammad Ash-Shâfi'î (m. 820), fondatore della scuola shâfi'îta, che, con la sua opera Ar-Risāla, fissò la dottrina dell'inderogabilità dei racconti risalenti al profeta, rispetto a quelli di qualsiasi altra autorità ed elaborò il sistema delle fonti della Sunna fissandone l'autonomia della stessa fonte rispetto al Corano.

Nel corso della storia islamica, alcuni dotti musulmani come lo stesso Ash-Shâfi'î, ma anche molti altri come Ahmad ibn Hanbal (m. 855), al-Bukhārī, (m. 870), al-Muslim (m. 870), Ibn Māja (m. 886), Ab Dāwūd (m. 889), at-Tirmidhī (m. 892), al-Nasāʾī, (m. 916), al-Rāmahurmuzī (m. 971) e Ibn al-Salāh (m. 1245), in gran parte di origine persiana, hanno sviluppato alcuni criteri per stabilire l'autenticità dei detti suddividendo l’imponente materiale sulla base dell’affidabilità del contenuto18.

  • Materiale considerato sahīh, ("sano", utilizzabile perché autentico, nessun anello mancante nella catena dei trasmettitori)
  • Materiale considerato hasan ("buono", "migliore", si può utilizzare in quanto ci sono delle prove di validità)
  • Materiale considerato daîf (debole, utilizzabile, ma a scopo puramente edificatorio e
    non normativo)
  • Materiale considerato maudu' (fabbricato o forgiato ad hoc, non autentico)

Esiste anche una classificazione degli ahadīth sulla base del numero di trasmettitori (rāwī):

  • Materiale considerato mutawātir, (lett. "successivi"): se i trasmettitori sono tanti sin dalle origini, tanto da ritenere che non sia concepibile sia frutto di una falsità, la tradizione è detta "amplissimamente trasmessa", l'hadith viene attribuito autentico alla sua sorgente a un livello sopra ogni ragionevole dubbi e viene quindi considerato attendibile e veritiero.
  • Materiale considerato mashhūr (lett. "singolare") se i primi trasmettitori sono parecchi e la catena è "notoriamente accertata". Generalmente è trasmesso da tre o più narratori, ma non è considerato mutawātir
  • Materiale considerato Ahād (lett. "singolare"), se il narratore è uno solo,è detta "unica" (habar al-wāhid)
  • Materiale considerato gharīb, "strano" (utilizzato da alcuni dotti, non senza contraddirsi, talvolta rendendosene personalmente garante)19

Esiste anche una classificazione degli ahadīth sulla base dei narratori di riferimento che sta alla base dell'origine di un detto:

  • Materiale considerato marfū' che si riferisce ad una narrazione attribuita specificamente al Profeta.
  • Materiale considerato mawqūf che si riferisce ad una narrazione attribuita direttamente a un compagno (sahāba) del Profeta.
  • Materiale considerato maqTū' come una narrazione attribuita a un tabi'i (successore di uno dei compagni di Muhammad, pl: tabi'ūn).

Fra i vari studiosi sunniti dell'epoca esistevano divergenze sul ritenere valido o meno un hadīth, sulla base della diversa considerazione dei vari sahāba e tābi‘ūn citati nella catena trasmissiva della narrazione, questi, infatti, venivano giudicati sulla base del rango sociale, della tribù originaria di appartenenza, della percezione del carattere, dell'osservanza dei doveri rituali e del rapporto che avevano con il Profeta.

Alla fine, gran parte degli studi sulla tradizione profetica ('ulūm al-hadīth) si riferiscono quasi del tutto ad alcune collezioni famose come quella detta "dei i 6 libri" (al-Kutub al-Sitta), largamente considerato tutto come materiale veritiero, formato da al-Jāmiʿ as-sahīh ("la sana raccolta", "la corretta raccolta") che consta di due libri: As-sahīh al-Bukhārī, (m. 870) e As-sahīh al-Muslim (m. 870), poi vi è al-Kutub as-Sunan di Abu Dāwūd as-Sijistānī (m.888) e al-Jāmiʿ as-sahīh di al-Tirmidhī (m.892) e la collezione di Ibn Māja (m.886) e as-Sunan al-sughrā di al-Nasāʾī (m.915), ma possiamo annoverare insieme anche i cosiddetti 40 ahadīth di an-Nawawi (m. 1278).

