La gerarchia nell'Islām

Il complesso concetto di autorità e gerarchia nell'Islam. Quali sono le autorità dell’Islam e le figure che parlerebbero a nome dei musulmani.

24 luglio 2017 - autore: 'Alī M. Scalabrin
Ultimo aggiornamento: 09 settembre 2017

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La gerarchia nell'Islām

Con il termine gerarchia, da definizione lessicale, si intende il «complesso degli uffici e delle persone che compongono una struttura regolata secondo il principio della subordinazione dell'inferiore alle autorità superiori», ma, come spesso accade, risulta difficile far coincidere il significato di un termine di uso occidentale e moderno con ciò che apparentemente potrebbe corrispondere nel linguaggio arabo islamico.

Spesso, molti termini arabi che vengono regolarmente usati nella teologia islamica e nel dialogo religioso vengono tradotti con alcuni termini di uso occidentale che non propriamente rendono l'idea o le idee insite in queste parole arabe spesso di derivazione coranica o tribale.

E' formalmente, ma spesso grossolanamente accettata, nel mondo sunnita, l'idea che nell'Islâm non esista una gerarchia religiosa e formalmente è proprio così: il fedele musulmano non ha intermediari, il rapporto religioso è diretto con Dio, non vi sono sacramenti, non vi sono istituzioni clericali di nessun genere che fungano da intermediari nelle funzioni religiose ed egli non deve rendere conto a nessuno se non a Dio stesso. Non vi sono, neanche, figure religiose atte a istituzionalizzare una determinata linea interpretiva piuttosto di un'altra. Non esiste un'ufficializzazione del credo.

Nonostante, in pratica, sia effettivamente così, tale visione è descritta come riduttiva negli ambienti teologici filo salafiti e generalmente molto legati al rispetto della tradizione profetica intesa nella sua ampiezza.

L'assenza di un clero

La questione della gerarchia, in ambito islamico, viene spesso interpretata con l'assenza di strutture gerarchiche immediatamente analoghe a quelle del sacerdozio cattolico e tale assenza, secondo la visione più tradizionalistica dell'Islam, ne determinerebbe un'analisi alquanto superficiale e grossolana del concetto di gerarchia nell'Islâm. Inevitabilmente, le modalità con cui la tradizione cattolico-romana ha articolato la gerarchia delle funzioni sacerdotali hanno finito per influenzare generalmente la comprensione e il giudizio occidentale su ciò che si debba intendere per "gerarchia spirituale" o comunque, gerarchia teologica, fondata essenzialmente da una delle figure.

L'assenza di una figura «papale» non intacca minimamente il carattere gerarchico delle scuole sapienziali, semmai ne configura diversamente i criteri di legittimità e trasmissione dell'autorità.

Il rischio di una mancanza di una gerarchia ben definita è infatti quello di ritrovarsi con alcuni discutibili personaggi, come al Baghdadi ad esempio, che si riterebbe legittimato a fare proseliti e farsi riconoscere come califfo in alcune aree, magari scarsamente alfabetizzate e abbandonate a loro stesse.

Spesso accade anche che in molte realtà rurali, i singoli fedeli hanno idee molto diverse tra loro su chi abbia autorevolezza e chi no (spesso il più autorevole viene considerato l'imam del villaggio, che non sempre ha delle reali e solide qualifiche) e la stessa cosa avviene nella scelta (o meglio, nella autoproclamazione) dell'imam delle moschee in Italia (quasi sempre capannoni). In questi casi, la figura dell'imam assume inevitabilmente una connotazione gerarchica che normalmente, in altro contesto, non avrebbe.

Il tema delle scuole giuridiche

La gerarchia sapienziale islamica, invece, stando alle interpretazioni più tradizionalistiche, si fonderebbe sulle dinamiche interne alle scuole tradizionali, dinamiche che non implicano affatto un'univocità metodologica di carattere esclusivo o prioritario, come invece è così nella teologia cristiano cattolica la cui chiesa fissa in modo esclusivo la linea dottrinale.

Sebbene, infatti, formalmente non ci sia una gerarchia vera e propria tra le scuole, è tradizionalmente convenuto che esse stesse siano comunque strutturate gerarchicamente e che, di fatto, costituiscano generalmente una gerarchia di ordine polifonico, dai tratti precisi e ordinati.

