Chi sono questi giovani "jihadisti" - tra rivolta generazionale personale nichilista, disagio sociale e sete di violenza, l’Islām è solo un pretesto - Da dove vengono le armi dei terroristi?

Profonda e attenta analisi sulle identità di questi giovani "jihadisti" dalle parole di alcuni massimi esperti: Peter Harling (direttore del progetto del Crisis Group’s Project per l'Iraq, il Libano e Siria e Senior consigliere per il Medio Oriente e Nord Africa), Raphaël Liogier, (Direttore dell’Osservatorio delle religioni, docente presso l’IEP di Aix), Oliver Roy, (noto orientalista e politologo francese, docente presso l'Istituto Universitario Europeo e titolare della Cattedra Mediterranea al Robert Schuman Centre for Advanced Studies), Mathieu Guidere, (islamologo, docente universtario presso l'Università di Tolosa II e  docente di business intelligence presso l'Università di Ginevra), William McCants e Christopher Meserole del Brookings Institution, Erin Marie Saltman e Melanie Smith, dell'International Centre for the Study of Radicalization del King’s College di Londra, Patrick Skinner, direttore dei Progetti Speciali per il Soufan Group, Frédéric Pichon, professore di Geopolitica, Giuseppe Sacco, ordinario di Relazioni e sistemi economici internazionali successivamente nelle Università di Siena, Firenze, Luiss e Roma Tre, già direttore di divisione all’Ocse di Parigi e docente presso l’Institut d’Etudes Politiques de Paris (Sciences-Po), già direttore dell’European Journal of International Affairs e Stefano Allievi, docente di sociologia all'Università di Padova ed esperto di Islam in Italia.

26 marzo 2016 - autore: Rachida Razzouk
Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2017

condividi su: scarica:

Print Friendly Version of this pagePrint Get a PDF version of this webpagePDF

Daesh

I numeri degli jihadisti europei che vanno in Siria e in Iraq a combattere

Secondo uno studio condotto dalle autorità di intelligence e di polizia tedesche, più di 800 persone (79% maschi e 21% femmine), hanno lasciato la Germania per la Siria o l'Iraq dall'inizio del conflitto siriano (2011), anche se non è possibile verificare se tutti abbiano, o meno, raggiunto la regione. Circa un terzo di coloro che sono partiti sono persone già note alle forze dell'ordine e si presume siano già tornate in Germania, di queste si pensa che 70 circa abbiano potuto sperimentare la lotta armata con Stato islamico, o almeno una formazione militare. Circa 130 islamisti provenienti dalla Germania si presume siano stati uccisi nel conflitto. Il picco di partenze si è avuto nel terzo trimestre del 2013, mentre  la quota femminile di coloro che sono partiti è aumentata in modo significativo dopo la proclamazione del Califfato Islamico il 29 giugno 2014, da un 15% ad un sorprendente 38% post-annuncio.

La fascia di età va da 15 a 62 anni, con una media aritmetica di 25,9 anni (25 per gli uomini e 21 per le donne) e la percentuale di minori (vale a dire gli individui di età inferiore ai 18 anni) va da un 12% prima dell'annuncio del Califfato ad un 5% dopo).

Il 61% di coloro che sono partiti sono nati in Germania, ma ve ne sono anche dalla Turchia (6%), Siria (5%), Federazione Russa (5%), e in Afghanistan (3 %). 116 su 800 sono convertiti.

Due terzi dei departees sono stati oggetto di indagini penali. 225 individui sono stati sospettati o processati per reati relativi alla loro radicalizzazione islamista, con attacchi violenti (aggressioni, rapine, ecc) e reati contro il patrimonio rappresentano il 29% ciascuno, seguiti da traffico di droga (16%).

Il Belgio, il Regno Unito e la Francia, focolai jihadisti d'Europa - I movimenti islamisti in Europa dagli anni '80

Il Belgio ha un numero spropositato di connazionali combattenti in Siria rispetto al numero della popolazione: 300 belgi ammaliati dal richiamo del califfo su 11 milioni di abitanti sono un numero eccessivo se si considera che il primo paese europeo di questa classifica è la Russia che conta 800 combattenti ma è un paese sterminato ed è seguito da altri grandi paesi, la Francia (700), la Gran Bretagna (500), la Germania (400) e la Turchia (400) (fonte: International Center for the Study of Radicalization, 2014).

Nel 2014 sono partite dal Belgio ben 440, persone pari a 40 ogni milione di abitanti, segue Danimarca e Svezia, Francia al quarto posto come partenza di foreign fighters in relazione alla popolazione, mentre rimane al primo posto come partenze in assoluto,  con circa 1200 giovani arruolati nelle file dello Stato islamico o del fronte an-Nusra.

Un contributo considerevole al reclutamente di jihadisti per la Siria , ma anche per attacchi in Europa è stato sicuramente quello fornito dall'associazione Sharia4Belgium, un'organizzazione radicale salafita, nata nel 2010 e teoricamente sciolta nel 2012, con la pretesa di far diventare il Belgio no stato islamico, il cui fondatore Fouad Belkacem (alias Abu Imran), è stato condannato a 12 anni di carcere e una multa di 30 mila euro, nel febbraio 2015.

Nella propaganda jihadista dell'associazione  «la Siria veniva pubblicizzata come un posto meraviglioso con piscine e bella vita. Usavano Facebook, usavano foto della grande casa in cui vivevano in Siria». Sharia4Belgium indicava alcune leggi del Belgio, per esempio quella del 2012 che vietava di indossare il velo facciale completo, come simboli dell’intolleranza verso i musulmani.

Belkacem era convinto (e lo è ancora) che la Shar'ìah dominerà il mondo e che la democrazia sia sbagliata, come ha dichiarato in un'intervista alla CBN News nel 2011.

Nei manifesti pubblicitari provocatori del 2011, la figlia del leader del presidente del partito belga di estrema destra, Ann Sophie de Winter ha posato con indosso un bikini sotto e sopra il volto coperto in stile Niqab, con la scritta "Libertà o Islam?", trasformato poi, a pennarello, dagli esponenti di Sharia4Belgium, cancellando la parola "libertà", lasciando solo Islam, aggiungendo: "Welcome to Belgistan", oltre ad aver coperto di pennarello nero il corpo della Winter.

I rappresentati si Sharia4Belgium irrompevano le studi delle trasmissioni televisive per contestare il dialogo con i musulumani moderati presenti in studio, promuovono l'instaurazione della pena di amputazione delle mani in caso di furto, la lapidazione delle donne adultere e la condanna a morte degli omosessuali. L’altissimo tasso di natalità tra i musulmani che vivono nel Paese sta cambiando lo scenario politico belga. Da quattro anni Mohammed è il nome più comune per i bambini che nascono a Bruxelles.

 


VIDEO - "Welcome to Belgistan -
 Gli occidentali si preparino a un'ondata di Sharì'ah e Islam"
:
il documentario choc dal quartiere islamico di Bruxelles - Il messaggero.it (04/04/2016)


Il filo terroristico che lega Hizb ut-Tahrir - Al-Muhajiroun - Islam4UK - Need4Khilafah Dall'Oman alla Palestina, dalla Siria all'Arabia Saudita e al Regno Unito

Altri casi simili li abbiamo trovati nel Regno Unito ad esempio a Birmingham e in alcuni quartieri di Londra, (come Waltham Forest, Tower Hamlets e Newham), dove a partire dal 2011, sono stati affissi alcuni cartelli  con su scritto: “State entrando in una zona controllata dalla Sharì'ah - Qui vengono applicate le regole islamiche”, ovvero: “no al gioco d'azzardo”, “nessuna musica o concerti”, “nessun contenuto pornografico o prostituzione”, “nessuna droga, né fumare” e ovviamente “no alcool”.

Birmingham è il luogo con la proporzione più alta di musulmani in Gran Bretagna, circa il 22% della popolazione. In alcuni quartieri periferici come Washwood, Bordesley o Sparbrook, la proporzione supera il 70%. Prima della Grande Moschea di Roma la Moschea Centrale di Birmingham, con i due minareti e la cupola dorata, è stata la più grande di Europa.