Nel mondo sciita, cambia il tipo di tradizione accettata: le opere letterarie sunnite generalmente non sono riconosciute. Gli sciiti, infatti, rigettano tutte le tradizioni che si rifanno al Profeta, che hanno nell'Isnād un nome di un compagno del Profeta che non ha appoggiato Alī ibn Abī Tālib, inoltre, nell'Isnād delle tradizioni sciite deve comparire un Imām sciita, quale garante della continuità del detto.

La Sunna, tutt'oggi, rappresenta una fonte estremamente ampia, ma anche estremamente suscettibile di ricevere un peso giuridico e teologico differenziato a seconda delle varie scuole giuridiche islamiche, ma anche dei singoli studiosi. Alcuni studiosi occidentali hanno anche dimostrato che la maggior parte degli ahadīth non contengono la parola del Profeta, ma bensì, riflettono i dibattiti della società post-coranica e, strategicamente, utilizzano una politica a ritroso per legittimare determinate azioni sulla base dei propri interessi.

Gli studiosi occidentali Vesey-Fitzegerald parlano, infatti, di "difetto cardinale che affligge ancor oggi la teoria islamica della prova"20 che deriva dall'indiscutibilità dell'assunto secondo cui la rispettabilità, che notoriamente si merita un determinato personaggio, (a causa della sua provenienza famigliare, del suo lignaggio, dei suoi rapporti con la comunità), non gli permetterebbe di mentire, in quanto, la sua considerazione gli garantirebbe l'assoluta onestà e veridicità delle proprie affermazioni.

Molti, invece, sono i fattori che stanno alla base di un possibile inquinamento dell'autenticità di detti episodi legati alla figura del Profeta, come ad esempio la fallacità della memoria stessa, il desiderio di vedere la realtà in un certo modo, gli interessi economici ed egemonici dei califfati tra la fine ommayyade (750) e l'inizio abbasside, (750-1258), i retaggi tribali, i retaggi della cultura legata all'Impero persiano, (definitivamente conquistato dagli arabi attorno al 650), le proprie opinioni, gli effetti che potrebbero suscitare alcune domande tendenziose.

I difetti del sistema di autenticazione, le vacillanti considerazioni e preferenze di alcuni studiosi verso determinati trasmettitori rispetto ad altri, fanno concludere ad A. Ahmed An-Na'im che "ogni tentativo di distinguere il vero dal falso o di ripristinare delle parti precedentemente screditate della Sunna sia oggi un'impresa senza speranza"21.

Lo studioso sudanese M.M. Taha ha espresso la sua particolare definizione di Sunna, ritenendo che essa non si altro che la šarī'a "particolare" del Profeta Muhammad e collegandosi al mondo del sufismo, ritiene essa rappresenti il particolare metodo di vita del Profeta, inquadrandolo all'interno di una Tarīqa, (termine che oggi sta ad indicare le confraternite legate al sufismo).

 

3. Ijmāʿ ( إجماع )

Il termine Ijmāʿ deriva dalla radice (jīm mīm ʿayn)22 che sta ad indicare il gesto di "mettere assieme","raggruppare", "fare assemblea" e rappresenta la terza fonte del diritto islamico.

E' una fonte ispirata. Essa è un consensum, (consenso), ma non va inteso nella modalità democratica, in senso elettivo. Può essere inteso in due modi: in senso generico, ma senza alcun valore giuridico effettivo, quale consenso della comunità o, nella maggior parte dei casi quale consenso dei dotti musulmani (`ulamā) che vede l'accordo degli esperti giuristi.

L'Ijmāʿ si fonda sull'hadīt secondo cui Muhammad avrebbe detto che "la mia comunità (ummatī) [essendo ispirata da Dio] non può essere d'accordo (tujmi'u) su un errore"23; anche il versetto coranico (An-Nisâ' 4,115)24 è generalmente associato a sostegno delle liceità dell'utilizzo di questo strumento nell'ambito giuridico islamico.