L'Islam sunnita, nella sua versione più tradizionalistica, infatti, riconosce e tramanda l'-autorità- delle scuole sapienziali classiche (madhâhib) e dei suoi rappresentanti "autorizzati", in opposizione all'Islâm riformato che rivendica un approccio autonomista e de-scolarizzato (lâ-madhhabiyya).

Nell'Islâm tradizionalista, che generalmente pone un valore ed un peso talvolta sproporzionato alla tradizione profetica, troppo spesso condizionata, nei contenuti, da numerosi fattori umani storici, politici e egemonici. Il credente, quindi, avrebbe, così, accesso ai testi rivelati dal punto di vista della devozione e della benedizione, ma non della giurisprudenza e della teologia, che sarebbero, secondo l'approccio tradizionalistico, ambiti che necessiterebbero della mediazione di "sapienti" qualificati.

Il ruolo di questi "sapienti"

Tali Sapienti non sarebbero scelti a caso o a preferenza, bensì sulla base dell'adesione ad una specifica scuola, che in un contesto tradizionale determina anche le proprie osservanze e la propria condotta legale in materia di diritto di famiglia, commerciale, e così via. Nell'ottica più tradizionalista del mondo islamico sunnita, in seno ad una determinata scuola giuridica, non si decide in autonomia quali opere siano da prendere in considerazione o meno, né tutti sarebbero abilitati a rilasciare insegnamenti, pareri o sentenze: un ordine gerarchico vige, di fatto, nell'ottica più tradizionalistica.

Inoltre, porre un 'madhab' sotto il patronato di un giurista significherebbe riprodurre, nella forma e nella sostanza, il rapporto originario di discepolanza che legava i primi Compagni al Profeta. E questo è già un elemento di ordine gerarchico per coloro che ritengono il giurista storico in questione il punto di riferimento fondente della propria dottrina.

Nella teologia interpretativa tradizionalistica islamica, il rapporto gerarchico è dato, sopratutto, dalle procedure di trasmissione del sapere e dalla dimensione d'-autorità- della "riwâya" nella diffusione del sapere da maestro a discepolo.

Non si tratterebbe, quindi, di gerarchia clericale, ma gerarchia di valore o di merito, per lo più, attinente al grado delle funzioni, per cui non è possibile che nessuno rivendichi lo statuto di sapiente se non ha ricevuto la scienza da un maestro che ne ha "certificato", a sua volta, un preciso grado di formazione. Una sorta di ordine "sacro" nel quale si riconosce l'eccellenza di alcuni su altri, e quindi un principio di autorità e di autorevolezza, che non deve essere necessariamente incardinato in una struttura piramidale centralizzata e formale.

Il sistema delle scuole sapienziali classiche, nel mondo sunnita, implica, così, una gerarchia dei riferimenti sapienziali, delle opere autoritative e dei rappresentanti qualificati alla loro trasmissione e interpretazione; qualifica che si articola in funzioni dottrinali precise, il cui esercizio dipende da specifiche licenze sapienziali. 

E' da precisare, quindi, che nonostante non si possa negare che all'interno delle varie scuole islamiche sunnite vi sia un effettiva gerarchia sapienziale fatta di meriti riconosciuti, non vi è, invece, una gerarchia verticale ad un vertice unico nel mondo della teologia islamica. Questo comporta una notevole eterogeneità interna ed un maggior pluralismo dell'Islām rispetto a altri monoteismi a fronte chiaramente, di una maggiore difficoltà in certe circostanze a far prevalere una interpretazione su un'altra, con tutto ciò che ne consegue in termini di confusione e in termini di appropriazioni indebite.

Inutile dire che questo sistema tradizionale di trasmissione dell'autorità gerarchica da maestro a discepolo, ovviamente, non sopravvive al giorno d'oggi se non parzialmente e, inoltre, non è nemmeno concesso il fatto che tale metodologia sia realmente applicabile ancor oggi, laddove la diffusione capillare di materiale sapienziale permette un facile accesso a tutte le fonti per chiunque senta il bisogno di approfondire e anche il grado culturale delle masse è notevolmente aumentato.