L'iniziativa è nata da un'idea del gruppo militante "Islam4UK" che faceva capo ad un certo Anjem Choudary, avvocato attivista politico islamista, già noto per la sua partecipazione attiva nel movimento salafita jihadista Al-Muhajiroun, fondato insieme a Omar Bakri Muhammad, (siriano di Aleppo), che ha operato nel Regno Unito dal 1986 al 2005.

Al-Muhajiroun nasce però a Mecca in Arabia Saudita il 3 marzo 1983, ma nel 1986, quando il movimento si trasferisce attivamente nel Regno Unito, il governo dell'Arabia Saudita lo dichiara illegale. In seguito, Bakri sarebbe poi diventato lo sponsor principale nella Gran Bretagna del Fronte Islamico Internazionale, un'organizzazione che addestrato e inviato molti cittadini britannici a combattere in Cecenia e nei Balcani.

L'attività di proselitismo e di reclutamento di Al-Muhajiroun avveniva principalmente nei campus delle Università di Birmingham e Manchester e nella moschea di Finsbury Park a Londra All'interno del gruppo, nel 2002, era circolate voci lodevoli nei confronti dei 19 dirottatori dell'11 settembre 2001. Nel 2004 il gruppo Al-Muhajiroun si scioglie per evitare l'inserimento del movimento nelle liste dei gruppi terroristici.

Nel 2009 lo stesso Anjem Choudary fonda Islam4UK, che fomenta numerose manifestazioni a Londra con donne in Niqab e uomini barbuti dotati di cartellloni del tipo: "Shariah is the solution, freedom/democracy go to hell", oppure "Shariah for UK". Choudary afferma che "l'Islam è innegabilmente l'unica vera soluzione per i problemi della Gran Bretagna" e l'acool dovrebbe essere bandito dalla città. Nel 2010, il movimento viene dichiarato fuorilegge in UK

Grosso modo gli stessi membri di Islam4UK fondano, nel 2014 sulla scia dell'affermazione delloo Stato Islamico, un nuovo movimento Need4Khilafah

Omar Bakri Muhammad (1958-vivente) era già stato determinante nel sostegno all'organizzazione pan-islamica politica Hizb ut-Tahrir, fondata nel 1953 da Taqi al-Din al-Nabhani (1909-1977) studioso islamico di Gerusalemme che apparteneva alla tribù dei Bani Nabhan originari dell'Oman, allo scopo di "ristabilire il Califfato islamico [elettivo]" in seguito all'occupazione israeliana. Il movimento politico si trasferisce poi in Libano dopo il divieto di rimanere sul suolo giordano, ma si diffonde in circa 50 paesi nel mondo, tra cui il Regno Unito. Dalla metà del 2015 Hizb ut-Tahrir viene vietato in Germania, Russia, Cina, Egitto e Turchia .

Bakri, nato da una nobile famiglia di Aleppo, nel 1979, si unisce al ramo siriano della Fratellanza musulmana, ma ufficialmente non partecipa alla sanguinosa rivolta di Hama nel 1982, sotto il governo di Hafez al-Assad. Lascia il Libano, dove si era rifugiato, per trasferirsi al Cairo (Egitto) dove studia ad Al-Azhar per 6 mesi, senza arrivare alla laurea a causa di alcuni tensioni con i suoi professori.  

Nel 1984 il governo dell'Arabia Saudita arresta Bakri a Jeddah, ma lo libera poi su cauzione. Nel 1986 egli si trasferisce negli USA e poi Regno Unito, diventando la guida spirituale di Hizb ut-Tahrir negli Stati Uniti. Nel 1996 si stacca da Hizb ut-Tahrir e forma il movimento salafita intransigente Al-Muhajiroun (precursore di Islam4UK), insieme a Anjem Choudary.

Ufficialmente, Bakri agisce da leader spirituale di Al-Muhajiroun, proibendo ai suoi seguaci di compiere attentati in Gran Bretagna, ma d'altra parte non condanna nemmeno, anzi certe esalta le azioni dei dirottari dell'11 settembre o degli attentati del luglio 2005 a Londra. Il 6 agosto, 2005, Bakri lasciato il Regno Unito, in seguito al provvedimento del segretario di Stato UK Charles Clarke, per tornare in Libano, dove nel 2006 cerca di rifugiarsi presso un nave militare britannica della Royal Nay in seguito allo scoppio della guerra, ma viene bloccato.

Già condannato nel 2010 da un tribunale di Tripoli, ma rilasciato su cauzione, nel mese di ottobre 2014, Bakri viene nuovamente condannato a sei anni di prigione con lavori forzati da un tribunale libanese, per aver fondato una filiale libanese di An-Nusra (gruppo terrostico sriano legato ad Al-Qā'ida, oggi chiamato Ahrar al-Sham)

Le sue ultime notizie risalgono al 2015 quando si presume che due suoi figli sarebbe stati giustiziati per apostasia dall'ISIS, dove vi erano andati per combattere nel 2014.

 


VIDEO: Manifestazione a favore di un Califfato a Londra, dicembre 2016

Impressionanti esempi di manifestazioni radicali pro-Sharì'ah, pro-Califfato in Gran Bretagna, Belgio, Russia e Stati Uniti tra il 2009 e il 2017

Altro personaggio chiave della rete jihadista europea è sicuramente Mustafa Kamel Mustafa in arte: Abu Hamza al-Masri, (1958-vivente), dal 1997 imām della moschea di Finsbury Park a Londra (teatro di numerose manifestazioni radicali e teatro dell'attentato islamofobo del 18 giugno 2017 con un furgone contro la folla di fedeli musulmani).

Nato ad Alessandria d'Egitto, figlio di un ufficiale dell'esercito, ottiene un visto per la Gran Bretagna per studiare ingegneria civile a Brighton Polytechnic College, nel 1979. Sposa una cittadina britannica nel 1980, da cui avrà un figlio, per poi divorziare e risposarsi con un'altra donna dalla quale avrà 7 figli, gran parte di loro verranno in seguto arrestati e condannati più volte per atti di terrorismo, violenze o rapine a mano armata.

Perde le mani e un occhio in Afghanistan o in Pakistan (non si sa bene) durante la guerra contro i sovietici (1979-1989). Nei primi anni '90 Abu Hamza va in Bosnia a combattere contro i serbi.


Abu Hamza al-Masri durante un suo comizio a Londra con tanto di guardie del corpo proprio davanti alla moschea di Finsbury Park a Londra prima del 2003

Al-Masri ha svolto un ruolo attivo nei gruppi salafiti di reclutamento jihadisti Supporters of Sharia e lo stesso al-Muhajiroun, partecipando a manifestazioni e comizi. Nel 2003, viene sospeso e respinto dalla sua posizione nella moschea di Finsbury Park dalla Charity Commission, il dipartimento governativo che regola beneficenza in Inghilterra e Galles e nel 2004 viene arrestato dalla polizia britannica e condannato nel 2006 per incitamento alla violenza e all'odio razziale.

Nel 2015,  è stato condannato al carcere a vita senza possibilità di libertà condizionale da un tribunale federale di New York.

Chi sono questi giovani che diventano “jihadisti” e si radicalizzano in pochi mesi o addirittura qualche settimana?

Secondo Peter Harling, non è l’Islam il loro fine principale, bensì la loro sete di violenza.

Invocano Allah in ogni frase, ma per i “jihadisti” di nuova generazione, come quelli che hanno insanguinato Parigi e Bruxelles, l’Islam è principalmente un pretesto per canalizzare un'intima rivolta personale e una sete di violenza, così dicono gli esperti.

"La loro cultura islamica è sommaria, o quasi nulla". Ad affermarlo è Peter Harling, membro del think tank International Crisis Group (ICG). “Infatti, coloro che hanno una cultura islamica più solida sono quelli meno propensi a schierarsi con l’IS”.