In merito alla sua applicabilità, generalmente si ritiene che in caso di silenzio del testo coranico e, in subordine, della Sunna, a garantire legittimità a una data fattispecie giuridica provvederà il consenso, chiaro e ininterrotto, dei dotti giurisperiti musulmani. I khārigiti25, i mu'taziliti26, gli šīʻiti (sciiti) e gli ahbarī, tra gli imāmiti, non ammettono l'utilizzo dell'ijmāʿ.

Questo strumento giuridico viene spesso usato per avvalorare una determina interpretazione coranica o un'opinione sull'applicabilità di un determinato precetto, convalidandola grazie al consenso di un determinato numero di studiosi, ritenuti autorevoli, sulla base di soli presupposti di saggezza.

In assenza di un clero, nel corso della storia, l'Islām sopperisce alla mancanza di una gerarchia ecclesiastica, che scaturisca da concilii e assemblee di teologi, con lo strumento dell'Ijmāʿ, senza, però, fissare alcuna unanimità su chi e su che basi si decida l'autorevolezza di un determinato `Ālim, piuttosto di un altro che la pensi diversamente, senza esservi alcuna elezione naturalmente, né un'unica scuola di provenienza e, in caso, di unanimità solo parziale, cosa si deve seguire? E che maggioranza si renda sufficiente per avvalorare un determinata opinione? Questa opinione sarebbe vincolante? E se sì, per chi? Inoltre, il consenso moderno può sostituire quello antico?

In realtà, non c'è mai stato un vero consenso generale dei dotti, ma nemmeno una determinata opinione è stata accettata unanimemente a livello universale, ma bensì solo sporadicamente e per brevi periodi, spesso legati all'evolversi politica delle dinastie califfali.

 

4. Qiyās

Tradotto con "procedimento analogico" o "analogia giuridica" o "ragionamento analogico", il qiyās rappresenta la quarta fonte (umana) del diritto islamico.

Questo termine, può avere diversi significati in determinati contesti:

  • Nel linguaggio arabo comune significa "misurazione" o "comparazione", "fare un paragone" fra una cosa ed un'altra.
  • In logica è il sillogismo (definizione di un confronto di idee che ne determina una conclusione).
  • Nell'uso comune è il ragionamento in genere
  • Nel linguaggio tecnico giuridico è la comparazione fra norme, o "deduzione per analogia"; è l'applicazione di una delle cinque qualificazioni legali (Ahkām, plurale di hukm) relative agli atti dei musulmani27.

Il qiyās non è altro che il modo di trovare soluzioni alle problematiche in cui i giuristi incappano, non trovando soluzioni dirette né nel Corano, né nella Sunna, ricorrendo, quindi, ad una casistica storica.

Alla base dell'applicabilità del qiyās, stanno alcuni postulati:

  • Vi sia un'indubbia e palese somiglianza fra il caso nuovo e il vecchio caso già trattato;
  • Appaia logico e evidente applicare la soluzione giuridica già trattata in precedenza
  • La ratio legis (ʻilla, in arabo) ovvero la ragione, il fine che ha animato il legislatore nell'emanazione della legge, deve essere chiara;
  • Non vada contro i principi fondamentali del credo fissati nel Corano e nella Sunna.

Nel discorso religioso fra i vari dotti musulmani e le varie scuole giuridiche (madāhib), vi è una notevole critica sull'uso di questo strumento. Alcune scuole lo rifiutano, altre ne fanno un uso molto limitato. La rigida scuola hanbalita dà molto peso alla Sunna e poco al qiyās. Il famoso hanbalita siriano Ibn Taymiyya (m. 1328) rifiutava di ammettere la ricerca della ragione e quindi di legittimare l'utilizzo del qiyās.

 

Fonti sussidiarie del diritto islamico


Accanto alle precedenti fonti, dette fonti principali, di cui le prime due sono fondamentali, esistono, nel campo del diritto islamico, altre fonti dette sussidiarie, il cui utilizzo deve essere sempre ponderato alla situazione e subordinato al consulto delle precedenti e propedeutiche fonti.