Per alcuni tradizionalisti, negare l'esistenza di tale realtà rappresenterebbe un completo fraintendimento della dimensione intellettuale e spirituale dell'Islām tradizionale, sebbene, non vi sia nulla di coranico che attesti l'autorità dei rappresentanti, maestri e discepoli, delle varie scuole giuridiche islamiche.

La gerarchia maestro - discepolo, (che nella tradizione sciita si fa ancora più concreta con il rapporto marja'-discepolo), è un livello di autorità che deriva direttamente dal grado di preparazione (a sua volta assorbita da un maestro). Non esiste quindi un vertice e gli stessi "sapienti" sono tra loro in rapporto orizzontale, non verticale. Ma è proprio l'universalità di una valutazione di eccellenza ad essere problematica, perché il singolo fedele ha il suo sapiente di riferimento in sostanza (e non come lo è il Papa per i cattolici, che è lo stesso per tutti).

I concetti di autorità e autorevolezza, in assenza di una gerarchia formalizzata, sono, quindi, per forza di cose, soggettivi, così come in parte è soggettiva e variabile analisi e valutazione della solidità delle catene di trasmissione a seconda dei contesti e dei "sapienti" di riferimento.

Esclusivamente parlando, infatti, a livello coranico, la conformità della religione è data già con la Rivelazione di uno dei suoi ultimi versetti: (Corano medinese Al-Mâ'ida 5,3) e non vi è alcun accenno ad una continuità dell'autorità né politica, né giurisprudenziale, né religiosa, ma, nonostante questo, il ruolo dei cosiddetti "sapienti" nella storia islamica, dopo Muhammad, è stato fondamentale nella edificazione delle pratiche di culto e delle fondamenta giurispudenziali.

Tutt'oggi, in gran parte dei paesi a maggioranza islamica, un insegnante del Corano trasmette il Libro Santo solo se autorizzato a farlo, così come un "sapiente" giurisperito rilascerà indicazioni legali (fatāwa) solo con l'apposita licenza (ijāza) - secondo specifici lineamenti giurisprudenziali di ordinamento tradizionale - e queste saranno vincolanti ed esecutive laddove egli sia stato appuntato in funzione giudiziaria da chi ne abbia facoltà (waliyyu l-amr), che, comuqnue, non implica in nessun modo l'estensione applicativa a tutto il mondo islamico, ma bensì tali opinioni giuridiche si realizzano e prendono forma giuridica solo in determinati contesti.

La gerarchia giudiziale, sapienziale e consultativa/esortatoria è legata all'autorità politica che da essa deriva, non riconoscendo l'Islam l'artificiosa separazione fra Stato e Chiesa della tarda societa' occidentale.

Il sistema delle scuole sapienziali certamente da luogo a una serie di riferimenti, ma che non possono esser considerati gerarchizzati in modo universale, cioè nella misura in cui il tale sapiente è unanimemente riconosciuto come il più preparato in Marocco come in Indonesia e sullo stesso rispetto ai riferimento sapienziali esiste comunque una enorme eterogeneità. Oltre l'indiscutibile applicazione preminente delle fonti principali (ovvero Corano e Sunna), si apre un mondo, per la totalità dei fedeli, che in assenza di "encicliche", "concili" o di qualcuno che sancisca la preminenza di un'opera rispetto ad un'altra o di un autore rispetto ad un altro, scelgono, in modo più o meno autonomo e in modo più o meno indipendente, chi ritenere più autorevole.

In merito alla presunta eccellenza dei cosiddetti "sapienti", la letteratura tradizionale islamica è ricca di citazioni, elogi e mistiche prospettive paradisiache che vengono associate a questi personaggi, fino a influenzarne la Sunna stessa, dove si possono trovare ahadìth come quello che recita: «Allâh spiana un sentiero per il Paradiso a chi percorre una via in cerca di conoscenza. Gli Angeli stendono le loro ali su colui che cerca la conoscenza, compiaciuti del suo agire; e per il sapiente chiedono perdono gli abitanti dei cieli e della terra, fino ai pesci del mare. L’eccellenza del sapiente nei confronti del semplice adoratore è pari alla superiorità della luna piena nei confronti delle altre stelle. I sapienti sono gli eredi dei Profeti. I Profeti infatti (su di loro la Pace) non lasciano in eredità né ‘dînār’ né ‘dirhām’, ma solo la conoscenza: e chi la coglie, coglie porzione abbondante» [trasmesso da Abû Dā'ûd e al-Tirmidî].