Convertiti di recente, dotati di una scarsa o nulla conoscenza dell’arabo, questi giovani si servono di concetti che, a malapena capiscono e di cui distorcono il significato, trovano nell’organizzazione denominata “Stato Islamico” (IS) una struttura flessibile e pragmatica in cui può realizzarsi il loro desiderio di radicalizzazione.

In un articolo intitolato “Uccidere gli altri, è uccidere se stessi”, Harling ritiene che “l’aspetto più preoccupante dei massacri commessi a Parigi è che essi emergono da un'intima violenza”. Daesh “ha offerto uno spazio concreto in cui una violenza pornografica potesse esprimersi, cercarsi, disinibirsi e prendere slancio. Non è un caso che i convertiti europei ne sono stati i principali agenti. In mancanza di esperienza militare, di formazione religiosa e di competenza linguistica in generale, hanno definito il loro valore aggiunto in un’ultra-violenza che evoca il film di Stanley Kubrick "Arancia meccanica", per via del suo sadismo, messo in scena grazie al talento istintivo di comunicatori addestrati nell’era di Facebook”, afferma Harling.

"Vogliono esprimere il loro desiderio di essere antisociali". Una sorta di percorso anarchico esistenziale che passa attraverso la violenza, quale mezzo per farsi sentire e per riscattarsi.

Il direttore dell’Osservatorio delle religioni, nonché docente presso l’IEP di Aix, Raphaël Liogier ha studiato i profili di decine di jihadisti o aspiranti-jihadisti francesi. “Nessuno di coloro che ha operato su suolo francese, da Mohamed Merah a quelli del 13 novembre, è passato attrtaverso una formazione teologica o una graduale progressione della pratica religiosa“, afferma Liogier all’AFP. “Sono persone che vivono già nella violenza, e poiché l’Islam è attualmente sinonimo di violenza anti-sociale, vogliono esprimere il loro desiderio di essere antisociali”. “Prendono delle impostazioni fondamentaliste, ma sono semplicemente delle impostazioni”, ha detto. “Vanno di rado nelle moschee, pregano meno degli altri. Coltivano uno stile che io chiamo neo-afghano, alla ricerca di una sorta di romanticismo neo-guerriero”.

Il reclutamento

Gli educatori e gli assistenti della zona di Molenbeek affermano: «la moschea non conta più molto. Ha perso contro Youtube». Il luogo di reclutamento ormai è Internet.

Una ricerca dell'Università di Oxford dimostra che la responsabilità del reclutamento del moderno "homegrown terrorist", (ovvero il terrorista autoctono, cresciuto in Occidente) avviene attraverso:

  1. Legami sociali e on-line 75%
  2. Famiglia 20%
  3. Moschee con presenze salafite/wahabite 5%

"Negli anni ’80, sarebbero diventati punk o avrebbero simpatizzato verso qualche movimento di estrema sinistra o estrema destra".

Considerando il fatto che sono di origine nordafricana e gli viene detto che sono potenzialmente musulmani e che l’Islam ha un’immagine negativa, questo diventa desiderabile per loro. Negli anni ’80, sarebbero diventati punk o o avrebbero simpatizzato verso qualche movimento di estrema sinistra o di estrema destra “, afferma Raphael Liogier. Essi saltano direttamente nel jihad, poiché hanno in comune la delinquenza, dei problemi d’infanzia e il desiderio di essere dei pezzi grossi“.

Per quanto riguarda l'Italia, una vittima del reclutamento online è Maria Giulia Sergio alias Fatima, la 28enne di Torre del Greco convertita nel 2008,trasferita in provincia di Milano e poi partita per la Siria, di cui oggi non si hanno più sue notizie. Sulla base delle indagini ancora in corso, sembra sia stata reclutata online da una certa Bushra Haik, nata a Bologna 30 anni fa da una famiglia di origine siriana, sposata a Ryad con un imam saudita. La donna si è trasferita dal 2012 a Riad, in Arabia Saudita, da dove ha gestito il reclutamento di combattenti stranieri su Internet, oggi continua a vivere nella capitale dell'Arabia Saudita pur avendo alle spalle un mandato di cattura internazionale datato 29 giugno 2016. "Qui tagliamo le teste e presto lo faremo anche a Roma" aveva scritto su Facebook. Il 7 gennaio 2015, giorno dell’attentato a Charlie Hebdo, Bushra giustificava l’attacco dei terroristi a Parigi: respingendo le critiche degli imam «alleati dei miscredenti».

Nel frattempo, il 19 dicembre 2016 la Corte d'Assise di Milano ha condannato Fatima a 9 nove di reclusione con l’accusa di terrorismo internazionale, così come il padre (4 anni) e il marito Aldo Kobuzi, a 10 anni. Altre condanne anche per la madre e la sorella del marito, tutti al momento in Siria con Fatima: per loro 8 anni di carcere. Nei mesi scorsi era stata condannata anche la sorella della ragazza, Marianna.

Non è sempre facile delineare il quadro completo dei contatti di ogni singolo jihadista attraverso la rete fino a giungere ai memebri del Califfato. Spesso avviene per conoscenze nelle moschee certamente, ma così come nei café, nelle palestre di arti marziali o boxe. Non è mai determinante del tutto la moschea.

Attraverso questi contatti c'è sempre qualcuno che conosce qualcun altro in Siria o in Turchia, pronto a procurare loro la cosidetta  "taskara", ovvero un lasciapassare (non tanto nel senso di carte) ma di "corridoio" sicuro, quasi sempre attraverso la Turchia, attraverso un contatto di Da'esh, fino ad arrivare nei territori dello Stato Islamico.

In molti casi nei contenuti dei messaggi recapitati dai membri di Da'esh ai jihadisti in Europa si possono trovare poemi dal carattere epico che incitano alla violenza contro cristiani (ma non solo), in nome di una presunta gloria, glorificazione di Dio.

In Germania, come in Belgio, si è potuto constatare la presenza di associazioni come la "Lies!" che distribuiva il Corano in tedesco alla gente nelle strade, i cui soci sono sotto inchiesta, perché in alcuni casi, i loro membri adottano un'ideologia assai discutibile e irrompente. E' un dato evidente che i maggiori terroristi tedeschi si sono convertiti grazie al contatto con questa associazione.

In Italia, la situazione è completamente diversa e spesso i jihadisti sono solo di passaggio, anche se Milano e il suo hinterland hanno appresentato un fiorente bacino di combattenti fino dai tempi della guerra in Bosnia, poi Iraq nel 2003 con numerosi attacchi suicidi a Baghdad.

 


VIDEO - "Sognando il Califfato":
Reportage che mostra la ricostruzione di una lunga indagine su un gruppo di jihadisti (o meglio, di imbecilli criminali assassini) a cavallo fra Italia e Svizzera e Siria, per la TV svizzera RSI.ch - RSI.ch (01/12/2016)

 

Il loro stile di vita non è certo degno di devoti musulmani.

Un poliziotto specializzato ha riferito all’Agenzia di Stampa francese che, durante un interrogatorio, un apprendista jihadista gli aveva detto:

Io, del Corano me ne frego. Ciò che m’interessa è il jihād.

E che significa? Mi rivolgo a te jihadista del cavolo. Non ha alcun senso ciò che dici. Se ritieni importante il jihād (sempre che tu ne comprenda pienamente il vero significato anche e sopratutto quello spirituale), che è ovviamente parte integrante della pratica di un musulmano, allora è totalmente assurdo che ti possa anche solo permettere di non interessarti minimamente del Corano, quale libro sacro dell'Islam e fonte principale di ogni pratica, di ogni precetto, di ogni stile di vita islamico. Se avessi letto bene invece, prima il Corano, poi avresti capito meglio cos'è il jihād.