In un ordine suscettibile di notevoli variazioni a seconda delle varie scuole giuridiche, in cui, in molti casi, vengono considerati alcuni strumenti piuttosto di altri, presentiamo, di seguito, gran parte di queste fonti sussidiarie o secondarie, utilizzate differentemente nelle varie scuole.

 

Fonti sussidiarie tradizionali: 'urf, 'āda, Qānūn

Il concetto di 'urf, sostenuto dalla scuola hanafita e malikīta, ma rigettato dagli šaāfiʿīti, indica la prassi consuetudinaria (la consuetudine locale, il diritto comune, l'usanza non scritta). Per gli hanafiti, l''urf, in alcuni casi, finisce per prevalere sul qiyās, ma mai sul nass (il testo fra Corano e Sunna)28.

L'urf si è affermato durante l'epoca delle conquiste in territorio straniero, ove esistevano delle consuetudini locali che, laddove non contrastavano con le fonti islamiche scritte, esse diventano consuetudini permesse, qualificate come fonte sussidiaria di diritto.

In alcune scuole giuridiche islamiche, l''urf si distingue fra:

  • 'urf 'amm (consuetudine generale), che funge da fonte del diritto;
  • 'urf hāss (consuetudine particolare o locale (mahallī)), cioè quella in vigore in un dato luogo, la quale non è fonte del diritto29.

Sussistono anche delle condizioni necessarie per la validità della fonte 'urf:

  • Che provenga da autorevoli giureconsulti;
  • Che sia provata e attestata da persone degne di fede ('udūl);
  • Che non sia in opposizione con i principi fondamentali delle legge canonica e più in generale con tutto il nass30.

Altro termine che sta ad indicare l'abitudine, l'uso comune, il costume, il modo di agire, il diritto prescrittivo, la consuetudine è 'āda. Essa è indipendente dalla šarī'a, è di carattere secolare, ed è usata principalmente per risolvere questioni che non sono strettamente connesse con le norme religiose.

Oltre a ciò, dobbiamo considerare naturalmente la cosiddetta "legislazione laica", indicata in arabo e sviluppatasi principalmente durante l'espansione musulmana, con il termine qānūn, dal greco kanon, che significa canone, uso, diritto, decreto, editto. Dalla formazione stessa del fiqh, non si può escludere la convivenza e l'utilizzo di una giurisprudenza secolare accanto a quella di origine religiosa.

L'Ijtihād ( اجتھاد) ,e il Ra'y

L'Ijtihād dalla stessa radice verbale del termine jihād, (che letteralmente significa "sforzo sulla Via di Dio"), rappresenta una fonte sussidiaria collaterale del diritto islamico. Lo si può definire come lo sforzo interpretativo riflessivo personale dell'erudito che lo esercita (mujtahid), che non necessariamente deve per forza esser un faqih o un 'alim, specialmente in un contesto moderno dove non avviene un riconoscimento unanime.

Potremmo definirlo come il "diritto di libera esegesi" e sua relativa contestualizzazione. Originariamente, l'Ijtihād rappresentava l'interpretazione autonoma o originale di problemi non precisamente coperti completamente da Corano e Sunna. Nel primo periodo dell'Islām, infatti, l'Ijtihād prendeva la forma di parere o riflessione o buon senso individuale (ra'y), caratterizzato dalla diffusione di una moltitudine di opinioni contrastanti e caotiche. Nel II sec. dell'Egira l'Ijtihād è stato sostituito, in maniera preponderante dal qiyās.

Canonicamente parlando, le modalità con l'Ijtihād veniva praticato dai vari maDhâhib acquistavano senso solamente se inteso come tentativo in cui l'individuo fa ricorso alla sua intelligenza ed alla sua dottrina per portare alla luce le indicazioni che, in forma latente, in modo implicito, sono già presenti nel testo sacro e che devono essere svelate, rese manifeste, portate in superficie, secondo la classica formula: "lā ijtihāda ma'a an-nās": "non c'è Ijtihād laddove dove esiste un testo esplicito nelle fonti".