Spesso questi ahadìth sono frutto di forti condizionamenti politici in epoca califfale.

Gerarchia o non gerarchia?

Di fatto, quindi, è vero che non esiste una "gerarchia religiosa ufficiale" nell'Islām, come asseriscono molti studiosi occidentali, ma ciò è dovuto essenzialmente al messaggio integrato, non spezzettato, di "mondo e fede", che è invece tipico di una via, il cristianesimo, che si è progressivamente allontanata dal principio del tawhīd originario, ed è sbagliato esaminare l'Islām partendo da una concezione eurocentrica o cristiano-centrica o occidental-centrica per cui l'unico vero modello di vita degno di nota e di fungere da paradigma sarebbe quello conosciuto nel mondo occidentale, a cui le realtà e istituzioni islamiche vanno assimilate per valutare somiglianze e differenze.

I nomi delle varie figure di riferimento nel mondo islamico

All'interno del mondo islamico vi sono comunque numerose figure più o meno riconosciute a livello locale, nazionale o internazionale che rappresentano una determinata funzione che può, in determinati casi, rapprresentare una sorta di autorità o comunque di figura di riferimento.

Cominciamo dalla figura più conosciuta, senza dubbio, ovvero quella dell' Imām, (plurale: a'immah), letteralmente "guida" oppure "colui che sta davanti" ed è quindi essenzialmente colui che si pone davanti agli oranti, dirige e conduce la preghiera, (salāt), quando questa viene fatta in gruppo. Questa è la sua funzione essenziale. Egli non ha alcun potere giuridico, né rappresenta alcuna autorità. Tecnicamente, Imām può esserlo chiunque purchè sappia recitare la preghiera.

Ovviamente, nei paesi islamici il ruolo dell'Imām viene eletto generalmente da un consiglio facente parte del ministero degli affari religiosi (laddove esista), mentre in occidente o viene mandato da uno dei paesi islamici che sovvenziona il sostentamento di un determinato centro islamico oppure viene auto-nominato dalla comunità stessa e, in generale, è quasi sempre una persona che ha fatto studi religiosi nei paesi a maggioranza islamica o in alcuni casi direttamente in Arabia Saudita.

Storicamente parlando la figura dell'Imam ha assunto negli anni un progressivo ruolo politico, sociale e istituzionale, quale capo della comunità islamica (Umma), tanto da confondersi con la figura del Califfo con ruoli del tutto politici, amministrativi e gestionali come l'amministrazione della giustizia, l'assicurazione e la gestione dei confini, la raccolta del bottino e la designazione di governatori per le province.

In ambito sunnita, questo ruolo, che va a confondersi con quello del Califfo, lo si evidenzia storicamente, in modo praticamente assoluto, tra i primi califfi/Imām nel periodo cosidetto dei Rāshidūn - "i Califfi ben guidati"- (632-661) e meno marcato, ma sempre presente in quello successivo degli Omayyadi, mentre già nel califfato abbaside (VIII-XIII secolo) riscontriamo una differenziazione ed una regionalizzazione dei ruoli degli a'immah con la teorizzazione degli 'ulamā'.

C'è da dire che, in ambito sciita, questo termine assume una valenza alquanto diversa da quella data nel mondo sunnita,   non è soltanto la guida temporale della comunità, ma detiene anche un ruolo

Secondo la definizione classica del giurista Abu l-Hasan al-Mawardi (m. 1058) “l’imamato è istituito per supplire alla profezia nella salvaguardia della religione e nella gestione degli affari terreni”.

Abbiamo quindi già introdotto il ruolo del Califfo (khalīfa), letteralmente «vicario, reggente, facente funzione, successore» che notoriamente e storicamente, in ambito sunnita è ritenuto formalmente il successore del profeta Muhammad, quale primo Califfo ed i successivi in qualità di successore del successore del Profeta, e via così.

Il termine khalīfa ha origine coranica, (Corano al-Baqara 2,20 e Sàd 38,26), ma non indica né una figura politica, né una figura amministrativa, né una figura religiosa ed il riferimento, nel contesto dei versetti di cui sopra, è esplicitamente indirizzato verso due Profeti: Adamo e Davide

amir al-mu’minin

 

Fonti e riferimenti bibliografici:


 

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