Gli abitanti descrivono infatti i due fratelli Abdesalam, attori principali dell'attentato di Bruxelles il 22 marzo 2016, come «forti bevitori, forti fumatori, non degli estremisti». Furti, traffico di droga fino al carcere nel 2010 per Salah Abdesalam, in seguito ad una rapina in cui compare anche il nome di Abdelhamid Abaaoud, di origine marocchina, (probabilmente amici di infanzia), ritenuto la presunta mente degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, anche lui residente a Molenbeek, jihadista in Siria nel 2013 e 2014, ucciso nel blitz di Saint-Denis  e amico di Mehdi Nemmouche.

Il 27-enne Abdelhamid Abaaoud (alias: Abou Omar Al-Soussi), era già implicato in una serie di complotti contro la Francia, compreso l’attacco sventato al treno Thalys del 21 agosto 2015, di cui si rese protagonista il marocchino Ayoub el-Qahzzani ed era in contato con Mehdi Nemmouche, l’autore dell’attentato al museo ebraico di Bruxelles il 24 maggio 2014.

Abaaoud,  era ritenuto il  capo della cellula di Verviers che viene sgominata il 15 gennaio 2015 dalla polizia belga ed era noto per i suoi proclami jihadisti sul web fin dal 2013, quando partì per la Siria, vantandosi proprio della libertà con cui egli riusciva a viaggiare indisturbato.

All'inizio del 2015, i fratelli Abdeslam, già radicalizzati, erano stati interrogati dalla polizia belga perchè sospettati di volersi recare in Siria, ma erano poi stati rilasciati per mancanza di «prove di una possibile minaccia».

Il 25 marzo 2016 alla fermata del tram vicino a Place Meiser, nel quartiere di Schaerbeek a Bruxelles, viene arrestato Abderahman Ameroud, di origine algerine, ritenuto il «pesce grosso» dell'attentato del 22 marzo, in occasione di un blitz delle forze dell'ordine in merito all'attentato sventato ad Argenteuil nel 2005. Ameroud venne già condannato a 7 anni per complicità nell'omicidio del comandante afghano Ahmad Shah Massoud, ucciso nel 2001 da due tunisini originari di Molenbeek.

E’ una costante, quindi, i veri jihadisti moderni trincano e vanno a donne, specialmente la notte prima di uccidersi come kamikaze. Mohamed Atta, il capo e coordinatore dei dirottatori arabi dell’11 Settembre 2001, con i complici Al-Shehhi, Nawaq Alhamzi, Ziad Jarrah, e – Hani Hanjour, nell’agosto 2001, un mese prima di morire schiantandosi contro le Towers, fecero parecchie visite al Pink Pony Nude Theater di Las Vegas, dove palparono a volontà le ballerine di lap dance, quelle a seno nudo che si attorcigliano a un palo: pagavano, erano pieni di soldi. La notte prima si produssero in bevute di vodka e Coke al rhum al Red Eye Jack Sports Bar di Daytona Beach; minacciando: “Vedrete domani, l’America avrà il bagno di sangue”.

Anche Anis Amri, 24 anni, tunisino, presunto autore della strage di Berlino, (19 dicembre 2016), ucciso a Sesto S.Giovanni da una pattuglia di polizia, rappresenta un caso emblematico del profilo di questi terroristi. Quattro anni di carcere per violenza e incendio doloso, già condannato in contumacia a cinque anni di carcere per furto aggravato con violenza e arrestato più volte per uso e possesso di droga, Amri è arrivato a Lampedusa tramite barcone nel 2011 e dopo l'uscita dal carcere nel 2015 va subito in Germania, dove usa diversi alias e tenta di acquistare una pistola da un agente di polizia sotto copertura.  In seguito, viene coinvolto in una rapina con un coltello nel mese di luglio 2016. Ufficialmente gli inquirenti sono giunti a lui solo in seguito al ritrovamento, (annunciato 2 giorni dopo), sotto il sedile del conducente del camion, di alcuni documenti a lui appartenenti  e ufficialmente, Amri apparteneva alla rete salafita chiamata "La vera religione" cresciuta intorno a Abu Walaa, un noto reclutatore dell'ISIS in Germania recentemente arrestato. Secondo la sua famiglia, Amri era un alcolizzato, tossicodipendente e non religioso, ma era stato radicalizzato nelle carceri italiane, anche se una delle sue ragazze, Fatima A. 29 anni, svizzera figlia di una thailandese e di uno svizzero, afferma:  "Mi manca, era un bravo ragazzo"; "Mi era simpatico, abbiamo riso tanto assieme", ha dichiarato Fatima al tabloid Bild, rivelando che tra i vari momenti intimi trascorsi via web, durante una chat video, si era tolta il velo rivelandogli il suo volto. In una sua telefonata fatta proprio qualche giorno prima o dopo l'attentato, Fatima racconta: "La sua voce era triste, ha chiamato verso le 23 e voleva incontrarmi in un albergo, ma io non ho voluto".

Nella notte tra l'11 e il 12 giugno 2016 Omar Mateen, cittadino americano di origini afghane, guardia giurata per G4S, compì una strage in un club gay di Orlando (Florida): 50 morti, successivamente crivellato da 8 colpi delle teste di cuoio. Tipo violento e instabile con un passato di abuso di steroidi, già due volte indagato dall'FBI Mateen era dichiaratamente omofobo e razzista, divorziato nel 2011 da Sitora Yusufiy, una donna di origini uzbeke conosciuta online, in quanto la picchiava continuamente e le di parlare con la sua famiglia. Mateen aveva due diverse licenze per il porto d’armi, una statale e una come guardia di sicurezza, ed entrambe sarebbero scadute nel settembre del 2017.

Il 14 luglio 2016 Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, 31-enne cittadino franco-tunisino, nato a M'saken, vicino Sousa (Tunisia), già noto alla polizia per piccoli casi di criminalità minore, in particolare violenze e uso di armi, si scaglia contro la folla sulla promenade di Nizza: 87 morti. Bouhlel è definito come taciturno, introverso, “violento”, “instabile”, “donnaiolo”, “bisessuale”, affetto da problemi psichici tra il 2002 ed il 2004, installatosi in Francia nel 2008 con la moglie originaria di Nizza da cui ha tre figli, in corso di divorzio, obbligato a pagare gli alimenti alla moglie per il mantenimento dei tre figli, impiegato come autotrasportatore da un anno e mezzo dopo un periodo di disoccupazione, è conosciuto alle forze dell’ordine solo per alcune violenze commesse tra il 2010 ed il 2016 e ha la patente per guidare i mezzi pesanti da 18 mesi circa. Personalità fragile e manipolabile, che oscilla tra la violenza famigliare e la costante ricerca di nuove donne, tra l’alcool ed i rapporti omosessualità. Chokri Chaffroud, il complice di Mohamed Bouhlel, aveva vissuto per anni a Gravina in Puglia.

In una recente intervista per il TGR Veneto, il professor Stefano Allievi, docente di sociologia all'Università di Padova e uno dei massimi esperti dell'Islam in Italia, parla di "separatezza culturale" latente in quei quartieri ddi Bruxelles e nelle nalieu di Parigi, dovuta essenzialmente "alla presenza da 20, 30 anni di predicatori salafiti e di moschee fai-da-te", ma, nonostante questo, la maggior parte degli jihadisti non aveva un rapporto con la religione,  facevano vite peccaminose dal punto di vista religioso".

Il prof. Mathieu Guidere, massimo esperto francese di terrorismo e islamologia, ritiene che sia proprio dietro le sbarre che Abaaoud, ucciso poi dalla polizia francese, abbia insegnato la sua «teologia della clandestinità per eludere i servizi di sicurezza e di controllo dell'intelligence».

Esiste anche un vero e proprio decalogo di vita per i jihadisti in Europa o comunque per coloro che vivono in occidente. A marzo del 2015, la propaganda dello Stato islamico dà alle stampe un libro intitolato "Come sopravvivere in Occidente". Una vera e propria guida per i jihadisti in occidente. In esso vengono spiegate le tecniche per mischiarsi agli occidentali senza essere riconosciuti. L’autore del libro è sconosciuto. Si sa solo – perché è lui stesso a dircelo nell’introduzione del libro che introduce il «jihad globale da più di dieci anni. Per questo motivo conosce i diversi gruppi jihadisti nel mondo e sa come hanno raggiunto il successo».