Si narra che Muʿādh ibn Jaba, (m. 640), compagno (sahāba) del Profeta, definiva, già allora, l'Ijtihād come il gesto di "sforzarsi di formare un proprio giudizio", mentre il celebre filosofo pakistano Muhammad Iqbal (m. 1938) parla di "principio del movimento nella struttura dell'Islām", suggerendone le origini direttamente dalla rivelazione coranica (Corano meccano Al-'Ankabūt 29,69)31.

La progressiva trasformazione dell'Ijmāʿ in un meccanismo conservatore e l'accettazione di un corpus pressoché definitivo di ahadīt, ha portato, durante il periodo abbaside verso la fine del X secolo, alla convinzione, in gran parte del mondo sunnita, che il corpo principale del giure fosse stato definitivamente stabilito e che non si dovesse più modificarlo, dando vita ad un progressivo irrigidimento dottrinale, che ha determinato la virtuale chiusura della cosiddetta "porta dell'interpretazione", (insidād bāb al- Ijtihād), mentre quest'ultimo metodo interpretativo continuava ad essere usato nello sciismo, che lo riteneva non solo possibile, ma anche necessario, persino nel caso in cui una situazione sia l'esatta ripetizione di una precedente, disconoscendo, quindi, l'utilizzo del qiyās.

La storica chiusura ad una libera interpretazione personale diede inizio al periodo cosiddetto del taqlīd (emulazione, accettazione pubblica, lett."seguire"), in cui i giuristi chiamati muqallid, erano vincolati a rifarsi alla precedente dottrina e non direttamente alle fonti, in quanto lo sforzo interpretativo sarebbe stato esaurito con l'avvento della maggiori scuole.

Tuttavia, alcuni pensatori musulmani, come ad esempio al-Ghazali (m. 1111) e Ibn Taymiyya (m.1328) hanno continuato a rivendicare il diritto di esercitare un nuovo Ijtihād per sé stessi.
C'è da dire che l'utilizzo dell'Ijtihād è suffragato dalla Sunna, anzi, l'utilizzo di questo strumento ha consentito, nel tempo, il formarsi dell'Ijmāʿ, perfino il qiyās potrebbe esser considerato uno sviluppo dell'utilizzo dell'Ijtihād32.

In merito alla valore giuridico da attribuire all'opinione personale (ra'y), è interessante riportare alcuni ahadīt:

"…Sono solo un essere umano. Solo quando i miei ordini riguardano i vostri obblighi religiosi, mi dovete ubbidire. Tuttavia se vi rivolgo un suggerimento che nasce dalla mia opinione personale, esso nasce solo da una supposizione in quanto essere umano. Voi conoscete meglio di me i vostri affari terreni…".

"…Consigliatemi [rivolgendosi ad Abu Bakr e 'Umar] perché in assenza di rivelazione, io sono come voi…"33

Secondo Ash-shāfīʿī, la conoscenza giuridica, in campo islamico, si divide in verità effettiva (data essenzialmente da Corano e Sunna) e probabilità di veridicità (determinata tramite l'utilizzo dell'Ijtihād e del qiyās). Ciò che si può dedurre da quest'ultime fonti risulta "vincolante solo per la persona che lo ha esercitato e non sui altri uomini di conoscenza"34.


 

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Note:

1: Aš-šarī'a è un termine arabo la cui etimologia ha un'origine ancestrale, probabilmente legata all'ambiente desertico dei beduini delle carovane della penisola arabica, in quanto richiama "il sentiero che porta all'abbeveratoio", il cui senso figurativo e teologico sta indicare il sentiero che porta a Dio. La radice del termine la troviamo ad esempio in (Corano Al-Jāthiya 45,18), tradotta, nella versione di Hamza Piccardo, con la "Via dell'Ordine" o nella versione di Zilio-Grandi, Ventura: "una Legge che proviene dal Nostro Ordine", quale itinerario delle norme da seguire e in (Corano Ash-Shûrá 42,13) che sta indicare l'Ordine, ovvero la legge per arrivare a Dio data a Noè, ad Abramo a Gesù, fino a Muhammad e in (Corano Ash-Shûrá 42,21): in riferimento ai "culti da Dio non permessi" (vie sbagliate).