Alcuni ritengono che lo stile di vita non propriamente islamico che spesso si riscontra nei vari autori di atti terroristici, come il caso di Salah Abdeslam, che a Molenbeek frequentava bar gay e beveva alcool nasca dalla volontà o comunque dall'ordine impartito di camuffarsi nell'ambiente occidentali adottando stili di vita tipicamente occidentali nella loro vita pubblica e, invece, avere una vita parallela privata dedita al jihadismo. L’aspirante terrorista non deve dare nell’occhio: deve rappresentare una cellula dormiente «che si attiva nel momento giusto, non appena l’Umma ne ha bisogno», così cita il libro .

La banda di Salah Abdeslam si incontrava al bar “Les béguines” (Le Beghine) gestito dal fratello, Brahim, che poi si fece saltare nell’azione suicida a Parigi e lì si beveva alcool e si fumava hashish

Le istruzioni date dal libro continuano ribadendo l'importanza di conservare la propria privacy su internet,  non farsi identificare, cercare solamente cose normali su internet, controllare la mail, giocare online e cercare qualche ricetta.

Mai cercare le parole «jihad» o «Stato islamico». Per questo tipo di ricerche c’è Tor, «un sistema di comunicazione anonima per Internet basato sulla seconda generazione del protocollo di rete di onion routing». Anche utilizzando Tor è necessario non dare mai il proprio nome né la propria mail. «Utilizza il succo di limone come inchiostro per le tue lettere private». Risulterà così invisibile a occhi indiscreti. Chi vorrà leggere il testo, dovrà semplicemente mettere una fiamma sotto il foglio.

Il secondo consiglio dell’anonimo è quello di «parlare attraverso i vestiti». Se devi incontrare qualcuno coordinati in modo che sappia qual è il tuo abbigliamento. «Trova degli alleati tra coloro che si sono convertiti all’islam e che non hanno fatto sapere questo loro cambiamento».

 

Il Jihadismo è una rivolta generazionale e nichilista.

Questa tesi della strumentalizzazione dell’Islam da parte di giovani estremisti che cercano un ideale violento è sostenuta anche dall’autorevole esperto di Islam, Olivier Roy, che in un articolo intitolato “Il jihadismo è una rivolta generazionale e nichilista“, ha detto che “Daesh attinge a una grande riserva di giovani francesi radicalizzati, che a prescindere dalla situazione in Medio Oriente sono già in dissidenza e sono alla ricerca di una causa, di un’etichetta, di una grande narrazione su cui apporre la firma sanguinaria della loro rivolta personale”.

Grazie a Daesh questi giovani perduti della mondializzazione, frustrati ed emarginati, si ritrovano improvvisamente investiti di un sentimento di onnipotenza grazie alla propria stessa violenza che permette di legittimare ogni azione compiuta. 

"Non è la radicalizzazione dell’Islam, ma è l’islamizzazione del radicalismo".

Una rivolta generazionale e nichilista che nulla ha a che vedere, quindi, con il radicalismo religioso che ma che va cercata nelle radici stesse della globalizzazione, della frammentazione dell’individuo, nella frustrazione e emarginazione delle seconde generazioni e dei nuovi Europei “convertiti”, commento O. Roy.

Il problema principale per la Francia non è dunque il califfato del deserto siriano, che prima o poi evaporerà come un miraggio diventato un vecchio incubo. Il problema è la rivolta dei giovani“, ha aggiunto O. Roy. “Questa non è la radicalizzazione dell’Islam ma l’islamizzazione del radicalismo“. I leader del gruppo denominato “Stato islamico”, tra i quali ci sono degli ex membri dei servizi segreti iracheni dell’era di Saddam Hussein, hanno capito come incanalare e utilizzare al meglio questa violenza.

"Non si tratta di una rivolta dell’Islam o dei musulmani ma di un grave problema sociale che concerne gli immigrati di seconda generazione e i nuovi europei convertiti".

«I giovani radicalizzati, per quanto si appoggino a un immaginario politico musulmano (la umma dei primi tempi) sono in deliberata rottura sia con l’islam dei loro genitori che con le culture delle società musulmane. […] Si muovono nella cultura occidentale della comunicazione, della messa in scena e della violenza, incarnano una rottura generazionale (ormai i genitori chiamano la polizia quando i figli partono per la Siria), non sono inseriti nelle comunità religiose locali (moschee di quartiere), praticano l’autoradicalizzazione su Internet, cercano un jihad globale e non si interessano alle lotte concrete del mondo musulmano (Palestina). Dunque non si occupano di islamizzare la società, ma di realizzare il loro fantasmatico eroismo malsano», conclude Oliver Roy.  

"Questo è un movimento molto flessibile, che può recuperare molte dinamiche", aggiunge ancora P. Harling. "Si passa da una base ideologica solida e si riesce a rappresentare molte cose diverse per molte persone molto diverse".

Questi jihadisti cercano di dare una dimensione islamista (quale ricerca delle loro origini) all'atteggiamento di ribellione giovanile, che unito ad una non adeguata educazione familiare, ad una minoranza islamica poco integrata, un alto tasso di disoccupazione, una diffusa disponibilità di armi in un paese che, pur essendo europeo, nutre un certo lassismo verso la microcriminilità, «che per sua natura attira attività illegali», osserva Brice De Ruyver, ex consigliere per la sicurezza dell'ex premier Guy Verhofstadt al giornale Les Echos.

La francofonia come fattore cocorrente nel jihadismo.

Un altro fattore quanto meno interessante da approfondire, (oltre al fatto che i jihadisti godono quasi sempre di uno status sociale medio, uno stile di vita alquanto liberale e sempre connessi nella rete), è quello illustrato in un articolo intitolato "The French Connection", pubblicato sulla rivista "Foreign Affairs", da William McCants e Christopher Meserole del Brookings Institution, un prestigioso istituto di studi americano, i quali affermano che il pericolo rappresentato dai jihadisti è maggiore in Francia e Belgio che nel resto d'Europa e questo sarebbe dovuto anche al fatto che proprio Francia e Belgio sono due paesi francofoni, (Belgio, per il 45% francofono), come lo è anche per la Tunisia, Algeria, Siria e Marocco.

Francia e Belgio sono forse i paesi, in Europa, il cui laicismo è forse più virulento.

"L'approccio francese al secolarismo è più incisivo rispetto, ad esempio, l'approccio britannico. Francia e in Belgio, per esempio, sono l'unico paese europeo a vietare il velo integrale nelle scuole pubbliche", ciò, unito ai retaggi di riscatto dal colonialismo e dai suoi effetti e alla mancanza di una vera identità europea di questi giovani, comporterebbe, un ulteriore fattore di aggravamento del risentimento nei confronti del mondo occidentale.

Sotto lo pseudonimo di Said Ramzi, un 29-enne giornalista francese di origini arabe ha potuto condurre un'inchiesta da infiltrato con una telecamera nascosta per 4 mesi all'interno del cosiddetto Stato Islamico, riuscendo a pubblicare il tutto in un documentario chiamato: "Les soldats d’Allah", andato in onda sulla TV francese Canal+ il 02 maggio 2016.

In questo straordinario reportage si parte inizialmente da un aspetto molto interessante: è stato proprio "criticando i salafiti sono riuscito a farmi accettare da quelli dell’Is", afferma Said, mentre tentatva di farsi reclutare ancora quando era in Francia. Gli imam salafiti stessi avevano contatti e parlavano regolarmente con gli agenti della Direction Générale de la Sécurité Intérieure, proprio per questo Said era già stato segnalato. Riesce così ad agganciare un certo "Abou Ossama", cittadino franco-turco di Chateauroux, fiero del suo "curriculum" giudiziario in Francia, in regime di sorveglianza stretta, con obbligo di firma e fedina penale bruciatache gli racconta la sua storia.

Ciò che emerge da questa inchiesta è che all’origine delle svolte jihadiste di questi personaggi, ci sono sempre alcuni fattori comuni:

  • «un rifiuto della società verso i giovani musulmani o arabi che è molto difficile da accettare», afferma Said, che sta alla base di una sensazione di non appartenenza a nessun gruppo etnico, culturale, né religioso.
  • una ricorrente tematica riguardante il rapporto con il sesso femminile: «Sono rimasti bloccati a quello stadio là, quando sei adolescente e hai voglia di avere tutte le donne per te» - «sono delle persone che hanno visto dei film porno e si sono immaginati al posto dell’attore protagonista. Quando Dae'sh ha promesso loro che avrebbero avuto tutto ciò nella forma del paradiso prêt-à-porter affollato di vergini, o “houri” è stato un successo immediato». «Una volta Oussama ha cominciato a parlarmi delle vergini del paradiso, con gli occhi persi nel vuoto. E ha concluso che quella sera sarebbe stato da solo in camera sua, mentre avrebbe potuto essere in paradiso con le famose vergini se, armato di coltello, avesse assaltato un commissariato quello stesso giorno».
  • una diffusa e profondamente radicata ignoranza, superficialità e disinteressamento per quanto riguarda lo studio della religione islamica. «La religione per loro è solo un pretesto. Se ne fregano alla grande, della religione. Te lo dicono anche, senza rendersene conto. Se credono in Allah, è solo perché Allah gli ha promesso le vergini. E basta. Credono di rispettare la religione, ma non hanno né rispetto, né religione».
  • una costante attenzione comunque al mondo moderno, dalla tecnologia al marchio delle griffe della moda, la musica pop e rap, profondamente consumistico che conquista anche le donne, sopratutto giovanissime.

«Dae'sh ha molti più legami con la pornografia e con il suicidio che con l’Islam. Anzi, è riconducibile proprio all’alleanza diabolica tra queste due nozioni», conclude Said nella sua inchiesta.

Il pensiero jihadista moderno legato a Dae'sh, fa leva anche sulla rottura delle frontiere, come quelle tra Iraq e Siria, edificate dapprima dalle potenze coloniali ed in seguito sostenute dal nazionalismo arabo post coloniale dittatoriale e puntando invece sugli antichi legami tribali in nome di una ummah unita e globale.

Anche se, nonostante vi sia questa idea di uno "stato" unico "islamico" c'è da dire che all'interno permangono comunque delle rivalità nazionalistiche, dove ad esempio, nelle gerarchie dello Stato Islamico gli iracheni, specie quelli che hanno servito nell’esercito di Saddam Hussein, occupano un posto più in alto dei corrispondenti siriani.

La solitudine interiore - profilo psicologico

Erin Marie Saltman e Melanie Smith, dell'International Centre for the Study of Radicalization del King’s College di Londra, in un dossier sul tema del terrorismo e dell'integralismo islamico orientano anche loro le proprie conclusioni su questi punti chiave:

  • l’isolamento sociale e/o culturale causato dall’essere donne molto spesso di origini mediorientali che vivono in società occidentali,
  • la sensazione di fare parte di una comunità - quella musulmana - sotto attacco e perseguitata e la rabbia e la frustrazione dovute alla mancanza di sensibilità della comunità internazionale di fronte a questo attacco, (ma allo stesso modo di non farne parte totalmente, in quanto spesso seconde o terze generazioni)
  • l’utopia di uno stato (il Califfato) nel quale le donne potranno vivere secondo le regole dell’Islam, sarebbe la vita ideale, in quanto lì ci sarebbero le leggi di Allah. Utopia rivelatrice della profonda crisi che attraversa il mondo islamico.
  • la possibilità di trovare uno sposo e un combattente cui dare dei figli che saranno a loro volta dei piccoli leoni del Califfato (per le donne).

Non ultimo, McCants e Meserole sottilineano sempre il fattore di sub-urbanizzazione come componente concorrente al disagio giovanile, nello specifico dell'interazione tra i tassi di urbanizzazione e di disoccupazione tra i giovani. Quando il tasso di urbanizzazione si aggira dal 60 all'80%, con una percentuale di giovani inoccupati dal 10 al 30% appare sistematicamente un aumento dell'estremismo sunnita.  

In alcuni sobborghi di Parigi, (Montrouge, Saint Denis) ma anche Tourcoing, Lyon, Toulouse in Francia e Molenbeek e Verviers in Belgio o così come Ben Guerdane (Tunisia) in proporzione generano un numero "estremamente importante" per i candidati per la jihad. Essi di fronte a questo cocktail, combinano cultura politica francese, (che porta con sé urbanizzazione e disoccupazione giovanile) a ipotetici valori identitari arabo-islamici. "Partiamo dal presupposto che quando ci sono alte percentuali di giovani disoccupati, alcuni dei quali sono destinati alla delinquenza. Se vivono in città, hanno più opportunità di incontrare persone che hanno abbracciato una dottrina radicale. e quando queste città si trovano in paesi francofoni con concezione virulenta della laicità, mentre l'estremismo sunnita appare più attraente".

Mancati rapper o mancati soldati dell'esercito.

Omar Ismail Mostefai, prima di diventare uno dei kamikaze del Bataclan, aveva sognato una carriera da rapper. Stesso sogno per Cherif Kouachi, uno dei due fratelli uccisi dopo l'assalto a Charlie Hebdo.

La stessa passione per la musica rap la condivideva anche Anas el-Abboubi, (Anas al-Habbūbī), nato in Marocco, ma cresciuto da quando aveva 7 anni a Verbano, provincia di Brescia. Viene arrestato il 6 giugno 2013, la notte prima degli esami di maturità, per "addestramento a fini terroristici". Agli agenti dirà «sono un combattente di Allah», prima di finire in carcere per 12 giorni, poi verrà rilasciato.  "Sono stato discriminato per il mio credo", scrive Anas su Internet, "pensavano che le mie idee si sarebbero disorientate dopo avermi terrorizzato con la prigionia. E invece nessuno è stato curioso di capire i miei disagi".

Qualche tempo dopo Anas partirà per la Turchia, diretto in realtà in Siria. Ricomparirà solo qualche mese più tardi sui social: una foto lo ritrae ad Ad Aleppo, mentre imbraccia un kalashnikov.

Tutti questi casi sembrano accomunati più da un tratto psicologico più rilevante di quello ideologico o religioso. Disturbo narcisistico della personalità. Sono individui incapaci di percepire il dolore altrui e accomunati da un desiderio di fama e grandezza che non riesce a fare i conti con la vita grigia di ogni giorno.

In queste menti disturbate, fallite la altre possibilità, la sola occasione di esprimere il proprio ego ipertrofico, sembra essere un suicidio spettacolare, tragico, che infligga dolore agli innocenti e apra le edizioni straordinarie dei TG. La stessa motivazione sembra muovere i rich-kids autori della strage di Dacca, i foreign fighters che si uniscono all'ISIS, i folli che assaltano cinema USA indossando la maschera di Joker.

In un filmato di trenta minuti, sottotitolato in inglese, postato su Internet il 26 novembre 2016, Salah Osama (in arte: Abou Souleyman el Faransi), miliziano dell'ISIS, classe 1988, mostra come sgozzare gli infedeli. E' molto probabile che Salah sia ex militare francese.

Viviamo un tempo di solitudini. Viviamo un tempo di aspettative infinite e irrealizzabili. Siamo bombardati da un consumismo delle aspettative nutrito ogni momento dal mercato, da tanta politica, dal populismo, da buona parte del sistema mediatico, dai social network, da un senso comune che ci esorta ad esagerare, a desiderare troppo, che non ammette sconfitte, separazioni, dolore, perdenti.