  • Il Corano a cura di A. Ventura trad. di Ida Zilio-Grandi  - (2010) Mondadori
  • Il Corano a cura di Hamza R. Piccardo (1994/1999) Newton & Compton Editori

Sulla questione filologica dell'etimologia del termine si vedano i seguenti links:

http://corpus.quran.com/qurandictionary.jsp?q=$rE#(45:18:4) http://corpus.quran.com/qurandictionary.jsp?q=$rE#(42:13:1)

2: I termini «forum» o «forus» venivano intesi come la «piazza». Secondo il diritto romano, il foro era il luogo pubblico dove si compievano i negozi giuridici. Si veda: Il "Foro Interno": realtà e problematiche - Paenitentiaria Apostolica

3: S. H. Nasr – Ideali e realtà dell'Islam, trad. it. di D. Venturi, Rusconi, Milano 1988, pp. 105-106

4: Sulla base della classificazione di Al-šhātibî, ripresa da M. Iqbāl.

5: "Le Maroc est une monarchie constitutionnelle, démocratique, parlementaire et sociale. Le régime constitutionnel du Royaume est fondé sur la séparation, l'équilibre et la collaboration des pouvoirs, ainsi que sur la démocratie citoyenne et participative, et les principes de bonne gouvernance et de la corrélation entre la responsabilité et la reddition des comptes. La nation s'appuie dans sa vie collective sur des constantes fédératrices, en l'occurrence la religion musulmane modérée, l'unité nationale aux affluents multiples, la monarchie constitutionnelle et le choix démocratique. L'organisation territoriale du Royaume est décentralisée, fondée sur une régionalisation avancée" (art.1 Costituzione del Regno del Marocco 2011)

6: T. Ramadan – Essere musulmano europeo – ed. Città Aperta (2002) pag. 96

7: A. Cilardo - Muhammad e il Corano – materiale per il Master "Musulmani in Italia" - Unicusano

8: T. Ramadan – Essere musulmano europeo – ed. Città Aperta (2002)

9:T. Ramadan – Essere musulmano europeo – ed. Città Aperta (2002)

10: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011)

11: Muhammad Hamidullah - The Prophet's establishing a state and his succession (1988)

12: Il Corano, che noi oggi leggiamo, ufficialmente deriva dalla versione della cosidetta "Vulgata di 'Uthmān", (datata verso il 650), dal nome del terzo califfo ʿUthmān ibnʿAffān (644-656) che ha espressamente voluto la fissazione del testo coranico, fino ad allora diviso in tantissimi singoli pezzi, ed alcuni discordanti fra loro, in un unico corpus letterario, tramite un ampio lavoro di un gruppo di kuttāb (compilatori, tra cui spiccano i nomi di Muʿāwiya ibn Abī Sufyān,'Abdallah ibn Sa'd e Zayd ibn Thābit), raccogliendo e controllando le rivelazioni susseguitesi negli anni, registrate oralmente o su vari supporti usati all'epoca (presumibilmente pezzi di legno, osso, pergamena, tessuti), adottando l'attuale criterio di classificazione attuale delle sūre (Al-Fâtiha l'Aprente posta all'inizio e poi dalla più lunga alla più corta). Per un approfondimento sulle origini tradizionali del Corano si veda: http://www.islamitalia.it/islamologia/genesicorano.html

13:La radice araba del termine Qur’ān appare circa una settantina di volte nel Corano stesso, assumendo vari significati. Probabilmente deriva dal siriaco Qeryānā chwe sta ad indicare "la lettura delle Scritture" o "lezione".

14:Si legga anche: (Corano Tâ-Hâ 20,113; Az-Zumar 39,28; An-Nahl 16,103; Az-Zukhruf 43,3 e Ash-Shu'arâ' 26,195)

15: Lettera aggiuntiva dell'alfabeto arabo che rappresenta il colpo di glottide.