Depressione, sottostima, percezione negativa del rifiuto, il senso di smarrimento e la perdita di senso dell’esistenza fino al sentirsi già fisicamente morti, sono caratteristiche e sintomi comuni riscontrati nei soggetti che si sono resi autori di atti terroristici. Queste patologie si sommano spesso a regimi carcerari alquanto deboli e per nulla restrittivi dove spesso avvengono incontri che rivelano determinanti per la radicalizzazione di molti individui, in alcuni casi vi sono precedenti di satanismo che si uniscono a suggestive ricostruzioni fantastiche dell'aldilà dettate principalmente da ignoranza e iper-credulità, in merito a vaghe e del tutto fantastiche prospettive che rasentano il mito escatologico di un aldilà ricco di ogni desiderio umano, talvolta proibito in terra. Ecco comparire le vergini come riscatto al martirio.

Sono giovani, giovanissimi che, pur vivendo ai margini della società, spesso in contesti popolari ghettizzati più che altro dall'aspetto economico che dalla loro origine, sono molto legati alla tecnologia, sempre connessi a Internet, (utilizzano molto i social media, ma generalmente mascherano le loro conversazioni sfruttando applicazioni come Telegram o chat della Playstation o il browser Tor, che grazie alla crittorgrafia riescono a non farsi intercettare), amano ritrovarsi al McDonald's, conoscono marginalmente o per nulla la lingua araba, non conoscono, il Corano, né si impegnano a leggerlo. Non solo Da'esh ma tutti i gruppi terroristici islamici sanno pochissimo dell'Islam e non sono fanatici estremisti religiosi benche' in maggioranza sono reclutati dalla massa meno colta e piu' bisognosa.

L'esperto di sicurezza americano Patrick Skinner afferma che "la maggior parte delle reclute cerca un senso di appartenenza, di notorietà e di eccitazione". Solo il 5% ha una conoscenza approfondita del credo islamico e "a farsi saltare in aria solo raramente sono persone che hanno una buona conoscenza dell'Islam". Per questi giovani

Il jihād, per loro, è visto come lo strumento attraverso cui purificarsi dalla contaminazione prodotta dal contatto con le nostre società. Questi giovani jihadisti cedono alle tentazioni (radicali) non vedendo altre strade verso la dignità umana: la morte diventa per loro una atto per riscattarsi non avendo compiuto niente di significante nella loro vita, una morte piena di senso non avendo offerto niente di concreto alla società.

Il sesso fra il terrorismo

Il sesso è anche parte dominante dei pensieri di questi ragazzi, sembrebbe cosa normale vista la loro età, ma inconsciamente vivono una frustrazione interna dovuta forse a regole inconsce che recepiscono sin da piccoli nell'ambiente familiare, sebbene vivendo in un contesto occidentale, vedendo gli altri ragazzi come si comportano. Il sesso, se ne parla certo continuamente ma viene visto spesso come ricompensa di un sacrificio in chiave di visione escatologica tradizionalista storpiata e dai caratteri leggendari emitologici.

La religione offre loro una risposta sul chi sono, sulle loro radici, ma si avvicinano solamente perché attratti da un mondo illusorio e tradizionalmente fantastico, permeato da tradizioni mitologiche che si provengono dalla cultura araba-nomade per-islamica.
Molti giovani sono stati attratti dalla vita nello Stato Islamico grazie a stipendi impensabili finora e con in mano un'arma che gli da il potere e la forza nel suo ambiente per distinguersi. Chi ha organizzato queste guerre ha centrato gli obiettivi che i giovani volevano sentire, ma scopo principale è quello di deformare il concetto base della religione Islamica.

Gli obbiettivi del terrorismo internazionale di dichiarata matrice islamista, contro il mondo occidentale sono sempre rivolti verso popolo e i poveracci, mai contro i palazzi di potere, mai contro chi governa questo occidente, mai contro la finanza capitalista. E ciò ci fa capire quanto in realtà proprio queste perverse ideologie assassine sia veramente interessate a colpire il mondo occidentale, quanto invece siano veramente

Alimentare lo scontro di civiltà fra i poveri e far credere che il problema sia il disoccupato musulmano che runa lavoro e condiziona la vita al disoccupato "cristiano" autoctono.

Il linguaggio

Anche il linguaggio usato dai membri di Da'esh è interessante da studiare. Esso è permeato costantemente da termini di uso antico e modi di dire che riflettono il mito di un ancestrale glorioso periodo califfale, quasi a rieccheggirare un mix fra l'impero ottomano e i primi califfati (Khilafat al-Rashidun). Gli sciiti, ad esempio, spesso, vegono chiamati "nuovi safavidi", in riferimento alla dinastia-confraternita mistica di lingua e cultura turca, originari del Kurdistan persiano,

Oppure per indicare gli alawiti, la branca dello sciismo cui membri appartengono al clan al potere in Siria a partire dal presidente da circa mezzo secolo  nusayri In epoca moderna e contemporanea, tale termine è rimasto nell’uso locale e quotidiano, ma ha assunto un significato dispregiativo.(bestemmiatori di Dio)

Oltre all'emarginazione, alla ghettizzazione, al disagio sociale, alle disuguaglienze, vi sono le conseguenze di una mancata integrazione delle migrazioni che porta il peso di un neocolonialismo laicista che concepisce il flusso migratorio (e le successive generazioni) solo come manodopera da assimilare

Non si tratta quindi solamente di emarginazione interna e disuglianze della popolazione musulmana nei paesi occidentali (come la Francia, la Germania e il Belgio)  segnati dalla crisi economica e da una massiccia disoccupazione, quanto piuttosto i dubbi esistenziali della società ospite: i giovani discendenti degli immigrati, spesso cittadini europei si mostrano apparentemente più "religiosi" dei loro genitori, ma fanno proprio un senso tutto loro di religiosità.

Nelle società europee post-moderne, sottolinea il prof. Frédéric Pichon, ordinario di geopolitica e autore di "Syrie: Pourquoi l’Occident s’est trompé", paesi come la Francia, paladina della difesa dello spirito repubblicano laico e universalista, che, in realtà, tende sempre più verso una sorta di indifferenziazione sociale, hanno presupposto di integrare i nuovi arrivati senza tener conto del loro background culturale e religioso. 

Sempre più finalizzate a condurre una sorta di "neocolonialismo mentale", le élite francesi, hanno portato al fallimento di ogni progetto mirato all'integrazione sociale, convinte che le culture sarebbero confluite e manipolate nel grande universo globale. Ciò ha rivelato tutta l'incapacità di considerare le attitudini e le esigenze religiose degli immigrati e dei loro discendenti, senza invece coltivare tali diversità come costruzioni culturali, nel quadro di una Europa sempre più multiculturale.

La ghettizzazione delle popolazioni musulmane ha portato inevitabilmente alla "costituzione di una controsocietà", continua il prof. Pichon, in cui i riferimenti alle origini prevalgono e distorgono le basi della cultura occidentale spesso con radicali interpretazioni relative al controllo sociale, come ad esempio attraverso la «protezione» del corpo femminile o il rapporto con i cristiani. Questa sorta di controsocietà si rivela al minimo contrasto e pretesto, laddove le ingiustizie nei confronti dei musulmani che persistono nei paesi di origine e di fratellanza di fede, come in Palestina, ad esempio, si ripercuotono nella società europea, dando orgine ad una sorta di "muro di reciproca incomprensione".

Il prof. Pichon sottolinea, quindi, come si assista, quindi, ad una lotta antitetica civile interna che vede da una parte una cultura dell’irriverenza, della mancanza di rispetto verso le diversità, dall’altra il letteralismo, quale risposta dettata da una cultura per la quale la sacralità è radicata al suo interno e per la quale alcuni punti fermi come l'onore, la vendetta, l'interepretazione dogmatica, fanno parte  delle sue convenzioni social, in risposta alla decadenza della sacralità in occidente.