16: Coulson N.J. – The State and the Individual in Islamic Law in International and Comparative Law Quarterly VI, 1957 pp. 46-60

17: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011) pag.33

18: An Introduction To The Science Of Hadith - The Classification Of Hadith: According To The Reliability And Memory Of Reporters – Islamic Awareness.org
http://www.islamic-awareness.org/Hadith/Ulum/asb7.html

19: Tirmidhi – Wikipedia IT http://it.wikipedia.org/wiki/Tirmidhi

20: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011) pag.35

21: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011) pag.35

22: http://corpus.quran.com/qurandictionary.jsp?q=jmE 54

23: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011) pag.36

24: "Chi si separa dal Messaggero dopo che gli si è manifestata la guida, e segue un sentiero diverso da quello dei credenti , quello lo allontaneremo come si è allontanato e lo getteremo nell'Inferno. Qual triste destino" (Corano medinese An-Nisâ' 4,115 trad. H. Piccardo)

25: Temine generico che raggruppa una serie di fazioni dissidenti come i sufriti, gli azraqiti e i najadāti e, in parte, gli ibaditi. Membri di una corrente islamica distaccatosi dagli altri all'epoca del quarto califfo ʿAlī ibn Abī Tālib, in stretta correlazione con l'insurrezione del governatore di Siria Muʿāwiya ibn Abī Sufyān che reclamava giustizia per la morte di ʿOthmān ibn ʿAffān. Khawārij, dal verbo kharaja, "uscire".

26: Membri di una corrente islamica politicamente collegata agli Abbasidi (IX sec.) che appoggiava i principi della logica e del razionalismo (kalam), dimostrando la compatibilità con la dottrina islamica. Questa scuola teologica si oppose energicamente a ogni antropomorfismo e ritenevano che la condizione del "peccatore" (fāsiq) non sia determinabile dall'esterno, ma concerne il peccatore stesso, il quale decide liberamente se considerarsi "fedele" o"infedele", ossia dentro o fuori della comunità islamica.

27: A. Cilardo - Muhammad e il Corano – materiale per il Master "Musulmani in Italia" - Unicusano

28: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011) pag.40

29: A. Cilardo - FONTI DEL DIRITTO – materiale per il Master "Musulmani in Italia" - Unicusano pag.4

30: A. Cilardo - FONTI DEL DIRITTO – materiale per il Master "Musulmani in Italia" - Unicusano pag.5

31: "…Quanto a coloro che fanno uno sforzo (jahadu) per Noi, li guideremo sulle Nostre vie. In verità Allah è con coloro che fanno il bene…"
Said Ramadan – La Sharī'ah – At-Tariq Edizioni (2011) pag. 96 e 100

32: Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011) pag.41

33: Said Ramadan – La Sharī'ah – At-Tariq Edizioni (2011) pag. 100 e 101

34: Ash-shāfīʿī – Al-Risalah pp. 476-486

Fonti:

  • 'Ali M. Scalabrin - relatore: prof. A. Cilardo - tesi "I matrimoni misti , tra diritto islamico e ordinamento italiano - Specificità del contesto giuridico marocchino" per il Master/corso di perfezionamento: "Musulmani in Italia: L'immigrazione musulmana in Italia: le sue componenti, le questioni aperte, la normativa vigente" della Unicusano - Roma - a.s. 2013/2014
  • Abdullahi A.An-Na'im – Riforma islamica – Diritti umani e libertà nell'Islam contemporaneo – Ed. Laterza (2011)
  • Coulson N.J. – The State and the Individual in Islamic Law in International and Comparative Law Quarterly VI, 1957
  • Muhammad Hamidullah - The Prophet's establishing a state and his succession (1988)
  • Tariq Ramadan – Essere musulmano europeo – ed. Città Aperta (2002)
  • A. Cilardo - Muhammad e il Corano – materiale per il Master "Musulmani in Italia" - Unicusano

 

Le informazioni contenute in questa pagina possono differire dalle consuete interpretazioni popolari e scolastiche in campo teologico islamico. Le opinioni espressi in questa pubblicazione rappresentano il ibero pensiero dell'autore e sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Islamitalia.it