Allo stesso modo, in merito al terrorismo in Francia, il prof. Giuseppe Sacco, ordinario di Relazioni e sistemi economici internazionali, sostiene che proprio "l’ideologia laicista" avrebbe "prodotto una coorte di giovani alienati cui la République non sa e non vuole parlare". Una buona dose di responsbilità indiretta sarebbe quindi da attribuire alla società e alla politica francese investita di "estremismo laicista", e abbia così applicato ai migranti e alle successive generazioni, una sorta di "assilmilazione socio-culturale laicista", prima ancora di assistere il flusso migratorio di persone nei problemi economici e sociali, prima ancora di potersi esprimere, concependo l'immigrazione come un "flusso di possibili soldati" destinati alla manodopera.

E' indubbio, quindi, che alla base di ogni radicalizzazione vi siano delle condizioni di disagio sociale, dovute a numerosi fattori quali "l'incompleto radicamento socioculturale", (come giustamente afferma il prof. Sacco), la disoccupazione, la non accettazione da parte della società laicista europea, la scarsa partecipazione politica, l'emarginazione della popolazione carceraria, agevolando così di fatto le basi per il reclutamento da parte dell'estremismo islamico, (sia esso dal carcere, in moschea, per strada o in Internet), alla ricerca non solo di un'accettazione, ma anche alla ricerca delle proprie origini, alla ricerca anche di un riscatto sociale, anche grazie ad azioni eclatanti che facciano parlare di sé e trovino un'auto-giustificazione in quell'insana e deviante interpretazione radicale che concepisce un mondo utopistico e illusorio del tutto privo di dovuta spiritualità.

Il ritorno dei jihadisti

Una recente inchiesta per il giornale Le Figaro.fr rivela che, complici le sconfitte dei miliziani di Da'esh in Iraq e in Siria, sarebbero sempre di più, infatti, i jihadisti francesi che stanno decidendo di lasciare i teatri di conflitto mediorientali per tornare in Francia.

Se ne conterebbero circa 700 foreign fighter che combattono oggi nelle file di Da'esh, di questi, circa 250 sono classificati come combattenti e sarebbero attivi nelle prime linee dei combattimenti. Sarebbe, così, il più ampio contingente europeo presente nel Califfato islamico in Iraq e Siria.

Da dove vengono le armi usate dai terroristi ?

Un rapporto di Amnesty International denuncia il fatto che in Siria e in 'Iraq i jihadisti di Da'esh utilizzano armi e munizioni provenienti da almeno 25 paesi, tra cui tutti i paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu e l’Italia.

La maggior parte delle armi usate dal gruppo jihadista è stata sottratta dai depositi di armi in Iraq dopo la conquista di Mossul nel giugno del 2014, di cui una gran parte di esse era stata fornita all’esercito iracheno dagli Stati Uniti. Tra il 2011 e il 2013 gli Stati Uniti hanno concluso contratti miliardari con il governo iracheno per la fornitura di armi e verso la fine del 2014 sono state inviate munizioni e armi leggere per un valore di 500 milioni di dollari. Mentre in Siria gran parte delle armi che usano i ribelli sono state sottratte all'esercito regolare siriano tramite coloro che hanno disertato, in gran parte sono armi di fabnbricazione sovietica.

La guerra tra Iran e Iraq, tra il 1980 e il 1988, ha dato inizio al mercato nero delle armi in Iraq.

Per quanto riguarda, invece, le armi usate dai terroristi islamisti in Europa, gran parte di esse provengono dal mercato nero dell'Est Europa. I due mitra che imbracciava Ahmed Coulibaly, nel suo assalto nel supermercato kosher Hyper Cacher a Parigi, il 09 gennaio 2015, erano del tipo Ceska VZ 58, provengono dalla Cecoslovacchia comunista. Uno è stato fabbricato nel 1961, l'altro è un modello extracorto del 1964. Secondo gli investigatori francesi, si tratta di armi rottamate dall’esercito, in cattivo stato, ma ancora capaci di esplodere colpi mortali. I due fucili d’assalto hanno il marchio KolArms, una fabbrica di armi slovacca. Uno era stato disattivato e trasformato in un'arma a salve nel 2013 da KolArms; l'altro modificato un anno dopo, reca inciso il numero di serie 63622, che scrive L'Espresso. Molte di queste armi erano poi riattivate da armaioli al servizio delle organizzazioni criminali.

Molto spesso, quindi, si tratta di armi demilitarizzate legali vendute anche regolarmente, talvolta dichiarate come "giocattoli", ma che diventano illegali con una semplice modifica della canna. Queste armi, in gran parte, provengono dai magazzini statali slovacchi della polizia e dell'esercito. Dopo il crollo del blocco comunista, ne sono state vendute migliaia a società come KolArms, che ha trasformato strumenti di morte in armi giocattolo: innocue, da un punto di vista legale, ma per i criminali un'opportunità da trasformare in strumenti di morte.

Le pistole Tokarev TT33, le stesse che Coulibaly portava con sé, sono più costose. Risalgono rispettivamente al 1951 e al 1952 ed erano state trasformate da KolArms nel 2014, prima di essere riattivate da terzi. Esse provenivano dalla regione di Marsiglia nel 2012 e arrivate a Parigi nel luglio del 2014.

Gran parte dell'arsenale di Coulibaly proveniva dal negozio AFG Security nella città slovacca di Partizanske. Quest'ultimo è un seminterrato di un condominio a due piani, nei pressi di una ferrovia. Un giornalista di “Der Spiegel” lo ha visitato, ma i proprietari si sono rifiutati di rispondere a qualsiasi domanda.

La storia delle provenienza di queste armi ha veramente del paradossale, come scrive il settimanale L'Espresso: nel 2014, un pacco proveniente dalla Germania e destinato a un gangster inglese, Alexander M., alias Smokey, ladro di Londra che ora sconta una condanna a vita. Il pacco conteneva fucili mitragliatori del tipo VZ61 noti anche come Skorpion. Smokey li aveva ordinati dal carcere, attraverso il suo smartphone. L'intermediario tedesco sarebbe stato un certo Max Mustermann, che controllava il traffico di armi su un sito commerciale sulla cosidetta “dark net”, chiamato Agorà. Nel gennaio 2015, gli agenti della polizia tedesca irrompono nell'appartamento di un certo Christoph K., studente di 20 anni, della città bavarese di Schweinfurt a cui facevano riferimento i numeri di identificazione delle email. Christoph K. stava riattivando armi acquistate dall’AFG nella sua cantina per poi venderle con un profitto dieci volte superiore al prezzo a cui le aveva comprate. Fu condannato a quattro anni e tre mesi di carcere. Anche un certo Alexander R. era nella lista di queste email, che faceva affari con una rete neonazista collegata con il Wehrsportgruppe Hoffmann, un gruppo di estrema destra fuorilegge che praticava sport armati. Venne condannato a quattro anni di prigione, una volta uscito, Alexander R. compra ancora molte armi da AFG.e viene arrestato di nuovo.

Un altro grosso cliente del negozio AFG era un certo Claude Hermant, paramilitare, ex membro del Front National, che era finito in carcere in Congo dopo aver preso parte a un colpo di Stato fallito. Egli gestiva un survival-shop vicino a Lille (Francia settentrionale) e acquistava armi di

E' inevitabile, quindi, che il mercato delle armi nell'Europa dell'Est stia alimentando il terrorismo in occidente, mentre bande criminali utilizzano scappatoie legali e frontiere aperte per contrabbandarle. Nonostante gli avvertimenti sui rischi per la sicurezza, la politica della libera circolazione delle merci ha facilitato la vendita di armi:

L'inchiesta realizzata da un pool di giornali europei

Fonti e approfondimenti:


 

Questo sito non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
Tutti i diritti sono riservati. Nel caso si volesse riportare su altri siti l'intero articolo o anche solo parti di esso si prega di informare l'autore e di citare codesta fonte. Le informazioni contenute in questa pagina possono differire dalle consuete interpretazioni popolari e scolastiche in campo teologico islamico. Le opinioni espresse in questa pubblicazione rappresentano il libero pensiero dell'autore e sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Islamitalia.it
Licenza Creative Commons
Islamitalia.it di Ali Matteo Scalabrin è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Based on a work at http://www.islamitalia.it/